C’è un dibattito in corso, su chi fossero i Magi. Il Vangelo di Matteo parla di alcuni Magi venuti da Oriente con la probabilità che fossero sacerdoti persiani. Per molti credenti non cambia nulla se fossero Re o no, rimane il dubbio sul perchè queste persone andarono a cercare la nascita di quel bambino. E sul perché riveste così tanta importanza quell'evento, a tal punto che la Chiesa cattolica lo fa assurgere ad una delle massime festività celebrate.
Il tema è stato approfondito dal professor Pier Luigi Guiducci, Docente di Storia della Chiesa presso il Centro Diocesano di Teologia per Laici (Istituto Ecclesia Mater, Pontificia Università Lateranense).
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Nel secondo capitolo del Vangelo di Matteo (1-12) viene descritta una visita particolare. Tre persone, definite “Magi” entrano nella casa ove si trova il Bambino Gesù. L’autore sacro colloca l’episodio in un contesto più ampio (che coinvolge Erode), descrive la presenza di una stella, informa sulla presenza di un angelo. Davanti a tale testo, lo storico rimane anche colpito da tre dati: “videro”, “si prostrarono”, “adorarono”.
“Videro il bambino”
Perché i Magi volevano “vedere” il Bambino? Davanti a tale interrogativo sono state fornite più ipotesi. Un percorso di risposta può essere costruito partendo dall’iniziativa stessa dei Magi (dal persiano antico magush).
Quest’ultimi non erano re. E non è detto che erano tre (il calcolo si è basato nei secoli facendo riferimento ai tre doni che offrirono). L’evangelista, inoltre, tace sui nomi. Si trattava di studiosi che, probabilmente, vivevano in aree geografiche ove era diffuso un insegnamento religioso legato alla figura di Ahura Mazdā. Questo, era il nome dato – in determinate terre dell’oriente – all'unico Dio, creatore del mondo sensibile e di quello sovrasensibile.
In tale contesto, è interessante ricordare che nel Mazdeismo venivano attribuiti diversi titoli all’ente supremo: “Io sono”, “il Pastore”, “il Forte”, “la perfetta santità”, “Creatore di cose buone”, “Intelletto e divina saggezza”, “Colui che ha comprensione”…(cfr. vv. 7-8 dello “Yašt ad Ahura Mazdā”, contenuto nella Khordah Avestā).
A questo punto, si comprende che esisteva un itinerario di ricerca religiosa. Tale movimento si basava sui “semina Verbi” (Dio Padre e Creatore aiuta i suoi figli ovunque questi vivono), e sullo sforzo della ragione umana. In quest’ultimo impegno si “leggevano” anche gli aspetti della natura (incluse le realtà astrali), tentando di individuare dei segni, dei messaggi, delle indicazioni.
Dal “messaggio” si passava all’osservazione diretta. Quindi, l’espressione “videro il bambino” è significativa perché sta a indicare che non si è più sul piano della teoria ma che si è entrati in una dimensione di “vissuto”, di “esperienza” (quindi = di testimonianza).
“Si prostrarono”
L’atto del prostrarsi manifesta, prima di tutto, rispetto. Negli usi orientali (recepiti poi anche in occidente) poteva prostrarsi solo chi era “libero” (lo schiavo non si prostrava ma si distendeva a terra o si inginocchiava con il capo completamente chino).
Prostrarsi, quindi, assumeva valore dal fatto che chi aveva un ruolo sociale manifestava un’attenzione all’altro non di maniera, non di occasione. In pratica, si “riconosceva” all’altro una “significatività”, un “valore”. Nel caso del racconto dell’Epifania, per i Magi il valore da riconoscere fu costituito dalla “vita”. Chi nasce “comunica” un proprio esistere ma anche un’origine sulla quale le menti umane del tempo cercavano di riflettere.
“Adorarono”
L’adorazione, nell’uso dei Magi, non è da confondere con l’atto di riconoscere in Gesù Bambino il Figlio di Dio. Anche se in determinati momenti non si può mai escludere a priori un’illuminazione divina, si può pensare comunque a un atto che supera l’ossequio (legato anche al fatto che in quel momento i Magi, essendo entrati in un’abitazione privata, erano diventati automaticamente “ospiti”).
C’è quindi una ritualità che l’evangelista non riporta nel suo testo, ma che si può estrapolare da altre fonti del tempo. Il sapiente prima chinava il capo (la mente, l’intelligenza, che rispetta la “novità”), poi manifestava un movimento di mano fino a toccarsi la fronte (non era solo il saluto orientale, ma esprimeva l’importanza attribuita alla realtà che si stava avvicinando), e – in ultimo – avveniva un tipo di piegamento del busto a metà (nel senso di riconoscere quasi una parità). In tale contesto, l’offerta del dono è da leggere più come un dato simbolico che reale.
Difficilmente dei Magi erano detentori di particolari ricchezze. Essi distribuivano, dove andavano, delle materie (di valore) segno (in genere in polvere). Si può ipotizzare che, forse, in presenza di un nucleo famigliare ospitato provvisoriamente in un ambiente di proprietà di terzi, i Magi possono aver lasciato un qualche bene monetario per l’assistenza al Bambino.
La Chiesa e l’Epifania
Nel contesto descritto, i Padri della Chiesa e gli scrittori cristiani individuarono subito la “chiave di lettura” dell’episodio descritto da Matteo: Gesù si manifesta a tutti. Ogni nazionalismo è superato. Si è voluto, di conseguenza, individuare nell’Epifania una festa liturgica. In oriente, tale memoria si riconduceva al rito di purificazione nelle acque del Giordano al quale partecipò anche Gesù. In occidente, la festa servì a ricordare il festino di Cana di Galilea, ma anche la visita dei Magi. Quest’ultimo racconto ebbe alla fine una centralità-chiave.