“Vinci l’indifferenza, conquista la pace”. Il tema scelto da Papa Francesco per la Giornata mondiale della pace, istituita nel 1967 da Papa Paolo VI per edificare una civiltà dell’amore, è suonato come augurio per l’anno appena sorto dalle ceneri del vecchio che ricorderemo a causa delle guerre vecchie e nuove, del terrorismo, e della persecuzione religiosa: nel 2015 solo tra preti, religiosi, suore e laici, sono morti nel mondo 22 operatori pastorali. Uccisi in seguito a tentativi di rapina o di furto, compiuti con ferocia, in contesti che denunciano il degrado morale, la povertà economica e culturale, la violenza come regola di vita ed il dispregio di essa.
Questi numeri ci aiutano a comprendere, per inciso, quali punte stia toccando la persecuzione dei cristiani. L’Isis, Boko Haram, la discriminazione in vari Paesi dove la religione è affare di Stato, rendono arduo ed eroico essere cristiani. I sacerdoti, le religiose e i laici assassinati vivevano nella normalità quotidiana la loro testimonianza: amministrando i sacramenti, aiutando i poveri e gli ultimi, curandosi degli orfani e dei tossicodipendenti, seguendo progetti di sviluppo o semplicemente tenendo aperta la porta delle loro case. Qualcuno, addirittura, è stato colpito proprio dalle stesse persone che aiutava.
Ce ne sarebbe abbastanza per darla vinta all’umano egoismo e gettare la spugna. Ma come ricorda il Pontefice, occorre “non perdere la speranza nella capacità dell’uomo, con la grazia di Dio, di superare il male e a non abbandonarsi alla rassegnazione e all’indifferenza”, magari approfittando del Giubileo della Misericordia “per aprirsi a quanti vivono nelle periferie esistenziali”, ripensando anche “le legislazioni sulle migrazioni, affinché siano animate dalla volontà dell’accoglienza”, abbandonando l’atteggiamento di disinteresse verso la casa comune e nei riguardi di Dio e del prossimo, con forme e modalità che sovente finiscono con l’assumere l’aspetto “dell’inerzia e del disimpegno, che alimentano il perdurare di situazioni di ingiustizia e grave squilibrio sociale, le quali, a loro volta, possono condurre a conflitti”.
La felicità è possibile. Essere felici è trovare forza nel perdono, speranza nelle battaglie, amore nel disaccordo. È attraversare deserti fuori di sé per trovare un’oasi nella propria anima. È riconoscere che vale la pena vivere la vita, nonostante le incomprensioni, le ingiustizie, il dolore. È non aver paura dei propri sentimenti per costruire il mondo che vogliamo, magari coi mattoni di quella pace che, sottolinea il Santo Padre, si promuove attraverso l’impegno “ad uscire dalla minaccia della globalizzazione dell’indifferenza, sapendo educare – controcorrente, come fanno molte famiglie per i loro figli – ai valori della solidarietà, della compassione e della fraternità”. Perché la pace che sogniamo, come ci ricorda anche Ingrid Betancourt, simbolo della difesa dei diritti umani tenuta prigioniera per più di 6 anni in Colombia dai signori della morte, “sarà possibile solo il giorno in cui ci sarà un atteggiamento diverso nei cuori”.
La Pace che sogniamo
Essere felici è un obiettivo possibile, se sapremo trovare forza nel perdono, speranza nelle battaglie, amore nel disaccordo