Per vincere la crisi economica, imitare il Buon Samaritano

Il cavaliere supremo dei Cavalieri di Colombo al Meeting di Rimini

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di Roberta Sciamplicotti

RIMINI, domenica, 30 agosto 2009 (ZENIT.org).- Per superare la crisi economica che attanaglia il mondo, bisognerebbe applicare anche negli affari lo spirito del Buon Samaritano.

E’ quanto propone Carl A. Anderson, cavaliere supremo dei Cavalieri di Colombo, intervenuto questo venerdì al Meeting di Rimini.

“Mentre il mondo affronta la più grave crisi economica della nostra vita, dovremmo ricordare che l’aspetto peggiore della natura umana – l’avidità – ne è stata considerata una causa importante”, ha affermato nel suo discorso.

“Molti hanno perso di vista l’importanza dell’unità – della comunione – con l’altro”.

In questo contesto, “dobbiamo guardare al meglio dell’umanità – alla generosità, alla solidarietà e alla comunione – con il nostro prossimo”, ha esortato.

“Un modello degli affari basato sulla comprensione della dignità di ogni persona e sulla nostra responsabilità nei confronti del nostro prossimo non può che essere etico. Dobbiamo lavorare per sostituire la motivazione di Caino con quella del Buon Samaritano in ogni aspetto della nostra vita, e soprattutto nelle relazioni d’affari”.

“Solo in questo modo”, ha dichiarato, “lo sviluppo sarà realmente sostenibile”.

Secondo Anderson, i cattolici, le loro organizzazioni e i loro movimenti hanno “un’eccellente opportunità di raggiungere sia altri cattolici che il mondo intero, attraverso la carità”.

“Cristo ci ha chiesto di farci riconoscere per il modo in cui ci amiamo, e la leadership che possiamo esercitare può essere una grande forza”.

“Il volto della nostra Chiesa non è mai più attraente che nell’abbraccio aperto al nostro prossimo”.

I Cavalieri di Colombo

Nel suo intervento, Carl Anderson ha anche ripercorso la storia dei Cavalieri di Colombo, fondati nel 1882 nel Connecticut (Stati Uniti) da padre Michael McGivney per aiutare i cattolici più poveri, di cui nessuna istituzione si prendeva cura.

Gli uomini della parrocchia di St. Mary di New Haven costituirono quindi questa associazione, il cui impegno nelle opere di carità è noto in tutto il mondo.

Anderson ha sottolineato due principi importanti dell’associazione: l’unità – “quella comunione che abbiamo l’uno con l’altro, con la parrocchia, la comunità e la Chiesa – e in questo modo con Dio stesso” – e la carità – “dove incontriamo Cristo”.

Il nome scelto deriva dal fatto che Colombo “è uno dei pochi cattolici popolari e riveriti nella storia americana”. I membri sono oggi oltre un milione e mezzo nel mondo.

“Non c’è alcun regolamento statale tanto giusto da poter eliminare il bisogno di un servizio d’amore – ha commentato -. Chiunque voglia eliminare l’amore si sta preparando a eliminare l’uomo. Ci sarà sempre una sofferenza che chiede consolazione e aiuto. Ci sarà sempre solitudine. Ci saranno sempre situazioni di bisogno materiale in cui è indispensabile l’aiuto nella forma dell’amore concreto per il prossimo”.

I Cavalieri di Colombo, ha aggiunto, “vedendo Cristo nel loro prossimo e cercando la comunione con lui”, sono “un autentico dono di sé che va al di là del mero operato sociale che può essere svolto da uno Stato”.

“La carità è indispensabile per chi dà e per chi riceve, perché ogni atto caritativo parla il linguaggio della fede e della speranza, e questo linguaggio, ogni volta che viene parlato, costruisce una civiltà dell’amore”, ha concluso.

Per ulteriori informazioni, www.kofc.org/anderson

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ZENIT Staff

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