di Mirko Testa
RIMINI, mercoledì, 26 agosto 2009 (ZENIT.org).- L’unico modo per conoscere veramente Cristo è partecipare all’avvenimento della sua morte e resurrezione, “che per opera dello Spirito si rende presente nella Chiesa e attraverso la Chiesa, comunicandosi alla ragione e alla libertà dell’uomo”.
E’ quanto ha affermato don Julián Carrón, Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, nel tenere il 25 agosto nell’auditorium della Fiera di Rimini una riflessione dal titolo “Avvenimento e conoscenza in San Paolo”.
Nel suo discorso il sacerdote ha cominciato con l’analizzare l’evento fondamentale della conversione di San Paolo sulla via di Damasco, che plasmerà l’intera teologia dell’apostolo, tramutandolo da scrupoloso custode della Legge e zelante persecutore dei cristiani in infaticabile annunciatore del Risorto.
All’apparizione del Cristo Paolo allude in due passi della Prima Lettera ai Corinzi, quando utilizza lo stesso verbo, horein, “vedere”, che ritroviamo in contesti pasquali, per indicare.
“Per Paolo – ha affermato don Carrón – in questa esperienza dell’incontro con il Risorto diventa trasparente la realtà di Cristo”.
“E’ questa presenza di Cristo risorto – che lo precede e lo provoca, cioè lo precede chiamandolo – a sostenere l’apertura della ragione affinché Paolo possa percepire adeguatamente il significato di quell’incontro, provocando in lui l’attrazione che permette alla libertà l’adesione amorosa a quella presenza”.
Nella Seconda Lettera ai Corinzi (5,16), San Paolo parla inoltre esplicitamente della novità di questa conoscenza non più “secondo la carne”, ovvero secondo la “capacità umana di conoscenza”, che lo portò a mutare il suo modo di leggere la Scrittura.
Infatti, nel terzo capitolo della Seconda Lettera ai Corinzi, da cui traspare l’ermeneutica paolina, l’Apostolo delle Genti “contrappone l’effimero ministero della lettera, che è ministero di morte e di condanna, al perenne ministero dello Spirito che dà vita, un ministero di giustizia”.
Per spiegare la novità e autenticità del suo ministero, ha continuato Carrón, Paolo ricorre al racconto del velo di Mosè contenuto nel libro dell’Esodo e spiega che “il velo è ciò che ricopre il cuore, ossia gli occhi dell’intelligenza di questi ebrei ostili, di modo che quando ogni sabato la legge (l’Antico Testamento) viene letta nelle loro sinagoghe, essi non vedano la realtà, ossia quello che Gesù Cristo ha rappresentato con la sua predicazione, morte e resurrezione”.
Paolo spiega che “ginché non si toglieranno (o finché Dio non toglierà) il velo dal loro cuore, non crederanno in Gesù Cristo, e quindi non comprenderanno pienamente l’Antico Testamento”.
“In questo modo Paolo stabilisce il principio fondamentale della sua ermeneutica: l’interpretazione della Scrittura non è in ultima istanza una questione tecnica, ma teologica”, ha sottolineato Carrón.
La Lettera contiene anche una risposta di Paolo ai dubbi dei Galati, confusi da alcuni suoi oppositori che annunciavano un falso Vangelo che impone, per la Salvezza, la necessità della circoncisione e di altre “opere della legge”.
Appellandosi ai doni dello Spirito da loro sperimentati, ha continuato Carrón, “Paolo offre al contempo il metodo per uscire dallo stato di perplessità in cui si trovano: tutte queste esperienze positive non significano nulla per voi, quando vi trovate di fronte al dilemma se continuare con lo Spirito o tornare alla legge giudaica?”.
“Qui risiede il valore dell’appellarsi di Paolo all’esperienza: è in essa che si rende trasparente la verità del Vangelo che Paolo ha predicato loro”, ha affermato il Presidente di Comunione e Liberazione.
L’esperienza di Paolo e dei Gàlati ha in sé un valore paradigmatico che ci mostra “qual è la condizione per conoscere Cristo: la partecipazione all’avvenimento in cui Lui si rende presente all’esperienza umana”.
In questo senso, ha spiegato, “Paolo e i Gàlati sono una documentazione che la conoscenza è sempre un avvenimento” e “nessun altro metodo può darci una vera e propria conoscenza”.
“L’avvenimento cristiano – ha spiegato infatti – libera la ragione dai limiti cui normalmente si conforma seguendo le usanze della propria cultura e tradizione, la restituisce al suo dinamismo più specifico, ossia all’aprirsi liberamente alla comprensione della totalità della realtà”.
“Se Paolo si appella all’esperienza dei Gàlati, è precisamente perché non pretende una resa incondizionata al Vangelo – che sarebbe assolutamente indegna della loro natura razionale di uomini –, ma li invita semplicemente a sottomettere la loro ragione all’esperienza vissuta”.
“L’unico modo di progredire nella conoscenza di Cristo – ha quindi concluso – è accettare di partecipare all’avvenimento di Cristo ora, nella potenza della sua risurrezione e la comunione delle sue sofferenze”.