Bioetica, religioni e missioni

Intervista a Patrizia Pelosi, coautrice di un manuale missionario

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ROMA, lunedì, 9 luglio 2007 (ZENIT.org).- E’ stato presentato il 13 giugno al Pontefice Benedetto XVI il libro “Bioetica, religioni, missioni”, scritto da padre Giuseppe Buono e dalla dottoressa Patrizia Pelosi (edizioni EMI, 432 pagine 20 Euro).

Si tratta di un volume da tempo atteso dalla comunità missionaria, perché analizza le attuali e scottanti sfide della bioetica, quali la contraccezione, l’aborto, l’eutanasia, la procreazione assistita, l’AIDS, alla luce dell’impegno e dell’emergenza in cui vivono spesso i missionari.

Gli autori sostengono nell’introduzione che “il problema bioetico è stato per anni disatteso proprio in quei paesi dell’Asia, dell’Africa, dell’America Latina e dell’Oceania dove più sarebbe necessario un impegno scientifico, politico e anche religioso forte e globale a favore delle popolazioni”.

Padre Giuseppe Buono è sacerdote del Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME), docente di Missiologia in varie Pontificie Facoltà Teologiche, e docente di Bioetica, Religioni e Missioni alla Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum”.

La dottoressa Patrizia Pelosi è invece Dirigente Fisico Medico dell’Unità Operativa di Radioterapia dell’Azienda ospedaliera G.Rummo di Benevento. Specializzata in Bioetica e Scienze Ambientali, ha studiato Missiologia, e ha partecipato in qualità di relatrice alla seconda Assemblea dell’Associazione Internazionale dei Missiologi cattolici a Cochabamba (Bolivia) nel 2004.

Per approfondire una tematica di così scottante attualità, ZENIT l’ha intervistata.

In che modo si può coniugare la bioetica con l’attività missionaria?

Pelosi: La bioetica ha il compito di trattare questioni di valore in maniera razionale e universalmente condivisibile. La società contemporanea rileva una forte disomogeneità etica per la convivenza in definite realtà umane-geografiche di culture, tradizioni, religioni, abitudini sociali estremamente differenti. Il multiculturalismo vive e prospera anche all’interno di singoli paesi, a cominciare ovviamente da quelli più progrediti ed esposti ad influenze plurime.
<br>Allo stesso tempo le istanze bioetiche assumono il carattere di urgenza nei Paesi in Via di Sviluppo. Vi è un duplice ingresso, in tali Paesi, per l’emergenza etica: in primo luogo la condizione di grande povertà e il basso livello di acculturazione catalizzano uno stile di vita che contraddice la piena espressione della dignità umana; in secondo luogo le popolazioni dei paesi più poveri ricevono un rischioso riflesso della globalizzazione: l’assenza di una uniforme e profonda formazione culturale, sociale e religiosa non filtra tutto ciò che proviene dall’esterno, per cui si accetta che tutto il nuovo sia anche buono.

Il canale dello sviluppo tecnologico (si veda ad esempio la diffusione dell’uso di Internet) ha l’avamposto nella realtà della globalizzazione; in questo senso ha anche la responsabilità di ben orientare un processo che potrebbe essere di sviluppo globale e – se eticamente fondato – può portare alla promozione della vita umana attraverso il bene dell’uomo.

Il criterio etico si confronta con una ormai già compiuta globalizzazione scientifica che non può accettare salti di definizione nel concetto di dignità e qualità di vita variabile in funzione delle condizioni geografiche, sociali e culturali in cui si vive. L’interscambio tra scienza e bioetica rappresenta una frontiera di impegno, un sostegno metodologico e applicativo, per raggiungere una eguaglianza tra tutti i popoli nel diritto assoluto alla vita e, conseguentemente, nel diritto alla salute e alla cura.

La missione conosce la realtà della vita nelle sue aggettivazioni più povere, la conoscenza è sempre il primo passo per il sostegno alla verità. L’esperienza dei missionari informa sulle molteplici incongruenze morali che l’uomo vive quando è schiavo della sua condizione. La schiavitù può essere la povertà, la sofferenza, l’abbandono, la fame, la corruzione – tutte situazioni che nelle terre di missione assumono il carattere di tragedia – ma davanti a tutte c’è la schiavitù dell’ignoranza, quella che dà la povertà più grande: non sapere d’esser poveri e non comprenderne il perché.

Il Bioeticista e il Missionario si incontrano anche senza cercarsi sulla strada dell’uomo, si incontrano perché entrambi cercano di realizzare la pienezza dell’umanità, l’uno per difenderla, l’altro per salvarla. Il Bioeticista e il Missionario hanno lo stesso carisma, accompagnano l’uomo nella sua crescita morale, psico-fisica, spirituale, senza schiacciarlo nel rispettare uno stereotipo prescelto. Il Bioeticista e il Missionario hanno lo stesso fine, consegnare alla storia un uomo in sintonia con sé stesso, in comunione con gli altri, in equilibrio con l’universo.

Nel volume lei critica le politiche demografiche. Può spiegarci il perché?

Pelosi: La difesa della vita e della sua dignità sembra essere in contraddizione con il tentativo internazionale di mantenere la sopravvivenza della specie umana. Riguardando al percorso storico che ha sollevato un tale panico nei confronti dell’aumento della popolazione mondiale, ci si chiede perché l’allarmismo dei movimenti ambientalisti ed economici è emerso solo quando il fenomeno della crescita demografica ha coinvolto il Sud del mondo e non quando il Nord investiva il suo progresso proprio sulla sovrappopolazione; ulteriori dubbi affiorano considerando che la politica di pianificazione delle nascite riguarda principalmente il Sud pur avendo il Nord una densità demografica largamente superiore.

Il problema della maggioranza della popolazione che vive in una situazione di grave povertà è in maniera semplicistica accreditata alla crescita demografica mentre in realtà dipende dalla gestione politico- economica delle risorse del pianeta e dagli investimenti socio-culturali. L’asse non calcolato che attraversa la storia dalle previsioni alla realtà è l’innovazione tecnologica e la scoperta di nuove disponibilità e/o la sostituzione dei materiali scarsi con altri. L’errore grossolano commesso da Malthus nel 1798, anticipando una miseria crescente per l’aumento della popolazione e incompatibile con la disponibilità di alimenti, si perpetua nella storia con una forte cecità. Un’analisi molto ampia e complessa deve valutare i dati demografici relativi alle regioni povere del mondo.

Ad esempio l’Africa è un Paese che si configura diversamente dagli altri per i gravi problemi che deve affrontare. È il Paese con minore densità demografica, con un’aspettativa di vita molto bassa e con un’alta mortalità infantile. Questi squilibri e queste differenze vanno elaborate aprendosi a campi di valutazione politico-economica, oltre che sociale e ambientale. Certo è che in termini di mortalità infantile, aspettativa di vita, scolarizzazione e consumo calorico, i Paesi in Via di Sviluppo dell’Africa, dell’America Latina e dell’Asia stanno sicuramente molto meglio oggi che ieri.

Le affermazioni scientifiche riguardo la questione demografica sono di grande chiarezza ed esigono un orientamento politico volto allo sviluppo mondiale che si traduca in un miglioramento del livello tecnologico-scientifico-culturale di molti paesi, soprattutto quelli in via di sviluppo. Le politiche demografiche, invece, con una sorprendente mancanza di logicità, propongono strategie per distruggere l’elemento base dello sviluppo, la popolazione stessa.

Lo spettro dell’alto tasso di natalità si riflette nel campo della competitività sul controllo delle materie prime. Consentire ad un popolo di crescere – per quanto sia impressionante dover parlare di concessione – in una giusta misura dettata dalla responsabilità della genitorialità e dalla progettualità familiare, che si ispirano alla propria cultu
ra e religione traendo da esse le risorse per integrarsi positivamente nella società, è un forte rischio per i governi interessati al controllo sulle risorse dei territori. Infatti un Paese che può contare sulla sua forza primaria, la popolazione, finanzia progetti di educazione scolastica e universitaria, sostiene i percorsi commerciali e industriali, avvia processi di avanzamento tecnologico e scientifico nel settore agricolo e in quello dell’utilizzo delle risorse del sottosuolo, diviene padrone della sua terra e la sua gente è in grado di gestire i propri interessi volgendoli allo sviluppo della popolazione stessa.

In questo modo, qualsiasi Paese del Terzo Mondo può intervenire per modificare l’equilibrio economico mondiale, per cui si tende a mantenere questi paesi in una condizione di sottomissione per povertà e si impedisce la loro crescita culturale per poter gestire le risorse dando un insignificante contraccambio.

In che modo le Missioni possono contrastare i programmi di riduzione delle nascite, le sterilizzazioni, la diffusione di aborti e pillole abortive?

Pelosi: La propaganda dell’ideologia contraccettiva è divenuta un fenomeno incontenibile, soprattutto in Asia e Africa, in particolare per l’incidenza del contagio dell’AIDS. I giovani ritengono l’unico principio che il contraccettivo li rende liberi e protetti. In particolare il confronto, soprattutto delle ragazze, con le giovani che lasciano la scuola per matrimoni precoci o per maternità inattese, situazione più che frequente in Asia e Africa, spinge l’opinione pubblica a considerare il contraccettivo come la soluzione rapida che consente di sfuggire ad una vita di basso stato sociale aprendosi all’opportunità di un futuro promettente.

I Paesi in Via di Sviluppo sono il bersaglio di elezione per la diffusione dei contraccettivi, usando come pista d’ingresso la nota teoria del sovraffollamento. Inoltre in ampie regioni dell’Africa e dell’Asia la piaga della propagazione dell’AIDS ha reso quasi obbligatoria l’introduzione del condom, accusando tutti coloro che si oppongono a questa strategia di ledere la salute dell’intera società.

Il fallimento di questa scelta è prevedibile. La mentalità contraccettiva porta in sé un disvalore che è contro la vita e non potrebbe essere risolutiva per una problematica così complessa. Anzi l’uso diffuso e consigliato di contraccettivi accentua un disordine sociale che ben si presta ad una maggiore diffusione dell’AIDS. Non si tratta di fare una politica della privazione ma della coerenza: di orientare le scelte sociali per il bene di tutti attraverso il bene del singolo. La scelta dell’ astinenza prematrimoniale e della fedeltà fanno da battistrada per restituire alla società una ricchezza di valori e riferimenti ormai smarriti nella ricerca della insaziabile soddisfazione sessuale personale.

Nelle situazioni di povertà e sfruttamento che, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, si verificano costantemente in molti paesi dei continenti più provati dal sottosviluppo, il progetto pro-vita realizza una delle condizioni prioritarie dello sviluppo proprio perché fa leva sulla dignità dell’essere umano, quindi si pone alla base di ogni svolta positiva nella società. Un tale progetto spezza il circolo di sfruttamento economico che entra anche tramite la commercializzazione dei contraccettivi, rende la gente moralmente schiava di una ideologia che già sta pagando a spese della propria economia. Tutto questo avviene in una ridondate campagna pubblicitaria di prevenzione dalle malattie infettive e di promozione del ruolo femminile che arriva a risultati inconcludenti.

È affidato alla donna il compito di interrompere questa schiavitù, è affidata a lei la difesa della propria dignità che richiede l’intaccabilità del mistero della maternità che mai può essere mercificato. Le missioni sono chiamate a frenare il dilagare di una mentalità di disvalori e a preparare le future generazioni a prendere parte alla vita sociale, politica ed economica dei loro paesi incentrando il loro impegno sul fulcro dei valori che, in modo prioritario, devono tutelare il diritto fondamentale della difesa della vita e tutti i diritti che dall’esistenza umana prendono origine.

L’opera quotidiana che il missionario svolge è spesso volta a raggiungere un regime di sopravvivenza, infatti spesso le condizioni di vita delle famiglie affidate al loro servizio sono così urgenti e tragiche che terminare la giornata dando da mangiare ai propri figli è già un traguardo. I missionari possono essere scoraggiati nell’esaltare la riflessione e la maturazione di problematiche etiche, pur esistenti e strettamente connesse all’arenata crescita della società ma meno pressanti come la fame e la miseria. La società internazionale non aiuta i missionari in questo fondamentale lavoro, fondamentale proprio perché ha il prezioso obiettivo di gettare le fondamenta di una società futura sana e propositiva; infatti l’attenzione del mondo benestante non dura più dell’attimo di commozione. Non ci si preoccupa di quante morti si possono provocare con questa distorta informazione ed educazione sessuale, tanto a conti fatti già sarebbero morti di fame, malaria, AIDS, e comunque sembra che nei paesi del Terzo Mondo la gente nasca già abituata a morire.

Forse non è iniziato il tempo in cui proprio dalle missioni venga a tutti una lezione di civiltà prima ancora che di fede? La conclusione operativa può arenarsi nelle difficoltà che le emergenze e uno status quo infiltrato nella mentalità comune pongono come oggettiva barriera di incomunicabilità con la proposta etico-cristiana. Proprio in questa circostanza l’alfabeto bioetico diviene possibilità di dialogo con tutti.

Se la Chiesa lo assume come forma in cui si delinea la sostanza del messaggio evangelico allora la sua voce sarà non solo voce diversa ma anche unica voce in grado di arrivare ad ogni uomo con un progetto che difende la vita, rispetta la dignità, promuove il miglioramento sociale, realizza il bene.

Alcuni autori sostengono che lo sviluppo contrasta con l’etica. La Lettera enciclica di Paolo VI, Popolorum Progressio, sostiene invece che lo sviluppo è il nuovo nome della pace. Qual è il suo parere in proposito?

Pelosi: L’imperante processo tecnologico su cui viaggiano i risultati ultimi della ricerca scientifica ha ragione del suo rapido sviluppo nella misura in cui promuove un ordine superiore della qualità di vita. Tale qualità deve essere realizzata nel rispetto della pari dignità di ogni essere umano. Il canale dello sviluppo tecnologico ha l’avamposto nella realtà della globalizzazione; in questo senso ha anche la responsabilità di ben orientare un processo che potrebbe essere di sviluppo globale se eticamente fondato per condurre alla promozione della vita umana attraverso il bene dell’uomo.

Il mondo scientifico ha conosciuto, parallelamente al suo sviluppo, la necessità di un confronto, anche di carattere integrativo, con le altre discipline del sapere umano per rispondere ai molteplici dubbi di natura etica che emergono dall’applicazione degli imperativi biotecnologici sull’uomo nonché degli interventi sull’ambiente.

L’interrogazione etica irrompe nel campo scientifico per analizzare il ritorno sull’uomo, nella sua concezione olistica, delle applicazioni medico – scientifiche che assumono una dimensione sempre più tecnologica. Il discernimento etico esige uno sforzo collettivo ed un impegno personale.

Questo complesso intervento è proprio della Bioetica che, in quanto scienza interdisciplinare, è in grado di risolvere la conflittualità tra le diverse tensioni che convergono, spesso con finalità differenti, nella realtà del dolore, della malattia, della salute e dell’intervento sulla vita umana.

Il fulcro dell’analisi bioetica è anche l’elemento garante dello sviluppo globale della società umana, ovvero la centralità
della persona umana che si esplicita con la difesa della vita, il rispetto della dignità umana, la promozione dell’uomo nella prospettiva della libertà, della autonomia e della giustizia. La coscienza del servizio, la consapevolezza che la conoscenza scientifica deve essere al servizio dell’uomo e che chiunque ne è detentore ne è anche debitore all’umanità.

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ZENIT Staff

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