Omar Ebrahime, Author at ZENIT - Italiano https://it.zenit.org/author/omarebrahime/ Il mondo visto da Roma Tue, 29 Mar 2016 08:02:16 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.8.2 https://it.zenit.org/wp-content/uploads/sites/2/2020/07/02e50587-cropped-9c512312-favicon_1.png Omar Ebrahime, Author at ZENIT - Italiano https://it.zenit.org/author/omarebrahime/ 32 32 Chi ha paura di Dio? L’Occidente tra cristianofobia e ritorno dei fondamentalismi religiosi https://it.zenit.org/2016/03/29/chi-ha-paura-di-dio-loccidente-tra-cristianofobia-e-ritorno-dei-fondamentalismi-religiosi/ Tue, 29 Mar 2016 08:02:16 +0000 https://it.zenit.org/?p=70441 Dati, analisi e riflessioni nel Settimo Rapporto sulla Dottrina Sociale nel mondo a cura dell'Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân, in uscita in questi giorni in libreria

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Gli attentati di Parigi e Bruxelles, per quanto spaventosi, sono solo l’ultimo episodio di una guerra internazionale asimmetrica e non convenzionale che riporta sulla scena l’elemento religioso, pur deformato e manipolato, in modo dirompente.
E tuttavia: chi c’è dietro? Qual’è il fine ultimo? Come mai l’Europa appare indifesa come non mai davanti a tutto questo? Sono soltanto alcune delle domande da cui prende spunto il nuovo Rapporto annuale dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo in distribuzione in questi giorni nelle librerie per la casa editrice Cantagalli, interamente dedicato al revival sociopolitico dei fondamentalismi religiosi degli ultimi anni (cfr. G. Crepaldi – S. Fontana, Settimo Rapporto sulla Dottrina Sociale della Chiesa nel Mondo. Guerre di religione, guerre alla religione, Cantagalli, Siena 2016).
I fenomeni riscontrati dagli studiosi dell’Osservatorio sono di due tipi: da una parte si rileva una situazione di vera e propria ‘cristianofobia’ (per richiamare un’espressione introdotta nel magistero pontificio già da Benedetto XVI), tendenzialmente sistematica, su scala globale: vi è, cioè, una caccia al cristiano diffusa e praticata a livello planetario, per i motivi più disparati, che – se non verrà arrestata – con questa media di vittime rischia seriamente di passare alla storia come la più cruenta di sempre. D’altra parte non passa quasi giorno che papa Francesco non cessi di ricordare come si registrino più martiri oggi che sotto l’Impero Romano.
Su tutto questo, però, la comunità internazionale – tanto a livello istituzionale, quanto di mass-media – non ha ancora prodotto una riflessione culturalmente adeguata. Ci si scandalizza magari per l’ultimo massacro eclatante (come il caso delle quattro povere suore di Madre Teresa trucidate in Yemen appena qualche giorno fa) ma, passata l’eco del momento, torna poi tutto come prima senza che l’enormità dei fatti in gioco (si pensi anche al caso incredibile di Asia Bibi ancora in carcere e alla condizione quotidiana di milioni e milioni di cristiani in Paesi come il Pakistan, la Nigeria, il Sudan, l’Eritrea, l’Iraq, l’Afghanistan e tutta la Penisola arabica) dia luogo a una seria presa di coscienza della gravità della “catastrofe umanitaria” in corso, per usare le parole persino delle ONG più laiche presenti da tempo nelle aree di crisi citate.
Dall’altra parte gli autori – coordinati dal presidente e fondatore del centro-studi, l’arcivescovo di Trieste monsignor Giampaolo Crepaldi, già segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e dal direttore, il professor Stefano Fontana, da anni impegnato nello studio gius-filosofico dei processi di secolarizzazione – fanno notare come, a questa guerra globale non dichiarata alla presenza cristiana, corrisponda in Occidente, e in Europa in particolare, quindi nella culla stessa del Cristianesimo, una speculare e non meno violenta, nelle radici ideologiche, ‘guerra alla religione’ tout-court. Una guerra che contesta ugualmente la missione della Chiesa in vario modo, espellendo con decisione i simboli della fede dai luoghi pubblici, ridicolizzando i suoi rappresentanti nella cultura della comunicazione e nell’agone politico, mettendo mano infine alle leggi dello Stato per impedirne le ultime resistenze (ostacolando, ad esempio, l’esercizio dell’obiezione di coscienza nei casi con implicazioni bioetiche o avviando un’opera di laicizzazione di massa a tappeto nelle scuole).
Si tratta in questo caso di un altro tipo di guerra, che si combatte su un livello culturale-propagandistico e su un livello giuridico-politico, di natura ‘silenziosa’ se si vuole, che quindi emerge di meno perché non fa morti in senso fisico ma a lungo-termine produce un effetto non meno devastante sulle comunità religiose che vedono la loro presenza sulla pubblica piazza sempre meno tollerata e accettata, come se il credente – per il fatto di essere credente – non fosse una parte pienamente rappresentativa della comunità civile.
Per uscirne, gli studiosi auspicano un ritorno della cultura forte della ragione, libera finalmente da ogni pregiudizio o stereotipo antireligioso, e una ri-scoperta di quel diritto naturale che da sempre, al di là delle singole differenze etniche, linguistiche e geografiche resta il metro di giudizio più affidabile per valutare la bontà e l’idoneità della religione nella vita pubblica dei popoli. Immaginare una civiltà senza religione è pura utopia – mai nella storia sono esistite civiltà del genere, d’altronde – ma è anche vero che solo la religio vera, Rivelazione di un Dio che ama e si prende cura di tutti gli aspetti della vita dell’uomo, produce una reale civiltà, ovvero uno sviluppo che sia armonicamente materiale, umano e spirituale.

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Storia di Claudia, la moglie di Ponzio Pilato https://it.zenit.org/2016/03/19/claudia-la-moglie-di-ponzio-pilato/ Sat, 19 Mar 2016 12:58:54 +0000 https://it.zenit.org/?p=69758 Dopo oltre cinquant'anni ripubblicato il romanzo “La moglie del procuratore” di Elena Bono.

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Per la letteratura cristiana il Novecento non è stato in generale un secolo eccezionale, non sono molti i grandi delle belle lettere vi si sono cimentati e ancora meno lo hanno fatto lasciando in eredità pagine d’autore.
Fa eccezione però senz’altro la poetessa, romanziera e drammaturga Elena Bono che da scrittrice versatile, oltre che straordinariamente colta nella formazione, si è misurata ripetutamente con la storia della salvezza e i personaggi del Vangelo riprendendone originalmente per la produzione letteraria spunti e motivi.
“La moglie del procuratore”, romanzo breve incentrato sulla moglie di Ponzio Pilato (Claudia Serena Procula) che uscì la prima volta nel 1956 all’interno della raccolta di prosa Morte di Adamo, era da tempo introvabile in commercio: l’operazione editoriale della casa editrice Marietti che finalmente la ripropone a parte nel catalogo al grande pubblico con una prefazione apposita del giornalista Armando Torno e una postfazione della studiosa Stefania Segatori merita quindi una segnalazione tutta particolare (cfr. E BONO, La moglie del procuratore, Marietti, Genova 2015, Pp. 206, Euro 12,00).
Scritto come un giallo e ambientato nella casa del filosofo Lucio Anneo Seneca in una Roma misteriosa avvolta dalla neve, il racconto prende spunto da quella figura altrettanto misteriosa – nei Vangeli, come per gli storici di Roma – che è appunto Claudia Serena Procula.
Misteriosa perché nel dramma sconvolgente della Passione la sua voce (“Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua”, Mt 27,19) resta – di fronte al marito che scetticamente chiede al Signore che cosa sia la verità (cfr. Gv 18,38) – una voce di incredibile prudenza ed equilibrio al punto che la Bono sembra chiedersi – e chiedere al lettore, fra le righe – che cosa sarebbe mai successo se ci fosse stata lei a decidere nel processo, invece di Ponzio Pilato.
Basta solo questo alla scrittrice per realizzare una storia di coinvolgente attrazione che parte fotografando l’ultima fase di decadenza morale delle elìtes della Roma pagana per arrivare appunto a ri-vivere che cosa accadde veramente quel giorno a Gerusalemme.
Testimone e spettatore d’eccezione quel Seneca che pure, per certi tratti, fu uno dei filosofi romani più prossimi all’etica evangelica.
E’ lui che accoglie Claudia nella sua dimora in una sera d’inverno per ascoltarne attentamente quella che – più che una deposizione dettagliata dei fatti – apparirà alla fine quasi come il testamento ‘spirituale’ della vedova dell’alto magistrato romano.
Pilato, infatti, non c’è più e la sua morte tragica, seguita a un periodo di pazzia, è stata l’inevitabile conseguenza di quel verdetto strappatogli dalla folla urlante per liberare il criminale Barabba. Da quel giorno, racconta la vedova, letteralmente nulla è stato come prima e il rimorso di non poter più tornare indietro ha diviso lentamente, ma inesorabilmente,
Pilato da lei e quindi loro due – separatamente – dal mondo e dalla vita di sempre perché l’incontro con il Signore – in qualunque modo avvenga – stravolge tutta l’esistenza, in modo assolutamente radicale.
Se c’è un aggettivo che potrebbe descrivere più di altri lo stato d’animo di Claudia nel racconto – prima della riconciliazione finale – forse è proprio ‘ossessionata’: la donna torna continuamente sulla successione degli eventi di quel Venerdì che divise in due la storia ri-sentendone voci, urla, suoni e odori, come se lei dopo tanti anni da quella vicenda fosse sempre e ancora lì, tremante e impotente di fronte al dramma spaventoso del peccato dell’umanità che si consuma.
E come lei, anche il centurione che trafisse il costato del Signore – convertendosi – le sue serve di casa, e chiunque abbia attraversato, anche solo per un momento, la scena del processo più meditato e studiato di tutti i tempi. Il motivo dell’angoscia incancellabile di Claudia – la stessa che ha portato alla morte Pilato – viene infine dichiarato all’improvviso, di getto, come quando ci si deve liberare di un peso che ci opprime e non si riesce più a sopportare: “non era un ribelle – mormorò – era perfettamente innocente” (pag. 102).
Di fronte a tutto ciò Seneca rimarrà in attento ascolto, ma, suggerisce la scrittrice, non farà l’ultimo passo – quello della conversione – distaccandosi quindi dal cammino spirituale di Claudia che riconoscerà invece alla fine in Gesù il Dio da sempre atteso, ottenendone in cambio la tanto agognata pace del cuore, il bene più grande, e prezioso, che si può avere su questa terra.
Come i veri grandi classici, un’opera che non ha perso nulla della freschezza originale rispetto alla prima uscita e continua ad affascinare il lettore anche una volta chiusa l’ultima pagina. Un capolavoro letterario e una meditazione poderosa di una grande artista interrogata – e conquistata – dalla forza liberante del Vangelo.

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Il Collegio Nazareno nella storia della cultura di Roma https://it.zenit.org/2015/12/23/il-collegio-nazareno-nella-storia-della-cultura-di-roma/ https://it.zenit.org/2015/12/23/il-collegio-nazareno-nella-storia-della-cultura-di-roma/#respond Wed, 23 Dec 2015 18:49:13 +0000 https://it.zenit.org/articles/il-collegio-nazareno-nella-storia-della-cultura-di-roma/ Presso l’arciconfraternita di Sant’Eligio de’ Ferrari si è svolta una giornata di studi per tenere viva la memoria della prima scuola pubblica della capitale

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Nonostante l’inerzia delle Istituzioni locali non accenna a spegnersi la mobilitazione della società civile per tenere in vita il Collegio Nazareno, la prima scuola pubblica di Roma (1630), fondata da San Giuseppe Calasanzio, che ha ormai chiuso i battenti nei mesi scorsi e si appresta a diventare un albergo.
L’ultima iniziativa, organizzata da un gruppo di ex alunni e studiosi, si è svolta presso la centralissima arciconfraternita di Sant’Eligio de’ Ferrari e ha visto tra l’altro la partecipazione dei professori Giovanni Ettore Gigante – ordinario di fisica presso l’università Sapienza di Roma – e Adriana Maras – associato di mineralogia, presso il medesimo ateneo.
Obiettivo della manifestazione era infatti quello di evidenziare il prezioso legame storico, di marca plurisecolare, tra il Collegio e l’alta cultura scientifica di Roma, un dato di assoluto rilievo per lo sviluppo della ricerca scientifica capitolina, che con la chiusura della scuola rischia di andare definitivamente perduto.
Di particolare interesse da questo punto di vista è stata la fondazione del Gabinetto di fisica e scienze naturali avvenuto durante il pontificato di Benedetto XIV (1740-1758) e che avrà tra i suoi insegnanti più importanti proprio un discepolo di Calasanzio, il padre scolopio Bartolomeo Gandolfi (1735-1824), un protagonista indiscusso nel rinnovamento didattico degli studi fisici e chimici di fine Settecento.
Strettissimo sarà poi il rapporto tra la più celebre università romana e il Collegio Nazareno, i cui ex alunni – laici – nel corso del tempo andranno poi a ricoprire non poche volte incarichi d’insegnamento proprio presso le cattedre di fisica dell’ateneo fondato da Bonifacio VIII nel lontano 1303 con il nome di Studium Urbis. Una memoria insomma da conservare e possibilmente valorizzare se solo si pensa – ha osservato infine Gigante – che Roma, a fronte di un simile passato, resta tuttora l’unica grande capitale europea ancora priva di un museo della scienza.
Di analogo tenore anche l’intervento della professoressa Maras che ripercorrendo la vivace storia del museo mineralogico del Collegio (1751) – fondato dallo scolopio lucchese Giovan Vincenzo Petrini (1725-1824), più volte Rettore della scuola, da cui il nome di ‘museo petriniano’ – ha sottolineato come la sua istituzione preceda di svariati decenni quello dell’ateneo romano (il cui primo direttore tra l’altro fu pure uno scolopio, il padre Carlo Giuseppe Gismondi (1762-1824)), collezionando nell’arco del tempo anche lasciti e doni di prestigio da parte di personalità come l’imperatore asburgico Giuseppe II.
Ma oltre ad essere un polo museale scientifico di qualità, il Collegio è stato anche un luogo di notevole formazione, umanistica (ospitando un’Accademia degli Incolti, la cui protettrice fu nientemeno che Cristina di Svezia), morale e spirituale (con un’apposita Congregazione Lauretana), a trecentosessanta gradi, se si considera che per le sue aule sono passati Santi del calibro di San Vincenzo Pallotti (1795-1850) e San Leonardo Murialdo (1828-1900) e che proprio questa fama di scuola d’istruzione d’eccellenza riuscì a guadagnarsi l’attenzione di Papi come Pio IX – che la visitò, restando entusiasta, per tre volte – o Re d’Italia come Vittorio Emanuele III.
Anche per questo, insomma, oltre che per i ricordati meriti di pionieristico laboratorio d’istruzione pubblica in un tempo in cui la nozione stessa di scuola per tutti in Europa era praticamente sconosciuta dai più, la conservazione della sua memoria e la tutela dei suoi beni dovrebbero essere questioni di evidente interesse generale, anche a prescindere dal credo religioso o dalle ideologie politiche eventualmente professate.
Gli ex alunni, comunque, non si arrendono e promettono di andare avanti con la mobilitazione: la prossima iniziativa di sensibilizzazione culturale in programma è prevista sempre presso i locali della arciconfraternita, simbolicamente a due passi del Campidoglio, a inizio dell’anno prossimo.
 
 
 
 
 
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“Quando io ti chiamo”: un invito alla lettura di Elena Bono https://it.zenit.org/2015/12/22/quando-io-ti-chiamo-un-invito-alla-lettura-di-elena-bono/ https://it.zenit.org/2015/12/22/quando-io-ti-chiamo-un-invito-alla-lettura-di-elena-bono/#respond Tue, 22 Dec 2015 14:52:01 +0000 https://it.zenit.org/articles/quando-io-ti-chiamo-un-invito-alla-lettura-di-elena-bono/ Edito da Marietti, il saggio critico di Francesco Marchetti abbraccia l’intera produzione poetica, narrativa e teatrale della scrittrice, scomparsa un anno fa

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Ha attraversato tutto il Novecento misurandosi brillantemente con i generi più vari e diversi del cosmo letterario (dalla poesia al teatro alla narrativa), eppure il nome di Elena Bono (1921-2014) non ha ancora fatto ingresso nelle antologie delle nostre scuole dell’obbligo, cosicché la figura forse più originale della letteratura cristiana italiana del secolo scorso per molti studenti del nostro Paese resta ancora oggi quasi tutta da scoprire.
A poco più di un anno dalla sua scomparsa, la lacuna viene ora colmata dal primo invito ragionato alla lettura completa della sua produzione  curato per le edizioni Marietti da Francesco Marchitti (cfr. F. MARCHITTI [a cura di], Quando io ti chiamo. Invito alla lettura di Elena Bono, Marietti, Genova 2015, Pp. 150, Euro 10).
Il saggio, che esce in contemporanea alla ripubblicazione (per la stessa casa editrice) del lungo racconto-capolavoro La moglie del procuratore – originariamente parte integrante della raccolta Morte di Adamo, primo volume assoluto di prosa narrativa uscito per Garzanti nel 1956, contenente un affresco di rara bellezza sulla Passione di Cristo è il risultato di un’articolata opera di riflessione a più voci sulla poliedrica scrittrice di Chiavari a cui hanno partecipato, nei mesi scorsi, oltre allo stesso Marchitti, studiosi di varia estrazione come Paolo Amelio, Silvia Guidi, Anna Maria Roda, Stefania Segatori e Gian Mario Veneziano.
In particolare, nel saggio, la ricca produzione lirica della Bono, è presa in esame proprio dal contributo di Veneziano che ne mette in luce giustamente il carattere distintivo spiccatamente cristiano sicchè l’ispirazione religiosa che la muove in ultima analisi non risulta un mero accidente culturale tra gli altri, quasi che la fede influenzasse un ambito e la filosofia o la politica un altro, ma la vera ragion d’essere della poesia boniana che trova così nel sacrificio della croce l’evento “perennemente attuale, che rivive in tutte le drammatiche evenienze della Storia” (pag. 52), ieri come oggi.
Per comprendere le vicende e i destini ultimi dei piccoli come dei grandi uomini per l’artista occorre infatti tornare ancora e sempre a Gesù, “fatto storico nel Quale sono misteriosamente presenti i destini di tutti gli uomini” (ibidem) e fuori del Quale invano si cercherebbero risposte. Anzi, è piuttosto l’eterno presente della teologia della croce riassunta nel Golgota a illuminare mirabilmente i drammi fondamentali dell’intero essere portando a un livello più alto di conoscenza – in definitiva, l’unico vero – i molteplici pensieri che l’osservazione stupita del reale suggerisce alla scrittrice.
Definire quindi la poesia della Bono come una “poesia teologica” (pp. 65) a tutto tondo non appare un virtuosismo di maniera ma un’interpretazione significativamente convincente, perchè già verificata alla prova dell’officina dell’autrice, per svelare i segreti più nascosti del suo intero corpus letterario.
Ugualmente, nella raccolta Morte di Adamo, la Bono prende spunto da questo o quell’episodio accennato, o appena sfiorato, dai Vangeli canonici per intrecciare poi liberamente altre storie parallele in cui il centurione Marco, piuttosto che la suocera di Pietro o la vedova di Ponzio Pilato,  Claudia Serena Procula, s’interrogano tra loro – interrogando a loro volta il lettore – sull’enigma profondo dell’avventura umana nel mondo che troppo spesso – ordinariamente – appare  tanto assurdo quanto privo in apparenza di logica e che solo all’interno della Rivelazione, in un ottica quindi metanarrativa, riesce a trovare una qualche cornice di senso nell’attesa orante del disvelamento totale di tutte le cose dove ogni lacrima sarà asciugata, ogni paura scacciata e ognuno apparirà, citando un noto passaggio biblico, quale realmente è.
Nella produzione teatrale, infine, indagata qui con maestria da Silvia Guidi che ricorda come la qualità dei suoi lavori, ad esempio il dramma La testa del profeta, avesse già colpito fior di registi quali Rossellini e Pasolini (che, per motivi diversi, non riuscirono però a farne la trasposizione cinematografica che avrebbero voluto), vengono poi suggeriti altri vertiginosi confronti, con l’arte di Dostoevskij, per restare tra i classici, ma anche – per bocca della stessa Bono – con Hemingway: “Voglio dire con Hemingway che la grande tragedia centrale della vita dell’uomo è la lotta tra la luce e le tenebre. Bisogna decidere. E’ il destino fondamentale. Bisogna scegliere. O noi vogliamo liberare l’uomo o asservirlo. A cominciare da noi. Perchè, se vogliamo sopraffare l’uomo, diventiamo manganellatori. Mostri. Il problema di fondo è quello della scelta” (pag. 111).
E lo è, si potrebbe aggiungere, perchè è da questa scelta che dipende ultimamente la possibilità della felicità umana come realizzazione compiuta dell’amore vero tanto desiderato, ancorchè sconosciuto: “Il teatro di Elena Bono smaschera l’allergia contemporanea al verbo attendere. Disabituati all’attesa e quindi alla distanza inevitabile da attraversare per raggiungere una meta non conoscibile a priori, radicalmente impossibile da prevedere, la tentazione ricorrente è pensare alla felicità come a una complicata alchimia di risultati da conseguire e componenti diverse da armonizzare, censurando ferite e contraddizioni. Presto o tardi però l’algoritmo perfetto per una educata, raffinata felicità umana, tutta umana mostra i suoi limiti. L’esteta contemporaneo, perennemente a caccia di momenti perfetti, sarà capace di abbandonare l’immagine che ha di se stesso per amore di qualcuno? Oppure, troppo occupato a guardarsi recitare sul palcoscenico del mondo, non avrà tempo per gesti di tenerezza vera, poco appariscenti e poco ‘estetici’? Solo il dimenticare se stessi, anche solo per un attimo, è sintomo di amore autentico” (pag. 107).
 

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Quando Pio XII affidò i Musei vaticani a un'ebrea https://it.zenit.org/2015/03/21/quando-pio-xii-affido-i-musei-vaticani-a-un-ebrea/ https://it.zenit.org/2015/03/21/quando-pio-xii-affido-i-musei-vaticani-a-un-ebrea/#respond Sat, 21 Mar 2015 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/quando-pio-xii-affido-i-musei-vaticani-a-un-ebrea/ Hermine Speier fu salvata dall'olocausto dalla Chiesa Cattolica, alla quale poi si convertì

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Non accennano ad esaurirsi le testimonianze a favore dell’opera della Chiesa durante la persecuzione ebraica perpetrata dal regime nazionalsocialista negli anni della Seconda Guerra Mondiale.

L’ultima in ordine di tempo riguarda la figura di Hermine Speier (1898-1989), l’archeologa ebrea tedesca che in un contesto sociale difficilissimo – che la vedeva emarginata sia in quanto donna che in quanto ebrea – riuscì, nonostante tutto, a mantenere prima la propria indipendenza professionale e poi ad avere salva la vita proprio grazie alla Santa Sede e ai Pontefici che la guidarono in quegli anni.

Una storia incredibile, poco nota ai più, raccontata ora per il grande pubblico dalla giornalista Gudrun Sailer in un volume in uscita per le edizioni Aschendorff di Münster (cfr. G. Sailer, Monsignorina. Die deutsche Jüdin Hermine Speier im Vatikan [Monsignorina. L’ebrea tedesca Hermine Speier in Vaticano], Pp. 384, Euro 19,80).

Nativa di Francoforte e allieva del grande Ludwig Curtius (1874-1954) all’università di Heidelberg, in giovinezza la Speier si avvicina ai circoli letterari del poeta Stefan George (1868-1933) dando prova già a suo tempo di una curiosità e di una vivacità intellettuale assolutamente fuori dal comune.

Più tardi, dopo il conseguimento della laurea in archeologia e i primi lavori a Königsberg, si trasferisce in Italia, dove viene assunta dal Deutsche Archäologische Institut. La presa del potere da parte di Adolf Hitler, però, anche a tanti chilometri di distanza, finirà per sconvolgere i piani della sua vita: già nel 1934, essendo ebrea, perde il lavoro e si trova a dover ricominciare tutto da capo in una terra straniera. D’altra parte in Germania non può tornare, perché in Patria per quelli col suo sangue non c’è più posto.

È allora che accade l’incredibile: grazie all’intermediazione di Curtius – nel frattempo anch’egli trasferitosi a Roma – viene presentata all’allora direttore dei Musei Vaticani, Bartolomeo Nogara e, con l’assenso di Papa Pio XI, trova riparo in Vaticano e assunta al servizio diretto dei musei papali nella fototeca.

Che sia proprio un’ebrea prendersi cura della più grande collezione di tesori artistici della Chiesa sarebbe una notizia che da sola farebbe piazza pulita di parecchi luoghi comuni – dal maschilismo all’antigiudaismo – che pure allora vengono riversati dai mass-media di mezzo mondo sul vertice istituzionale della Chiesa, ma la notizia non trapelerà mai, in primis per tutelare la sicurezza della stessa Speier.

Dopo Pio XI, quando con le leggi razziali del fascismo (1938) la situazione diventerà piuttosto critica anche in Italia, per uno di quei paradossi della storia recente, sarà proprio Pio XII – il Papa a cui solitamente vengono imputati i maggiori silenzi sulla persecuzione ebraica – a confermare intatta la fiducia della Chiesa vero l’operato della Speier, salvandole di fatto la vita, mentre lei fisicamente riparerà presso la comunità di monache benedettine delle catacombe di Priscilla.

Tutto questo, oggi, alla mentalità comune, dice poco ma, come argomenta l’autobiografia della Sailer, assumersi una responsabilità del genere nell’Europa degli anni Trenta non era facile: fino ad allora in Vaticano avevano certamente lavorato diverse donne ma mai una straniera. La Speier fu così la prima donna straniera, oltre che ebrea, a lavorare sotto la cupola di San Pietro grazie all’interessamento e al supporto diretto di due Papi solitamente descritti dai manuali storici come tutt’altro che moderni: Papa Ratti e Papa Pacelli.

L’altro dato poco noto è che – se la vicenda della Speier è esemplare per tutti questi motivi – essa non fu l’unica di quegli anni. Nell’epoca di Pio XI infatti, la resistenza della Santa Sede alle ideologie totalitarie, oltre ai documenti espliciti (come l’enciclica Mit Brennender Sorge) si attuò proprio con una singolare “strategia di impiego professionale” grazie alla quale trovarono salvezza non meno di “due o tre dozzine” di studiosi: accademici, intellettuali e ricercatori di vario tipo accolti in Vaticano con le tipologie di collaborazione più diverse, tra questi diversi “non ariani” come pure “personaggi accusati di comunismo”.

L’espressione tipica utilizzata per giustificare questi rapporti nei documenti ufficiali era: “collaboratore scientifico” (“wissenschaftliche Mitarbeiter”), perlopiù svolgevano la loro attività nella Biblioteca Vaticana e tutti venivano comunque dotati di un documento d’identità vaticano che li avrebbe tutelati nel caso di fermo o arresto delle autorità italiane. Più tardi, negli anni della guerra – stando agli ultimi documenti – gli ebrei salvati solo a Roma dall’azione della Chiesa perché ospitati in conventi, case religiose o parrocchie, arriveranno a oltre 5000 mentre presso il Campo Santo Teutonico, direttamente all’interno del Vaticano, troveranno rifugio un’altra cinquantina di persone comprese diverse famiglie – ebree e non – con i loro bambini.

Tornando alla Speier, la storia ebbe un lieto fine: non solo infatti si salvò, ma dopo undici anni in Italia si convertì al cattolicesimo ricevendo il battesimo, ormai quasi 41enne. Una scelta sincera e tutt’altro che facile da comprendere, soprattutto per la sua famiglia di origine, da cui tuttavia non recedette mai, diventando anzi a sua volta una testimone convinta.

Lavorò ai Musei Vaticani fino al 1967, l’anno in cui raggiunse la pensione, rifiutando deliberatamente – per gratitudine a quella Chiesa che di fatto l’aveva salvata – un’offerta professionale ritagliatale su misura presso l’Istituto Archeologico tedesco, dove avrebbe guadagnato almeno tre volte tanto: “Credo che quando si diventa, in un modo peraltro eccezionale come il mio, una ‘serva Sancti Petri’ [‘una persona al servizio del Papa’, in latino nel testo], non si possa andare via”.

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Una petizione per salvare il Collegio Nazareno https://it.zenit.org/2014/06/18/una-petizione-per-salvare-il-collegio-nazareno/ https://it.zenit.org/2014/06/18/una-petizione-per-salvare-il-collegio-nazareno/#respond Wed, 18 Jun 2014 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/una-petizione-per-salvare-il-collegio-nazareno/ Ultimi giorni di attività per la storica scuola popolare, fondata da San Giuseppe Calasanzio

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Come ZENIT aveva riportato a suo tempo (http://www.zenit.org/it/articles/il-collegio-nazareno-verso-la-chiusura), il Collegio Nazareno, la prima scuola popolare capitolina e una delle più antiche d’Europa (la fondazione avvenne ad opera di San Giuseppe Calasanzio nel 1630) si avvia a chiudere i battenti.

Terminato l’anno scolastico, a meno di improvvisi colpi di scena, le aule del cinquecentesco Palazzo Tonti verranno cedute a una neonata struttura alberghiera per farne un hotel di prima classe.

Avviata mesi orsono nel sostanziale disinteresse della società civile e coperta dal totale silenzio dei mass-media, l’inedita operazione è riuscita finalmente a fare eco dopo che il senatore Luigi Compagna aveva presentato a inizio maggio un’interrogazione parlamentare diretta al Presidente del Consiglio dei ministri nonché ai Ministri dell’Istruzione, dei Beni Culturali e dell’Interno chiedendo “quali garanzie [il Governo] intenda produrre a tutela dei locali plurisecolari e del patrimonio artistico del collegio”.

Lo storico collegio del primo municipio capitolino, a un passo da Piazza di Spagna, vanta in effetti al proprio interno dei tesori di indubbio rilievo e pregio artistico: dagli affreschi cinquecenteschi che ornano l’Aula Magna, alle tele della galleria di Giovanni Bellini (il Giambellino) e di Giovan Battista Galli (il Baciccia), alle statue e ai busti marmorei che ritraggono personalità eminenti dell’antica Roma repubblicana ed imperiale, situati sugli scaloni e nel cortile, al patrimonio librario della biblioteca e al museo mineralogico, i capolavori e gli oggetti degni di tutela e interesse pubblico non mancano.

Tuttavia, a rigor di logica, non sarebbe nemmeno questo il punto più importante, quanto il fatto che la missione della scuola e dell’istituto fondato dal Calasanzio – che volle il Nazareno proprio per quell’area nevralgica del centro-storico – verrebbe improvvisamente meno dopo oltre quattro secoli, in spregio della sua stessa volontà e per motivi meramente commerciali, restringendo così ulteriormente gli spazi della libertà di educazione nel nostro Paese.

Successivamente all’interrogazione, l’incredibile vicenda e la notizia dell’inattesa chiusura sono state prima riprese dall’agenzia ANSA e quindi, in pochi giorni, sono rimbalzate fin sulle pagine dei grandi quotidiani nazionali come Il Corriere della Sera e La Repubblica.

Da ultimo, la scorsa settimana, il neo-costituito “Comitato Collegio Nazareno” e l’associazione degli ex alunni della scuola hanno lanciato una petizione popolare on-line (http://www.change.org/it/petizioni/tutti-collegio-nazareno-la-storia-deve-continuare) chiedendo  urgentemente l’intervento delle istituzioni e cercando di mobilitare la cittadinanza: in pochi giorni sono state già superate le mille e duecento firme.

Nel testo presentato, tra le altre richieste, si legge: “Chiediamo a tutti i romani e ai forestieri che amano Roma di firmare per far sì che il Nazareno conservi la funzione di «immobile destinato alla formazione», intesa come «scuola paritaria» e, quindi, riconosciuta dallo Stato italiano. Vogliamo che il Collegio Nazareno resti una scuola e un bene pubblico accessibile a tutti e che vengano adottate tutte le possibili azioni affinché siano rispettate la volonta` fondante del Collegio Nazareno e la storia che l’Istituto rappresenta, quale scuola ‘popolare’ piu` antica d’Europa”. C’è da sperare solo che non sia troppo tardi.

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I Maristi denunciano: crimini contro l'umanità ad Aleppo https://it.zenit.org/2014/05/26/i-maristi-denunciano-crimini-contro-l-umanita-ad-aleppo/ https://it.zenit.org/2014/05/26/i-maristi-denunciano-crimini-contro-l-umanita-ad-aleppo/#respond Mon, 26 May 2014 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/i-maristi-denunciano-crimini-contro-l-umanita-ad-aleppo/ Più volte la popolazione è rimasta senza acqua, luce e telefono e vari civili sono stati presi in ostaggio

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Sempre più drammatiche le notizie provenienti dalla Siria. Nell’attuale impossibilità di ottenere notizie affidabili, una testimonianza di prima mano è quella fornita dai Fratelli Maristi che sono rimasti in tre nella città di Aleppo, teatro da ormai due anni di scontri sanguinosissimi tra l’esercito di Assad e le fazioni dei ribelli con un blocco permanente di viveri e rifornimenti che ha messo letteralmente in ginocchio la popolazione civile, comprendente circa due milioni di persone.

I Maristi denunciano che più volte negli scorsi mesi la popolazione è rimasta priva di energia elettrica, acqua o telefono, alcune volte anche fino a tre settimane. Sugli stessi civili, persino in zone densamente abitate, si sono scagliati poi i cecchini appostati sui palazzi mentre non si contano le bombe buttate dai terroristi all’improvviso tra la folla durante il giorno.

Altri civili sono stati presi in ostaggio e non se ne ha più notizia. Immensi e irreparabili i danni stimati finora all’antichissimo patrimonio archeologico. Richiamando le convenzioni di Ginevra e lo statuto di Roma che istituisce la Corte Penale Internazionale, i religiosi denunciano quindi che siamo davanti a “crimini contro l’umanità”, cioè “atti disumani che provocano intenzionalmente grandi sofferenze o gravi lesioni all’integrità fisica o alla salute fisica o mentale” di persone innocenti e indifese.

Nonostante l’assedio recentemente rotto al carcere locale dai soldati governativi, al momento è ancora difficilissimo lasciare o entrare nella città e tutte le comunicazioni sono tagliate. La comunità religiosa chiama in causa le responsabilità dell’ONU e delle grandi potenze che assistono inermi a quanto accade, indifferenti alla sofferenza di un intero popolo.

Il drammatico appello segue di qualche giorno la denuncia dell’arcivescovo armeno-cattolico della città Boutros Mayati che lamentava all’agenzia FIDES un’ulteriore escalation delle violenze in vista delle elezioni presidenziali fissate per il prossimo 3 giugno e quella dell’Osservatorio nazionale per i Diritti Umani in Siria – rilanciata dalla Radio Vaticana la scorsa settimana – secondo cui da gennaio scorso circa 850 siriani (comprese diverse donne e bambini) sarebbero morti nelle prigioni del Paese a causa delle numerose torture subite.

Come noto, la città di Aleppo, definita popolarmente “la capitale del Nord” é la città più popolosa del Paese e – dopo Beirut e Il Cairo – la terza maggiore città cristiana del mondo arabo. Nel 1986 è stata dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.    

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Un paese smarrito e la speranza di un popolo https://it.zenit.org/2014/05/16/un-paese-smarrito-e-la-speranza-di-un-popolo/ https://it.zenit.org/2014/05/16/un-paese-smarrito-e-la-speranza-di-un-popolo/#respond Fri, 16 May 2014 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/un-paese-smarrito-e-la-speranza-di-un-popolo/ Presentato a Roma l'Appello politico agli italiani dell'Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân

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Nella storica cornice del seicentesco Palazzo Altieri è stato presentato a Roma l’Appello politico agli italiani dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina Sociale della Chiesa, disponibile da qualche giorno in libreria (Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa, Un Paese smarrito e la speranza di un popolo. Appello politico agli italiani, Cantagalli, Siena 2014, Pp. 88, Euro 6,00).

Introdotta dal giornalista Antonio Polito – direttore del Corriere del Mezzogiorno – la serata ha visto intervenire quali ospiti d’eccezione il Ministro dell’Interno, Angelino Alfano, e il Segretario generale della CISL, Raffaele Bonanni, oltre al presidente dell’Osservatorio, l’Arcivescovo di Trieste, monsignor Giampaolo Crepaldi.

A prendere la parola per primo è stato proprio Polito che si è detto “molto colpito dalla qualità intellettuale del testo dell’appello”, definendolo “un fatto importante” nell’attuale panorama del dibattito culturale politico. Secondo l’ex editorialista del Corriere della Sera, l’articolata proposta dell’Osservatorio farà riflettere più di un osservatore e “germinerà qualcosa” a livello pratico. In effetti, l’appello non si presenta come l’ennesimo, generico documento meramente esortativo ai buoni sentimenti ma reca “un analisi molto severa sul ruolo dei cattolici in politica” che, mentre fa il punto della storia del laicato organizzato degli ultimi vent’anni (la Seconda Repubblica), denuncia anche con vigore che in questo arco di tempo si è drammaticamente “frammentata” la “visione unitaria del bene comune” che tiene insieme gli stessi cattolici determinando un’evanescenza culturale che oggi è sotto gli occhi di tutti.

Sulla stessa linea il breve intervento di Giuseppe De Lucia Lumeno, segretario generale dell’Associazione nazionale fra le banche popolari che ha ospitato l’evento, il quale, dopo aver lamentato che, più che il tempo della speranza, sembra di vivere quello de L’urlo di Munch (il celebre dipinto espressionista che simbolicamente segna, almeno a livello figurativo, l’apogeo e insieme la crisi della civiltà moderna) si è augurato che il testo dell’Osservatorio faccia non solo pensare e interrogare i politici ma anche agire.

Da parte sua Carlo Costalli – presidente del Movimento Cristiano Lavoratori (MCL) – annunciando l’adesione dell’associazione alle proposte del testo, ha aggiunto – facendo eco alle parole di Polito – con espresso riferimento ai cristiani impegnati in politica, che “quello che si agita nel mondo cattolico negli ultimi tempi è sempre meno” e che la stessa comunità dei credenti, soggettivamente “fragile”, si trova spesso “sedotta dal pensiero debole” presentandosi come incapace di elaborare pubblicamente una propria visione dell’uomo e della società.

A seguire è intervenuto monsignor Crepaldi che – ricordando la figura del compianto cardinale vietnamita a cui è intitolato l’Osservatorio che nel 2014 compie dieci anni di vita – ha specificato subito che un Vescovo, pur non facendo politica, ha a che fare con l’appello “perché l’orizzonte del documento [oltre al codice di Camaldoli del luglio 1943, da cui prende idealmente spunto] è la Dottrina sociale della Chiesa”.

Prevenendo poi le domande sul perché di questa iniziativa proprio in questa particolare stagione storica, Crepaldi ha spiegato che “è un senso di responsabilità verso il Paese che ha spinto l’Osservatorio a proporsi come una voce di speranza” e d’impulso allo stantio dibattito attuale. Ne deriva che l’appello “ha la pretesa di essere una proposta organica con delle scelte molto chiare” e dunque c’è da aspettarsi che “non andrà bene per tutti”.

Da parte loro, però, i due ospiti d’eccezione presenti, Bonanni e Alfano, hanno raccolto positivamente l’invito al confronto. Per il segretario generale della CISL – che ha ricordato come l’Italia sia l’unico Paese dei grandi dell’OCSE che non cresce ormai da diversi anni – la convergenza è sul fatto che la crisi “è anche morale e spirituale” e quindi vada ben oltre la mera dimensione politica o, peggio ancora, tecnocratica.

Oggi “mancano energie nel Paese” e queste si possono ritrovare solo a partire da processi ed esperienze che nascono prima e comunque fuori del confronto elettorale. In merito alla discussione sempre ricorrente sul partito unico dei cattolici, Bonanni si è detto poi scettico sulle sue reali possibilità di aggregazione (d’altronde il tono complessivo dell’appello è su ben altre prospettive) ribadendo che la soluzione sta invece in una maggiore e più convinta “testimonianza personale controcorrente da parte dei cattolici” giacché vi è un “populismo che ha invaso ogni campo della vita civile” che, se dovesse aumentare ulteriormente i suoi consensi, come sembra, vi è il rischio concreto di un’ulteriore drammatizzazione dello scenario politico e sociale. Insomma, se “il luogocomunismo oggi spopola” per sconfiggerlo serve una rinnovata testimonianza di coerenza di fede come di vita: “il protagonismo civile rinasce [solo] attraverso l’impegno di ciascuno”.

Di differente tenore l’intervento di Alfano che, definendo la ricostruzione della recente vicenda storica dei cattolici italiani nell’appello “molto veritiera”, ha invece sottolineato la centralità del valore della persona umana che emerge dalle proposte dell’Osservatorio, cosa che – insieme al richiamo alla politica, e non all’anti-politica oggi in voga – contribuisce a fare dell’appello un testo davvero “coraggioso”. Riprendendo poi in parte lo spunto di Bonanni sul populismo, il Ministro dell’Interno ha spiegato che oggi, a suo avviso, il vero bipolarismo italiano  è nelle piazze e sui social network tra il “partito della rabbia” – che spinge per il ‘tanto peggio tanto meglio’ a livello sociale e istituzionale, costi quello che costi  – e “il partito della speranza” che crede invece che l’Italia, come tante altre volte nei momenti di crisi, possa riuscire a farcela ancora facendo leva sulle sue riserve migliori.

È l’Italia dei volontari della Caritas e dell’associazionismo cattolico che viene in soccorso di tanti sfortunati, dei ragazzi che studiano e lavorano sodo per costruirsi un futuro, delle famiglie che reggono nonostante tutto come rete di mutua solidarietà e accoglienza. Se questa è l’Italia reale e dunque rappresentativa dell’importanza delle sfide sulla vita, la famiglia, la tenuta dei corpi intermedi e la pratica della sussidiarietà, “non serve un partito dei cattolici” ma dei partiti – chiunque siano – che difendano operativamente questi valori fondamentali. In conclusione del suo intervento Alfano – guardando alle prossime elezioni per l’Europarlamento – ha poi aggiunto che se è indubbio che l’Europa è in crisi e che né la moneta né il mercato unico sono riusciti veramente a unire i popoli, tuttavia va anche ricordato che – per la prima volta nella storia da quando c’è l’Unione Europea, prima ancora la CEE – il continente non ha conosciuto più né guerre né conflitti bellici.

Commentando a sua volta gli interventi di Alfano e Bonanni, Crepaldi ha aggiunto infine che “l’obiettivo dell’appello non è fare un partito, ma superare la frammentazione interna per cui oggi i cattolici sono incapaci di fare una proposta organica e responsabile” come cittadini e come cattolici insieme. Si spera ora che nei prossimi mesi le numerose proposte dell’appello – variegate e molto concrete, dal riconoscimento effettivo della piena libertà di educazione prevista dalla Costituzione e mai attuata alla privatizzazione della RAI – vista la posta in gioco e l’entità della crisi in corso, dentro e fuori il mondo cattolico, vedano un dibattito il più ampio e trasversale possibile.

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Quando lo sviluppo nasce dal Vangelo: il caso del Mozambico https://it.zenit.org/2014/03/27/quando-lo-sviluppo-nasce-dal-vangelo-il-caso-del-mozambico/ https://it.zenit.org/2014/03/27/quando-lo-sviluppo-nasce-dal-vangelo-il-caso-del-mozambico/#respond Thu, 27 Mar 2014 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/quando-lo-sviluppo-nasce-dal-vangelo-il-caso-del-mozambico/ L'esperienza dell'associazione "O Viveiro" raccontata in una tavola rotonda al Vicariato di Roma

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Per poter garantire condizioni durature di pace nelle aree di crisi, la vera chiave di volta non si trova nei superficiali slogan a effetto ‘grande’ politica che raccolgono le prime pagine dei nostri giornali. Ma si trova nell’oscuro lavoro quotidiano portato avanti seriamente, con pazienza e perseveranza, da persone sconosciute che credono davvero nello sviluppo sociale incentrato sulla dignità trascendente della persona e inteso nel senso più ampio possibile.

È questo il messaggio che arriva dalla tavola rotonda Le attuali sfide per lo sviluppo in Mozambico e il caso del Distretto di Cahora Bassa, organizzata presso il Vicariato di Roma dall’associazione O Viveiro, onlus fondata nel 2006 con lo scopo di promuovere la formazione umana, morale e sociale dei bambini che vivono in aree particolarmente disagiate e senza possibilità alcuna di avere un futuro dignitoso. Come il caso della sfortunata area sud-orientale del Mozambico, appunto, uno dei Paesi più poveri del mondo, stretta in una morsa mortale tra un’estrema povertà materiale e l’analfabetismo di massa.

Presentata dalla giornalista RAI Enza Emira Festa, la serata ha visto l’intervento di mons. Matteo Zuppi, Vescovo ausiliare di Roma, delle professoresse Simona Beretta, docente di Economia internazionale presso la Cattolica di Milano, e Gabriella Cotta, docente di filosofia politica presso La Sapienza di Roma, e di Flaminia Giovanelli, Sottosegretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, nonché presidente di O Viveiro.

Ad aprire i lavori é stato il vescovo Zuppi, il quale ha ricordato la sua esperienza pluridecennale con la realtà sociale mozambicana nell’ambito di progetti di cooperazione per le popolazioni di paesi in via di sviluppo, promossi dalla Comunità di Sant’Egidio. Un impegno dispendioso e tutt’altro che semplice, in un periodo in cui la giovane Repubblica africana aveva da poco guadagnato l’indipendenza dal Portogallo (1975) e si misurava quotidianamente con un sanguinoso conflitto civile, durato poi 17 anni, che vedeva contrapporsi il Fronte di Liberazione Nazionale armato (FRELIMO, poi organizzatosi in partito politico) e la resistenza del RENAMO. 

Dopo una serie di negoziati, la svolta inattesa si ottenne il 4 ottobre 1992 quando a Roma verranno firmati gli Accordi di pace. Il presule ha ricordato come da allora molto sia cambiato e il Paese, pur con fatica, sia riuscito ad ottenere una certa stabilità interna senza subire “violenze o regolamenti di conti”. Se questo è potuto accadere, però, è soprattutto grazie all’amnistia che fu promulgata all’indomani degli Accordi di pace, che “ha curato la memoria del Paese da ambo le parti”. Oggi, poi, “la società civile si sta sviluppando, c’è una presenza di tv e radio private”, una stampa libera, ha osservato Zuppi, e all’orizzonte pare scorgersi anche un terzo partito che potrebbe contribuire significativamente a una maturazione del sistema democratico.

A seguire, la professoressa Beretta che, soffermandosi sulla particolare attenzione che O Viveiro dedica al dramma delle bambine abbandonate, ha approfondito la bellezza di quel “genio femminile” naturale che rende la donna istintivamente più capace di accogliere, custodire e generare. Tre verbi non scelti per nulla a caso. Si tratta infatti di azioni tipiche dell’identità femminile in quanto tale, che non valgono solamente in riferimento alla maternità biologica, ma anche per creare le condizioni del ‘buon sviluppo’, cristianamente inteso.

Lo sviluppo sociale integrale in sé, infatti, non è tanto un obiettivo astratto scritto da esperti sulla carta ma “un percorso umano” lungo ed elaborato, dalle mille variabili, che evidenzia la necessità di “prendersi cura dell’altro” e di “coltivare relazioni interpersonali”, perché una comunità – ovunque sia, in qualsiasi tempo – vive ‘fisiologicamente’ di relazioni reciproche. D’altra parte, ha concluso Beretta, il valore aggiunto dell’associazione O Viveiro è proprio di non limitarsi a far fronte alle esigenze dell’immediato hic et nunc ma lavora pazientemente a lungo termine sull’educazione umana, morale e spirituale, che, non facilmente contabilizzabile dai bilanci semestrali, incide profondamente sul tessuto sociale. 

La serata è poi proseguita con il video dell’intervista raccolta da Emanuela Bonavolta – responsabile di progetto di O Viveiro – a padre Costantino Bogaio, guida della vivace parrocchia (accoglie 500 persone ogni domenica) “Giovanni XXIII” a Chitima, nella provincia di Tete. Si è così avuto modo di vedere ‘sul campo’ ciò che le donazioni dei benefattori rendono possibile: dall’accoglienza di ragazze che altrimenti finirebbero sulla strada o vittime dell’agghiacciante prassi dei matrimoni-bambini, alla formazione umana a 360° che va dal Catechismo, allo studio, allo sport.

Ma molto resta ancora da fare: padre Costantino ha mostrato ad esempio la struttura fatiscente della storica missione locale dei Comboniani che andrebbe completamente restaurata e messa in sicurezza perché i suoi grandi spazi sono del tutto inagibili al momento. Per garantire una società sana anche per il domani è infatti importante ancorare saldamente i giovani sul posto, ricordando loro l’importanza delle proprie radici e dell’amore per la propria terra. Qualcosa che però senza un lavoro dignitoso e socialmente rispettato sarà difficile da raggiungere.

Lo ha messo in luce anche Giovanelli che ha ricordato come “evangelizzazione e promozione umana” siano intrinsecamente legati l’una all’altra se realmente si crede che la fede abbia qualcosa da dire anche per la costruzione concreta della società. E in questi anni, da quando la onlus è nata, in termini di opere è stato fatto veramente tanto: sono stati scavati quattro pozzi per l’acqua, con i terreni acquistati si sono prodotti e commercializzati vari ortaggi con cui la comunità locale si alimenta e si sostiene economicamente, facendo anche dei contratti appositi con i negozianti dell’area e imparando quindi direttamente a ‘fare impresa’.

La serata si è conclusa poi con l’intervento della professoressa Cotta che ha sottolineato quanto l’evangelizzazione cristiana costituisca storicamente “un fattore di progresso sociale”, particolarmente nelle società dove il paganesimo e i riti magici esercitano ancora una grande influenza sui costumi della popolazione determinandone convinzioni assurde, fatalistiche o semplicemente immobilistiche. La Dottrina sociale della Chiesa, se presa sul serio, quando cioè il Vangelo riesce a diventare cultura, mentalità, modo di pensare e di vivere di una comunità, contribuisce veramente alla liberazione completa dell’uomo: dall’ignoranza materiale come dai tanti tipi, moderni e antichi, di povertà.

*

Alla pagina internet del sito dell’associazione www.oviveiro.org è possibile trovare altri approfondimenti sulle altre iniziative in corso e come partecipare concretamente, anche dall’Italia, a quest’opera di promozione umana (info@oviveiro.org).

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Il Collegio Nazareno verso la chiusura https://it.zenit.org/2013/12/09/il-collegio-nazareno-verso-la-chiusura/ https://it.zenit.org/2013/12/09/il-collegio-nazareno-verso-la-chiusura/#respond Mon, 09 Dec 2013 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/il-collegio-nazareno-verso-la-chiusura/ La scuola pubblica 'popolare' più antica d'Europa, fondata da San Giuseppe Calasanzio nel 1630 potrebbe essere trasformata in un albergo extra-lusso

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Da quattro secoli è una delle memorie parlanti dell’incantevole centro storico romano, proprio nella culla della Cristianità. In quel largo situato tra via del Tritone e piazza di Spagna, che prende il nome proprio dall’antica scuola omonima, a stretto contatto con la celebre Chiesa di Sant’Andrea delle Fratte (in cui la Vergine Maria apparve all’ebreo Alphonse Maria Ratisbonne convertendolo a Cristo), il Collegio Nazareno è dal 1630 il simbolo vivente, oltre che il precursore cronologico, di tutte le scuole popolari d’ispirazione cristiana.

Scuola ‘popolare’ originariamente gratuita, e quindi pubblica, proprio perché pro populo, pensata cioè appositamente per i più poveri e sfortunati (che allora pure erano tanti) della Città Eterna. Così l’aveva ideata e voluta uno dei più grandi Santi fondatori della storia della Chiesa: lo spagnolo Giuseppe Calasanzio (1557-1648), istitutore dell’ordine degli scolopi, come abitualmente vengono chiamati i religiosi appartenenti ai Chierici regolari poveri della Madre di Dio delle scuole pie, per l’appunto le prime scuole d’ispirazione cristiana rivolte esplicitamente ai poveri, nell’anima e nel corpo. Scuole di formazione umana, oltre che d’istruzione materiale, ad ampio respiro, rivolte a tutti, e al contempo con un’offerta didattica ricca e ‘di alta qualità’, come la definiremmo oggi. 

Il Collegio Nazareno fu la prima scuola del suo genere e il Santo stesso ne fu il primo rettore. Tante altre poi ne seguirono. Senza quell’intuizione, che poi è alla base della pedagogia moderna e del senso stesso dell’autentica istruzione pubblica (che precede e fonda lo Stato in quanto tale), probabilmente l’intera storia dell’educazione nel nostro Paese sarebbe molto diversa.

Basti dire che il Calasanzio attinse direttamente all’esperienza del quasi contemporaneo San Filippo Neri (1515-1595) e farà da modello per l’elaborazione del celebre ‘metodo preventivo’ di San Giovanni Bosco (1815-1888) che visiterà personalmente la rinomata scuola romana tra il 1865 e il 1866.

Pio IX seguirà una manciata di anni dopo, per dare un’idea del livello dell’opera e dell’istituzione. Un’esperienza talmente inaudita da entrare persino nell’immortale, e tuttora ineguagliata, Storia dei Papi di Ludwig von Pastor (1854-1928).

Superando le persecuzioni di tutte le epoche (dalle requisizioni napoleoniche a quelle dello Stato unitario all’indomani della presa manu militari di Roma), la scuola ha accolto nei secoli scrittori e studiosi, artisti e intellettuali, ospitando al suo interno anche un prezioso museo mineralogico e una biblioteca con un patrimonio storico di tutto rispetto.

Ora tutto questo potrebbe finire per sempre perché il cinquecentesco Palazzo Tonti (con le sue gallerie pregiate e i suoi soffitti affrescati), sommerso dai debiti e da discutibili operazioni finanziarie della Fondazione omonima che amministra i locali della scuola, potrebbe essere trasformato in un albergo di extra-lusso, l’ennesimo nel centro storico della capitale, o in una struttura di ospitalità per stranieri a pagamento, cambiando, in ogni caso, proprietà, destinazione d’uso e terminando così dopo quasi quattro secoli la sua storica ed esemplare missione.

Già adesso la splendida terrazza con veduta panoramica sull’urbe è in gestione a un grande partito politico ma i progetti ventilati dagli imprenditori che sono all’orizzonte, costruttori e compratori senza scrupoli di interi immobili nell’area nevralgica della Capitale, fanno temere per il peggio. Il tutto accade, e si trascina stancamente da mesi, nell’indifferenza e nel disinteresse più completo tanto degli osservatori diretti e dei grandi mezzi di comunicazione, quanto delle parti in causa.

Una vicenda triste e obiettivamente clamorosa nella sua portata che, se – come al momento purtroppo pare – dovesse finire davvero in questo modo, distruggerebbe non solo ciò che rimane della memoria di un Santo che ha fatto tanto per Roma, ma anche un’istituzione educativa tra le più antiche d’Europa, oltre che pionieristica nel suo genere in Italia.

Dovrebbero essere quindi anzitutto i romani, la società civile e la comunità cristiana capitolina e quanti hanno a cuore la custodia, oltre che la memoria, delle proprie radici culturali e spirituali ad alzare la voce verso questo epilogo inglorioso e repentino perché non si tratta, evidentemente, di una mera questione di natura amministrativa interna alle scelte dirigenziali di un semplice ordine religioso fra i tanti ma di un patrimonio pubblico plurisecolare, artistico e spirituale, che dovrebbe interessare ed essere condiviso da tutti e per cui non ci sono – o, in linea teorica, almeno non ci dovrebbero essere – giustificazioni di tipo economico o commerciale.

Da ultimo, se lo storico portone del Nazareno chiuderà davvero per sempre, vorrà dire che saremo di fronte a una sconfitta enorme anche per la tenuta della libertà di educazione in questo Paese, proprio nel momento in cui l’emergenza della questione educativa appare invece in tutte le sue conseguenze più drammatiche a livello sociale e politico.

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