Angelo del Favero, Author at ZENIT - Italiano https://it.zenit.org/author/angelodel-favero/ Il mondo visto da Roma Thu, 21 Mar 2013 00:00:00 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.7.1 https://it.zenit.org/wp-content/uploads/sites/2/2020/07/02e50587-cropped-9c512312-favicon_1.png Angelo del Favero, Author at ZENIT - Italiano https://it.zenit.org/author/angelodel-favero/ 32 32 La passione dei tre crocifissi https://it.zenit.org/2013/03/21/la-passione-dei-tre-crocifissi/ https://it.zenit.org/2013/03/21/la-passione-dei-tre-crocifissi/#respond Thu, 21 Mar 2013 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/la-passione-dei-tre-crocifissi/ Vangelo della Domenica della Passione del Signore

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Lc 22,14-23,56

Quando venne l’ora, Gesù prese posto a tavola, e gli apostoli con lui, e disse loro: ‘Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio’.(…)

Uscì e andò come il solito al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo disse loro: ‘Pregate, per non entrare in tentazione’. Poi si allontanò da loro circa un tiro di sasso, cadde in ginocchio e pregava dicendo: ‘Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà’.

Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo. Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore divenne come gocce di sangue, che cadono a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: ‘Perché dormite? Alzatevi e pregate per non entrare in tentazione’. (…)

Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: ‘Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!’. L’altro invece lo rimproverava…e disse: ‘Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo regno’. Gli rispose: ‘In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso’.

Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: ‘Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito’. Detto questo, spirò.”.

Pur con tutte le differenze che vi sono tra i racconti degli evangelisti, una cosa resta comune: che Gesù è mortopregando e che nell’abisso della morte ha adempiuto il primo comandamento, ha mantenuto presente Dio.” (J. Ratzinger, Il Dio vicino, p. 36).

Gesù è morto pregando, perché è vissuto pregando. La morte per Lui non è la fine di tutto, ma il culmine della sua esistenza orante ed obbediente al disegno del Padre. Per questo la sua Passione, dall’inizio alla fine, è tutta intrisa di preghiera.

Vediamo che mentre sta a tavola con i discepoli, il Signore è pieno di fervore nell’affrontare la sua ora: “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione” (Lc 22,15); ma appena mette piede nell’orto degli Ulivi la sua anima comincia a tremare, ed ordina ai discepoli di pregare con lui per non essere sommersi dalla marea della tristezza: “Pregate, per non entrare in tentazione” (Lc 22,40).

Accasciato a terra a pregare, il Padre lo vede e manda un cireneo celeste a sostenere la sua anima provata: “Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo” (Lc 22,43). Ma è solo una brevissima tregua.

Come la febbre che sale rapida scuote fortemente il corpo con brividi incontrollabili, così la morsa dell’angoscia ghermisce inesorabilmente Gesù:“Entrato nella lotta, pregava più intensamente e il suo sudore divenne come gocce di sangue, che cadono a terra” (Lc 22,44).Questa sua agonia cesserà solo il giorno dopo sul Calvario, quando, giunto ormai all’ultima goccia del sangue versato, mentre già il Padre gli sta correndo incontro dal Paradiso, dirà al suo compagno di destra e primo salvato: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso” (Lc 23,43).

Pochi istanti prima di queste parole, anche il condannato alla sinistra di Gesù gli aveva rivolto un’accorata preghiera: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!” (Lc 23,39). Ad essa Gesù non risponde, ma non per questo egli ignora il suo compagno di morte.

Lo fa intuire la preghiera che il Signore rivolge al Padre appena innalzato sulla croce in mezzo agli altri due: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).

Quando il Venerdì di Passione contempliamo quest’ultimo atto del dramma della Croce, istintivamente non volgiamo lo sguardo al malfattore ‘cattivo’, quasi egli si fosse escluso da sé dall’opera di riconciliazione che Gesù sta compiendo per tutta l’umanità.

Ma costui “non è uno che si ribella, ma uno che non capisce (e come potrebbe?) il terribile mistero a cui sta assistendo. Questi non sa ancora (e non può sapere!) che l’Onnipotenza di Dio ha scelto di affermarsi come Amore, nella debolezza e nella stoltezza della Croce!” (P. A. Sicari, Dialoghi, marzo 2012).

E’ vero che Gesù muore nell’abbandono fiducioso in Dio, similmente al crocifisso che sta alla sua destra, tuttavia, da un punto di vista ‘salvifico’ egli è simile anche al malfattore di sinistra, come rivela l’apostolo: “Colui che non ha conosciuto peccato, Dio lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui” (2 Cor 5,21).

Facendosi “maledetto da Dio” (Gal 3,13), come il crocifisso che lo maledice perché impotente a credere, Gesù ci autorizza a pensare che il Padre non può avere escluso dalla sua Misericordia uno che “non sa quello che fa” (Lc 23,34), e per il quale il Figlio, ugualmente crocifisso, ha intensamente pregato.

E non c’è nessuno, tra noi, che non debba riconoscersi anche nel malfattore di sinistra.

* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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Il dito che scrive la fede sul cuore https://it.zenit.org/2013/03/14/il-dito-che-scrive-la-fede-sul-cuore/ https://it.zenit.org/2013/03/14/il-dito-che-scrive-la-fede-sul-cuore/#respond Thu, 14 Mar 2013 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/il-dito-che-scrive-la-fede-sul-cuore/ Vangelo della V Domenica di Quaresima

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Gv 8,1-11

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise ad insegnare loro.

Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: ‘Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?’. Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.

Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: ‘Chi di voi è senza peccato Getti per primo la pietra contro di lei’. E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.

Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: ‘Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?’. Ed ella rispose: ‘Nessuno, Signore’. E Gesù disse: ‘Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più’.”.

Fil 3,8-14

Fratelli, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze,… perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù.”.

Oggi il Vangelo racconta una giornata memorabile vissuta da una donna particolare. Ecco il fatto: tutto il popolo stava ascoltando Gesù nel tempio, quando scribi e farisei irrompono rumorosamente con una vittima designata: “una donna sorpresa in flagrante adulterio” (Gv 8,4). Accerchiata da questi giudici spietati, vergognosa e consapevole della lapidazione che l’aspetta secondo la Legge, la donna è posta “in mezzo”, di fronte a Gesù, apparentemente senza scampo dal diluvio delle pietre meritate.

Trattata come se fosse lei stessa il peccato commesso, essa viene salvata in extremis da “Colui che non conobbe il peccato”, e che “Dio fece per noi peccato” (2 Cor 5,21) per salvare lei e i suoi accusatori.

Agostino ha immortalato l’atto finale di questa mancata lapidazione in sei parole: “Relicti sunt duo: misera et MisericordiaRimasero soltanto loro due: la misera e la Misericordia” (Commento al Vangelo di Giovanni, 33,5).

In un certo senso, anche prima che se ne andasse l’ultimo di questi giudici dal cuore di pietra, l’adultera si trovava sola davanti a Gesù, essendo egli l’unico a provare compassione per lei e a trattarla come persona. Da tutti gli altri la donna era considerata un oggetto immondo da distruggere; ma per Gesù ella è una parte di sé, un “tu” della cui fede egli è infinitamente assetato.

Ed ecco che, anziché rispondere ai giudei, “Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terraE, chinatosi di nuovo, scriveva per terra” (Gv 8, 6.8).

Quale significato possiamo dare a questo duplice gesto del Signore? Che cosa può avere scritto per terra?

Conoscendo il suo cuore mite ed umile, possiamo forse supporre che Gesù, chinandosi per terra, si sia raccolto in se stesso per entrare nel segreto della propria anima. E lo ha potuto fare per il gran silenzio che egli stesso ha creato intorno a sé. Così, estraniandosi dai giudei, il suo dito di Creatore si mette a scrivere per terra, come per inviare un messaggio efficace alla donna.

Sembra suggerirlo anche una santa carmelitana che, per il suo passato incoerente ed “adultero” nei confronti di Cristo sposo, si riteneva meritevole dell’inferno. Commentando in termini realistici le parole del Padre Nostro “Sia fatta la tua volontà, come in cielo, così in terra”, ella scrive:

Quando la terra dell’anima mia si sarà cambiata in Cielo, sarà pure più facile che si compia in essa la volontà del Padre, mentre senza questa trasformazione, non vedo proprio come ciò possa farsi, non trattandosi che di una terra sterile e vile..” (S. Teresa d’Avila, Cammino di perfezione, c. 32, n. 2).

E’ questa la trasformazione che Gesù ha operato anche nell’anima dell’adultera.

Immaginiamo ora, alcuni anni dopo, la scena seguente.

Un gruppo di credenti è radunato per pregare ed ascoltare la Parola. In mezzo a loro sta l’adultera salvata da Gesù (e divenuta ormai sua discepola), che racconta ancora una volta cosa avvenne in quel giorno memorabile. A lei possiamo mettere in bocca le parole odierne di Paolo:

Fratelli, io ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovata in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo” (Fil 3,8s).

E per far capire questa sua fede nel Signore Gesù, aggiunge: “Quegli scribi e farisei che mi circondavano, credevano di avere fede nel Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe, ma si ingannavano. Avere fede in Dio non vuol dire conoscere a memoria la Legge. La fede non è qualcosa che sta scritto nella mente, ma nel cuore, non è qualcosa che si ha o non si ha, ma è un atto, l’atto di credere nella persona di Gesù. Io ho creduto nel Signore Gesù che stava davanti a me, mentre gli altri credevano nella Legge. Ed è stato mentre egli scriveva per terra che ho cominciato a credere in lui, per la santità e la luce che irradiavano dalla sua persona.

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L'amore che risuscita la dignità https://it.zenit.org/2013/03/07/l-amore-che-risuscita-la-dignita/ https://it.zenit.org/2013/03/07/l-amore-che-risuscita-la-dignita/#respond Thu, 07 Mar 2013 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/l-amore-che-risuscita-la-dignita/ Vangelo della IV Domenica di Quaresima

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Lc 15,1-3.11-32

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: ‘Costui accoglie i peccatori e mangia con loro’. Ed egli disse loro questa parabola: ‘Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze.(…) Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. (…) Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno glie dava nulla. Allora ritornò in se stesso e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito ad un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava fa festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato’”.

In questa IV Domenica di Quaresima, l’intento della Parola è quello di comunicarci la gioia: “Rallegrati Gerusalemme,..esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza” (Is 66,10-11).

Al centro di questo lieta annuncio sta la parabola detta del “figliol prodigo”, o del “padre misericordioso”; che potremmo chiamare anche “della gioia per la dignità ritrovata”. Si tratta della nostra dignità filiale.

E’ una parabola notissima: “Un uomo aveva due figli. Il più giovane… Il figlio maggiore… Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Dopo pochi giorni, il figlio più giovane partì per un paese lontano… vivendo in modo dissoluto”.

Vediamo che quando questo figlio minore decide di tornare a casa, crede di aver irrimediabilmente compromesso la propria dignità a causa del peccato commesso verso Dio e verso il padre: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati” (Lc 15,18-19).

Ma il padre non da’ retta a queste parole e ordina subito una festa che è quasi una glorificazione del figlio ritornato: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi” (Lc 15,22-23). Egli si affretta così a ripristinare esteriormente i segni di quella inalienabile dignità che il figlio credeva di avere perduta per sempre.

Al centro del messaggio della parabola, sta quindi la rivelazione della dignità della persona.

In forza e grazia della creazione e dell’Incarnazione del Verbo, ogni essere umano è un figlio che viene da Dio, fatto a immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,26-27): come se nel momento del concepimento le Tre Divine Persone si dicessero: “Poiché Uno di noi si è fatto come l’uomo, facciamo l’uomo come uno di Noi”. La dignità umana è perciò essenzialmente divina e filiale, inalienabile, indistruttibile come il “carattere” sacramentale impresso dal Battesimo.

Come un gioiello che il fango può solo sporcare, essa non va perduta a causa dei peccati che si commettono, ma solo offuscata nel suo splendore. Per questo il padre della parabola non può permettere al figlio di completare la sua confessione con la terribile frase: “Trattami come uno dei tuoi salariati” (Lc 15,19b).

Ci si può allora chiedere come questo figlio “più giovane” abbia potuto pensare una cosa simile, sia di suo padre che di se stesso.

Il fatto è che nemmeno quando stava in casa conosceva la persona di suo padre, altrimenti non se ne sarebbe andato con quella richiesta ed in quel modo. Di conseguenza, egli non poteva nemmeno avere una coscienza piena della propria dignità di figlio.

In effetti poi, pur essendo egli “ritornato in sé” (Lc 15,17), aveva fatto un esame di coscienza superficiale, riconoscendo solamente la propria ingratitudine e il peccato commesso, ma non aveva colto la luce della verità del suo rapporto profondo con il padre.

Spinto dalla fame, egli aveva ragionato da “figlio maggiore”, senza porsi dal punto di vista del cuore del padre. La fame non poteva essere sufficiente a fargli capire la propria dignità di figlio, dal padre immensamente amato. Doveva fare l’esperienza sconvolgente di un’accoglienza che mai si sarebbe aspettato: “Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò” (Lc 15,20).

Capì in quel momento che la vera “sostanza” del padre, il suo vero “patrimonio”, era il suo immenso cuore, e la gioia di sapersi suo figlio rimase sempre con lui.

* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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La Misericordia che mai si consuma https://it.zenit.org/2013/02/28/la-misericordia-che-mai-si-consuma/ https://it.zenit.org/2013/02/28/la-misericordia-che-mai-si-consuma/#respond Thu, 28 Feb 2013 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/la-misericordia-che-mai-si-consuma/ Vangelo della III Domenica di Quaresima

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Es 3,1-8a.13-15

Mosè guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. (…) Dio disse a Mosè: ‘Io sono colui che sono!’. E aggiunse: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione’.

Lc 13,1-9

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: ‘Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Siloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo’. Diceva anche questa parabola: ‘Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: ‘Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo! Perché deve sfruttare il terreno?’. Ma quello rispose: ‘Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai’”.

Non a caso il Vangelo di questa settimana sembra tratto dalla prima pagina di un quotidiano: Gesù commenta due fatti di sangue del tutto paragonabili a quelli di cui abbonda la nostra cronaca.

Al riguardo, il Signore anzitutto rifiuta l’interpretazione popolare della morte improvvisa come castigo divino per i peccati commessi:“Credete che quei Galilei fossero più peccatori.., per aver subito tale sorte?…credete che fossero più colpevoli di tutti..? No, io vi dico..” (Lc 13,3.5). Tuttavia, Gesù sembra poi contraddirsi dicendo: “ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”.

In realtà, questa apparente minaccia costituisce un invito ad entrare nella profondità del mistero del roveto: la sua Misericordia che mai si consuma (Es 3,2).

Con la sua riflessione, Gesù vuole trasformare la cronaca nera in un salutare esame di coscienza; ma che significato dare a questo “perirete tutti allo stesso modo”? In altre parole: quale è la conseguenza profonda della nostra mancata conversione?

Storicamente le parole del Signore si compirono nel 70 d. C., quando le armate romane rasero al suolo Gerusalemme; tuttavia la similitudine paventata da Gesù non si riferisce alla morte fisica violenta, ma alla subitaneità irreversibile della perdita della vita eterna.

Morire è meno di perire. “Perire” dice fallimento del vivere, come un arco allentato. Si perisce già da vivi, quando si vive come se Dio non ci fosse, o come se il Dio di Gesù Cristo non fosse il “Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe” (Es 3,6), “Colui che c’è” per ogni uomo; che è sempre presente per condividere, per consolare, per dare speranza nelle prove della vita, per soccorrere con la sua eterna misericordia.

Perciò, si può perire “allo stesso modo” anche nel sonno, o in una clinica svizzera della ‘dolce morte’, se ci si presenta al Giudizio divino in peccato mortale. Questa è la verità della vita che abbiamo in dono ed il messaggio del Vangelo.

E allora, come possiamo collegare la parabola sul fico sterile con quanto precede?

Anzitutto sappiamo che il fico sterile rappresenta biblicamente il popolo di Israele, ostinatamente incapace di mantenersi fedele all’alleanza con Dio, del Quale vide i meravigliosi prodigi nel deserto.

Tale mortale durezza di cuore, ci interpella e ci riguarda, sia dal versante del nostro peccato, sia, e ancor prima, da quello della Misericordia divina. La pazienza del Signore è e sarà infatti sempre l’ultima Sua Parola, per chi, anche in extremis, decide di non rifiutare più il suo soccorso: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutto per l’avvenire” (Lc 13,8-9).

Ma la parabola ci spinge in maggiore profondità.

E’ vero che il fico non da’ frutti da tre anni, ma non è detto che stia colpevolmente sfruttando il terreno. Forse, pur essendo piantato nella vigna, il fico si trova in un punto che non è stato mai zappato, né concimato come il resto; oppure è stato devastato dalle talpe, dagli insetti, dall’uragano.

Fuori di metafora: pensiamo ad esempio all’educazione (non solo cristiana) dei bambini e dei ragazzi: in quale terreno umano nascono, vivono e crescono moltissimi di questi figli? Come può dar frutto l’insegnamento del catechismo se i genitori che li mandano in parrocchia sono loro stessi un fico sterile? Pensiamo alle convivenze, alle separazioni, alle adozioni in casa omosessuale.

Ecco: Dio è abbastanza potente e misericordioso da far fruttificare la vita interiore che ha creato e seminato anche dentro quelle situazioni che sembrano incompatibili o impossibili per la fede.

La precisazione “sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo” (Lc 13,7), fa pensare alla vita pubblica di Gesù. Anch’egli alla fine di tre anni è come un albero sterile. Muore sulla croce come un fallito, assolutamente solo, senza alcun frutto visibile, abbandonato anche dai suoi discepoli. E’ la legge eterna del chicco di grano.

Ciò permette di concludere così: il fico sterile è piantato nella vigna, e la vigna è Cristo, la vigna è la Chiesa, con la sua fede, con l’Eucaristia, con la Parola, la preghiera e la comunione dei santi.

Dice alla fine: “Vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai” (Lc 13,9).

Aveva chiesto un anno, ma risponde “per l’avvenire”. Perché la sua Misericordia non si consuma mai.    

* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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La Parola trasfigura la vita https://it.zenit.org/2013/02/21/la-parola-trasfigura-la-vita/ https://it.zenit.org/2013/02/21/la-parola-trasfigura-la-vita/#respond Thu, 21 Feb 2013 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/la-parola-trasfigura-la-vita/ Vangelo della II Domenica di Quaresima

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Fil 3,17-4,1

La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose.

Lc 9,28b-36

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.

Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si vegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.

Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: ‘Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia’. Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: ‘Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!’. Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.”.

*

Vi sono misteri nei quali bisogna avere il coraggio di gettarsi, per toccare il fondo, come ci gettiamo nell’acqua, certi che essa si aprirà sotto di noi. Non ti è mai parso che vi siano delle cose alle quali bisogna prima credere per poterle capire?” (J. Dobraczynski, Lettere di Nicodemo, citato da G. Ravasi in ‘Guida ai naviganti’, p. 89).

Questa suggestiva osservazione si presta bene a commentare il quartodei “misteri della luce” del Rosario: la trasfigurazione del Signore sul monte.

Un mistero che non riguarda solo Gesù, ma anche “due uomini” che appaiono in conversazione con Lui nella loro gloria. Costoro sono due “grandi” della Parola divina: Mosè, il mediatore supremo della Legge tra Dio e il popolo, il maestro definitivo e il profeta di cui si attendeva il ritorno; ed Elia, il difensore zelante della fede contro l’idolatria, colui che vive alla presenza di Dio e riconduce Israele alla fonte della Parola, la rivelazione del Sinai.

Solitamente, nel commentare il Vangelo della Trasfigurazione del Signore si approda all’annuncio della nostra risurrezione in Cristo,“il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso” (Fil 3,21).

Ma non è solo questa la verità che oggi ci viene rivelata. Infatti, sul “monte” possiamo contemplare un vero e proprio quadro della vita eterna, come se il sipario sul mistero delle nostre relazioni umane da risorti, fosse alquanto sollevato.

Mosè ed Elia, ormai abitanti definitivi del Regno di Dio, non appaiono solo come le figure più grandi dell’Antico Testamento, i profeti che rivelano ai discepoli che Gesù è il Messia promesso, il Figlio di Dio con il quale dialogano sulla sua imminente glorificazione pasquale. Essi appaiono in radiosa conversazione con Gesù, in un clima di perfetta amicizia (Gv 15,15).

Ciò lascia intuire qualcosa di quello che due grandi maestri contemporanei della Parola hanno scritto sul mistero della nostra vita risorta.

Il primo è Papa Benedetto XVI, che da Cardinale scrisse: “Il cristianesimo non promette la semplice salvezza dell’anima, in un al di là qualsiasi in cui tutti i valori e le cose preziose di questo mondo scomparirebbero come se si trattasse di una scena costruita un tempo e ormai destinata a scomparire. Il cristianesimo promette l’eternità di ciò che si è realizzato in questa terra. Dio conosce e ama nella sua totalità l’uomo che siamo fin d’ora. E’ dunque immortale ciò che cresce e si sviluppa nella nostra vita di ora. Nel nostro corpo noi soffriamo e amiamo, speriamo, proviamo gioia e tristezza, e progrediamo attraverso il tempo. Quanto cresce nella nostra vita di oggi è imperituro. Proprio la “totalità dell’uomo”, tale e quale si è collocato in questo mondo, tale e quale vi ha vissuto e sofferto, sarà un giorno portata nell’eternità di Dio e parteciperà, in Dio stesso, all’eternità. Proprio questo deve colmarci di una gioia profonda” (da “Vivere la fede”).

Il secondo è il Cardinal Martini: “Non c’è nulla di più consolante del sapere che il nostro corpo risorgerà, che la morte e la conseguente separazione dalle persone care, non è l’ultima parola” (C. M. Martini, Credo la vita eterna, p.119).

La Trasfigurazione non è solamente “una ‘visione’ che supera la nostra immaginazione, ma è anche il sogno segreto del nostro cuore. L’eternità, la vita nuova e definitiva è già entrata, con la morte e risurrezione di Gesù, nella mia esperienza. E’ da me vissuta nell’indistruttibilità dei gesti che compio: di amore, fedeltà, perdono, amicizia, onestà, libertà responsabile.” (C. M. M., id.).

Tra questi gesti indistruttibili, il Vangelo ci mostra oggi anzitutto la preghiera: “Gesù…salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante.” (Lc 9,28-29).

Il messaggio è chiaro. La nostra trasfigurazione comincia sulla terra, a casa nostra, nel nostro cuore. Poiché essa è l’opera “del monte”, l’opera della preghiera vissuta come fedele ascolto ed incontro con il Signore:“Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!” (Lc 9,35).

Nel Salmo responsoriale risuona oggi il suo invito: “Cercate il mio volto!” (v. 8). E’ già la promessa di trovarlo: “Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi.” (v.13).

Così la preghiera diventa l’incontro che invaghisce il cuore e gli infonde quell’amore vivo che rimanda all’essenziale dimensione mistica di ogni vita cristiana: “Maestro, è bello per noi essere qui” (Lc 9,33).

Concludo con il pensiero di un altro “grande” della Parola: “Anche noi veniamo trasfigurati quando preghiamo, quando apriamo tutto il nostro essere all’amore che viene da Dio, per diventare anche noi generosi, misericordiosi, pieni di comprensione e d’indulgenza com’è lui. Allora il nostro volto si trasfigura. Il Vangelo ci mostra qual’é il nostro destino: quello di essere completamente trasfigurati” (Card. A. Vanhoye, Le Letture bibliche della Domenica).                                                                                     

* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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La Parola sconfigge il Diavolo https://it.zenit.org/2013/02/14/la-parola-sconfigge-il-diavolo/ https://it.zenit.org/2013/02/14/la-parola-sconfigge-il-diavolo/#respond Thu, 14 Feb 2013 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/la-parola-sconfigge-il-diavolo/ Vangelo della I Domenica di Quaresima

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Rm 10, 8-13

“Fratelli, che cosa dice Mosè?: ‘Vicino a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore’, cioè la parola della fede che noi predichiamo. Perché se con la tua bocca proclamerai: ‘Gesù è il Signore!’, e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo”.

Lc 4,1-13

“In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: ‘Se tu sei Figlio di Dio, dì a questa pietra che diventi pane’. Gesù gli rispose: ‘Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”‘.

Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: ‘Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo’. Gesù gli rispose: ‘Sta scritto: “Il Signore, tuo Dio, adorerai: a lui solo renderai culto”‘.

Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: ‘Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”‘. Gesù gli rispose: ‘E’ stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”‘.

Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.”.

Il Vangelo di oggi inizia con un presupposto che suona persino ridicolo alla mentalità laicista di oggi: l’esistenza del diavolo. La sua azione rocambolesca, che Luca mette in scena nei cieli di Gerusalemme, sembra rinforzare la persuasione che il racconto abbia poco a che fare con la realtà. L’interpretazione simbolica dell’accaduto è in parte giustificata, ma il rischio è quello di non credere alla presenza reale di satana.

Al riguardo, l’insegnamento della Chiesa è sempre stato esplicito nell’affermare che: “Il male non è più soltanto una deficienza, ma un’efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore. Terribile realtà. Misteriosa e paurosa. Esce dal quadro dell’insegnamento biblico ed ecclesiastico chi si rifiuta di riconoscerla esistente; ovvero chi ne fa un principio a se stante, non avente essa pure, come ogni creatura, origine da Dio; oppure la spiega come una pseudo-realtà, una personificazione concettuale e fantastica delle cause ignote dei nostri malanni” (Servo di Dio Paolo VI, Udienza generale, 15/11/1972).

Oggi però, non pochi credenti (anche sacerdoti) negano apertamente la verità sul diavolo, così insegnata dal Catechismo: “Dietro la scelta disobbediente dei nostri progenitori c’è una voce seduttrice, che si oppone a Dio, la quale, per invidia, li fa cadere nella morte. La Scrittura e la Tradizione della Chiesa vedono in questo essere un angelo caduto, chiamato satana o diavolo…Il diavolo, infatti, e gli altri demoni, sono stati creati da Dio naturalmente buoni, ma da se stessi si sono trasformati in malvagi” (CCC 391).

Perciò, il racconto odierno di Luca mostra esemplarmente quanto sia fondato per ogni cristiano l’avvertimento di Pietro: “Siate sobri, vegliate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede” (1Pt 5,8-9). In un particolare, tuttavia, Pietro…si sbaglia: il diavolo è un leone simile al gatto, poiché si aggira muto senza dare minimamente segno della sua presenza nefasta.

Vediamo infatti che Gesù se lo trova improvvisamente davanti, e il modo con cui lo neutralizza prontamente mostra che, senza la luce e la forza della Parola di Dio, è pura illusione pensare di poterlo riconoscere, respingendo la sua insidia mortale (Mt 6,13; Gv 15,5).

Apparentemente, nel deserto, il Signore non sembra aver combattuto molto, prima della vittoria sull’Avversario, il quale pare andarsene ‘scornato’: “Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui..” (Lc 4,13).

Ma Luca, ponendo all’inizio e alla fine del racconto le parole “Se tu sei Figlio di Dio” (Lc 4,3.9), fa intuire che per l’uomo Gesù, essere personalmente nella condizione divina e dover rinunciare a tale privilegio (Fil 2,6), fu una tensione inimmaginabile. Possiamo supporre, perciò, che la tentazione umana di compiere la sua missione con successo, mediante l’impiego dei poteri divini, sia stata grandissima in Gesù.

Ma come dobbiamo intendere il fatto che Luca parla di “ogni tentazione” (4,13)? Direi in due maniere.

Anzitutto è chiaro che il Signore non ha dovuto affrontare, una per una, tutte le nostre tentazioni; tuttavia Egli ha combattuto contro la radice di ogni peccato: la pretesa diabolica dell’autosufficienza: “sareste come Dio, conoscendo il bene e il male” (Gen 3,5). L’uomo Gesù, in effetti, era Dio in persona, e ciò lascia intuire l’immane pressione di una simile coscienza sulla fragilità della sua natura umana, tentata anche dal desiderio di non deludere le attese di un messia vincitore.

In secondo luogo, sappiamo che il Verbo ha assunto la natura umana per sanarla da ogni infermità di volontà causata da ogni peccato, come sta scritto: “Per questo si manifestò il Figlio di Dio: per distruggere le opere del diavolo.” (1 Gv 3,7s). Distruggerle tutte!

Sì, ogni peccato è opera della regìa del diavolo, prossima o remota che sia, e nella società attuale l’opera più diabolica sembra essere quel relativismo totale che, rifiutandosi di riconoscere i valori non negoziabili e non cancellabili inscritti dal Creatore nella natura umana, va distruggendo l’opera più meravigliosa che Dio ha fatto, cioè “l’uomo fatto a immagine di Dio, maschio e femmina” (Gen 1,27).

Al riguardo, per definire e capire essenzialmente l’inquinamento culturale in atto nella nostra società, credo che si possa sostituire la parola “relativismo” con la parola “satanismo”.

Il satanismo, infatti, non ha a che fare solo con i riti orgiastici e blasfemi di certe sette, ma anche con l’idea comune e ‘scientifica’ di poter fare a meno di Dio per vivere civilmente e realizzare il bene comune.

Al riguardo, ascoltiamo alcune considerazioni sul satanismo, del tutto applicabili all’attuale ideologia del ‘genere’ e all’assurdo riconoscimento legale dei ‘matrimoni’ tra persone omosessuali: “Il principale problema sociale, etico e culturale dell’accettazione del pensiero e delle pratiche dei satanisti è che si arriva ad approvare un completo ribaltamento dei valori: ciò che è oggettivamente sbagliato, non buono e moralmente disordinato, viene assunto come modello giusto e liberante da proporre ad altri…Il satanismo evidenzia indubbiamente una forte carica emozionale e di evasione nell’irrazionale, che per alcuni aspetti viene ammantata da una paradossale copertura pseudorazionale in funzione giustificativa. Il male profondo che promana da esso…ha come denominatore comune dei diversi riti, simboli, pratiche e credenze, la fine della retta ragione e una profonda ferita nell’integrità della persona umana, che si evidenzia nelle aberrazioni sessuali, nella sete di potere, nella ricerca smodata di denaro e di successo, in un esasperato narcisismo; tutti elementi che rifuggono dall’amore nei confronti di Dio e del prossimo e dalla ricerca del vero bene personale e comune” (da ‘Il fenomeno del satanismo nella società contemporanea’, Quaderni de L’Osservatore Romano, n. 36).

La storia dirà quanto grande sia stato il merito di Papa Benedetto XVI nell’aver combattuto e resistito “fino al sangue” (Eb 12,4) nella lotta contro la menzogna del relativismo etico, sostenend
o “fino alla fine” (Gv 13,1) la Chiesa e l’umanità intera con la forza della Parola e della sua straordinaria sapienza ed umiltà, le armi invincibili con cui Cristo stesso ha sconfitto il diavolo ed ha salvato l’umanità.  

* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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La Parola che ricolma le reti del cuore https://it.zenit.org/2013/02/07/la-parola-che-ricolma-le-reti-del-cuore/ https://it.zenit.org/2013/02/07/la-parola-che-ricolma-le-reti-del-cuore/#respond Thu, 07 Feb 2013 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/la-parola-che-ricolma-le-reti-del-cuore/ Vangelo della V Domenica del Tempo Ordinario

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Is 6,1-2a.3-8

“Nell’anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; (…). E dissi: “Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono..”.

Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse: “Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato”. Poi io udii la voce del Signore che diceva: “Chi manderò e chi andrà per noi?”. E io risposi: “Eccomi, manda me!”.

Lc 5,1-11

“In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennesaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”. Simone rispose: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”. Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: “Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore”. Lo stupore, infatti, aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”. E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono”.

Dopo gli inizi della missione di Gesù a Nazaret, oggi Luca racconta la vocazione di Simon-Pietro, preparata (nella prima Lettura) da quella del profeta Isaia. Si tratta di due chiamate esemplari per noi, ognuna simile ad una rete piena di pesci.

Ci aiuta a comprenderlo il commento scritto dal beato Giovanni Paolo II a questo stesso Vangelo: “Un giorno Gesù, dopo aver parlato alle folle dalla barca di Simone, invitò l’apostolo a ‘prendere il largo’ per la pesca: Duc in altum. Pietro e i primi compagni si fidarono della parola di Cristo, e gettarono le reti. E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci. Duc in altum! Questa parola risuona oggi per noi, e ci invita a fare memoria grata del passato, a vivere con passione il presente, ad aprirci con fiducia al futuro: “Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre!” (Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte, n.1).

Che Gesù sia sempre lo stesso, significa che anche oggi Egli si comporta come duemila anni fa, poiché è immutabile nella verità, nella fedeltà e nell’amore, come il sole che sorge ogni giorno per rinnovare la vita sulla faccia della terra.

La giornata del pescatore Simone e compagni è cominciata come tante altre; ma, al ritorno dalla pesca vuota una scena straordinaria si presenta ai loro occhi. Gesù in persona è sulla riva del lago, circondato da una ressa di gente. Lo straordinario è che tutti costoro non sono attirati dalla sua fama di taumaturgo, ma dal fascino della sua parola, della sua persona.

Simone mette subito a disposizione la barca come pulpito, e, nonostante il disappunto delle reti vuote, ascolta ammirato Gesù. E così il Maestro lo prepara ad accogliere l’insensata richiesta di prendere ancora il largo per la pesca: “Sulla tua parola getterò le reti” (Lc 5,5).

Quello di Simone è un esempio di come l’ascolto della Parola di Gesù susciti la luce della fede in Lui. Anche il rude pescatore, non troppo disposto a perder tempo con le chiacchiere, entra come d’incanto nel raggio magico della parola del Signore, e la conseguenza è che il moto primo di non dar retta al suo consiglio, cede prontamente il passo all’obbedienza.

Ed ecco il messaggio per noi: “Non bisogna aspettarsi che la fede dia completa soddisfazione alla ragione. Essa lascia la ragione sospesa nell’oscurità, senza una luce adatta al suo modo di conoscenza. Pure essa non frustra la ragione, non la nega, non la distrugge. La pacifica con una convinzione che essa sa di poter accettare, sotto la guida dell’amore”. (T. Merton, Nuovi semi di contemplazione, p.104).

Cosa vogliono dire le parole: “..una convinzione.. sotto la guida dell’amore”?
Significano che è la relazione di amicizia con Gesù che muove a fare ciò che Egli suggerisce; è l’affetto per Lui che persuade ad obbedire “con tutto il cuore”.
Merton prosegue infatti: “Diciamo di sì non solo ad una affermazione che riguarda Dio o fatta da Dio stesso, ma allo stesso Dio invisibile ed infinito. Accettiamo l’affermazione a causa di Colui che l’ha proferita. Ci fidiamo di Lui perché il nostro rapporto è di fiducia, di amicizia. La fede è un rapporto di comunione personale. La fede va oltre le parole e le formule, per raggiungere la persona di Gesù” (id.).

Similmente parla a noi la sapienza di Benedetto: “Con la fede si entra nell’amicizia con il Signore; con la carità si vive e si coltiva questa amicizia. (…) L’esistenza cristiana consiste in un continuo salire il monte dell’incontro con Dio per poi ridiscendere, portando l’amore e la forza che ne derivano” (Benedetto XVI, Messaggio per la Quaresima 2013).

Il Papa rivela qui il segreto semplice della fede: essa è rapporto di amicizia con il Signore. Perciò presuppone e comporta l’incontro quotidiano con Lui, nell’affetto. Occorre anzitutto ogni giorno “salire il monte”, cioè perseverare nella fatica della fedeltà all’appuntamento, come faceva al mattino Gesù mentre gli altri dormivano.

“Prendere il largo” significa allora scendere in profondità, raccogliersi in orazione e in contemplazione, e riemergere trasformati, rigenerati dallo Spirito Santo che è l’artefice di ogni preghiera e di ogni incontro ravvicinato con Gesù.

Ma ora ritorniamo sulla riva del lago e ripercorriamo i momenti della memorabile giornata di Simon Pietro, per adattarla alla nostra.
Appena alzato, Simone si reca a pescare, ma non prende nulla. Poi si mette anche lui in ascolto di Gesù e le conseguenze sul suo lavoro sono clamorose: una pesca ricchissima.

Così noi. Ci alziamo e subito ci gettiamo nell’attività, trascurando la prima cosa che è l’incontro con Gesù e la sua Parola. La conseguenza è che, pur facendo molte cose, l’anima è vuota di gioia, perché non ha attinto l’abbondanza della vita nascosta in sè (Gv 10,10).
Ma ecco quel che succede se, al contrario, come primo atto della giornata, ci raccogliamo senza fretta in ascolto e preghiera. Il cuore comincia ad avvertire un’attrazione amorosa, un’esperienza nuova ed arcana, un misterioso “invaghimento” (N.M.I., n.33). C’è qui come un senso di sacro stupore-timore (“Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore” – Lc 5,8), ma il cuore non è impaurito, bensì profondamente consolato. E’ questa consolazione divina che costituisce la pesca miracolosa. Questa è la consolazione dell’orazione e della contemplazione. Questa è la consolazione che consola qualsiasi genere di afflizione, che ricolma ogni vuoto del cuore, e lo fa traboccare. Questa è la consolazione che purifica la volontà e santifica l’anima, poiché essa è puro amore versato (Rm 5,5). Questa è la consolazione necessaria per la missione, poiché spinge sempre a dare la vita per il fratello, cioè per il Consolatore Gesù.
Dio chiede oggi: “Chi manderò e chi andrà per noi?” (Is 6,8). I nuovi evangelizzatori spontaneamente rispondono: “Eccomi, manda me!”. E’ il cuore che risponde così e si fa avanti per primo, perché nell’incontro mattutino con Gesù è stato rigenerato, ed essendo invaghito di Lui, non può che amare come Lui i fratelli che Egli ama.       

* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fond
ato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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La vita: non finiamo mai di parlare di uno di noi https://it.zenit.org/2013/01/31/la-vita-non-finiamo-mai-di-parlare-di-uno-di-noi/ https://it.zenit.org/2013/01/31/la-vita-non-finiamo-mai-di-parlare-di-uno-di-noi/#respond Thu, 31 Jan 2013 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/la-vita-non-finiamo-mai-di-parlare-di-uno-di-noi/ Vangelo della IV Domenica del Tempo Ordinario

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Ger 1,4-5.17-19
“Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto; prima che tu uscissi alla luce ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni.
Tu dunque, stringi la veste ai fianchi, alzati e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò; (…) Ed ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata,..e un muro di bronzo contro tutto il paese. (…)Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti”.

1Cor 12,31-13,13
“Fratelli, ..Se parlassi la lingua degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come un bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla”.

Lc 4,21-30
“In quel tempo, Gesù comincio’ a dire nella sinagoga: “Oggi si e’ compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: “Non e’ costui il figlio di Giuseppe?”. Ma egli rispose loro: “Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria!”. Poi aggiunse: “In verità io vi dico: nessun profeta e’ bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese, ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naaman, il Siro”.
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino”.

Il Vangelo di oggi e’ – per così dire – il ‘secondo tempo’ della scena che abbiamo cominciato a vedere Domenica scorsa, ambientata nella sinagoga di Cafarnao. Gesù cita il profeta Isaia per presentare se stesso, il suo programma, la sua missione, e conclude: “Oggi si e’ compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato” (Lc 4,21).

La reazione alle sue parole e’ contraddittoria. In un primo momento c’è uno stupore ammirato: “Erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca” (4,22), ma poi insorge opposizione e conflitto aperto: “..tutti si riempirono di sdegno..e lo cacciarono fuori..” (4,28-29).

Come spiegare questa sconcertante conclusione omicida?

Il fatto e’ che Gesù, non solo delude le aspettative miracolistiche dei suoi concittadini, ma punta il dito contro di loro parlando di accoglienza dei poveri, dei ciechi, dei prigionieri e degli oppressi. Questo programma suona male alle orecchie della religiosità farisaica dei presenti, assai poco propensi a farsi prossimo dei poveri. Scatta così il giudizio difensivo: “Non e’ costui il figlio di Giuseppe?” (4,22), ed offensivo: “Si alzarono e lo cacciarono fuori..per gettarlo giù” (4,29).

Paolo, nella seconda Lettura, ci illumina ad interpretare il tutto così:  “Se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla” (1Cor 13,2).

I parenti e i concittadini di Gesù si comportano come il figlio maggiore della parabola (Lc 15,28-30): sdegnati, non vogliono avere niente a che fare con questo loro ‘fratello’ tornato a casa. Perciò, anche se Gesù avesse fatto in mezzo a loro i prodigi di Cafarnao, lo avrebbero rifiutato ugualmente, poiché chi ascolta ed accetta solo se stesso, diventa sordo e cieco anche davanti a Dio, ai suoi miracoli e ai suoi profeti. Tale e’ stata la sorte di Elia, di Eliseo e di tutti i profeti mandati da Dio ad Israele, come il Signore dichiara apertamente, scatenando l’ira omicida della folla.

Tutto ciò e’ quanto mai attuale!

Proprio oggi, infatti, la Chiesa celebra la trentacinquesima Giornata per la Vita, per ricordarci che nel mondo intero, in ogni nazione, in ogni città, continua ad accadere il gran rifiuto della sinagoga di Nazaret, poiché “il rifiuto della vita dell’uomo, nelle sue diverse forme, e’ realmente rifiuto di Cristo” (Beato Giovanni Paolo II, Enciclica ‘Evangelium vitae’, n. 104).

E’ questa la Verità affascinante ed insieme esigente che instancabilmente la Chiesa ripropone da quando il Vangelo e’ stato scritto.

Esigente fino a chiedere il sacrificio personale della vita, per opporsi a quella cultura della morte che ragiona ed agisce così: “..tendiamo insidie al giusto,..mettiamolo alla prova con violenze e tormenti,.. condanniamolo ad una morte infamante,.. ci rimprovera le colpe contro la legge e ci rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta. Proclama di possedere la conoscenza di Dio e chiama se stesso figlio del Signore. E’ diventato per noi una condanna dei nostri pensieri; ci e’ insopportabile solo al vederlo..” (Sap 2,12-14). E se il giusto non ha voce, come il concepito umano che e’ il più povero dei poveri e il più oppresso degli oppressi, allora: “la nostra forza sia legge della giustizia, perché la debolezza risulta inutile” (Sap 2,11).

E’ Cristo stesso questa Verità, ed e’ Lui il primo ad annunciarla ai suoi annunciatori di oggi.

Lo ha magistralmente affermato il card. Bagnasco nella sua recente prolusione ai Vescovi. Ecco un passaggio che sembra ispirato dal nostro Vangelo: “..prima di ogni altra considerazione, e’ Lui che dobbiamo guardare sempre di nuovo. Lui la lieta notizia e l’annunciatore primo, la verità e il maestro, il seme e il seminatore…In Gesù vi e’ infatti il segreto di ogni metodo e di ogni vera efficacia: Lui, Gesù, e’ la Luce vera che viene nel mondo, il Figlio del Dio vivente, il Rivelatore del Dio invisibile, il Prototipo dell’umanità, il Centro della storia e del mondo, la Meta del nostro cammino, il  Compagno di strada, l’Amico indefettibile, il Sostegno sorprendente, il Conforto risanatore, la Speranza affidabile. Egli e’ la nostra ineffabile gioia!” (Prolusione all’apertura del Consiglio permanente della CEI, 28 gennaio 2013). 

In riferimento al tema della Giornata (“Generare la vita vince la crisi”), il Presidente della CEI ha aggiunto: “La crisi in atto – che in ultima istanza può essere vinta solo con la cultura della vita – ci ricorda che senza un’apertura al trascendente l’uomo diventa incapace alla lunga di agire per la giustizia. La madre di tutte le crisi e’ l’individualismo. E questo e’ figlio della cultura nichilista per cui tutto e’ moralmente equivalente, (…) In realtà si tratta di una sorta di moderno delirio di onnipotenza, una distorsione radicale del desiderio di libertà e di auto realizzazione, una fuga dalla ragione stessa. (…) In questa cornice, ci pare senza dubbio importante la campagna “Uno di noi” che vuole portare nelle sedi comunitarie l’istanza della vita, senza più selezioni” (id.).

Il cardinale sembra ancora alludere all’odierna liturgia (“Io faccio di te come una città fortificata,..un muro di bronzo contro tutto il paese..Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti” – Ger 1,18-19), con questa ulteriore precisazione: “..dobbiamo sempre ricordare che non e’ il nostro fare più o meno esasperato che compie il miracolo della fede, bensì il consentire attraverso di noi il fare del Signore, il non ostacolarlo e anzi favorire la sua attrattività. Lui fa nascere i figli di Abramo dalle pietre, Lui dobbiamo collocare sempre di più al cuore della nostra attività e delle nostre relazioni, Lui, non noi” (id.).

No, non dobbiamo finire mai di annunciare e testimoniare che la Verità della vita dell’uomo, di ogni uomo, e’ Uno concepito nel grembo di una donna come noi, Uno che ha combattuto nella vita
come noi, Uno che ha vinto la morte ed e’ risuscitato come risusciteremo in Lui anche noi.

Egli e’ l’unico che possiede in Se’ la vita e la dona in abbondanza (Gv 10,10). La Giornata per la Vita e’ anzitutto la Sua Giornata. Dobbiamo dire a tutti che il nome della Vita e’ uno solo: Gesù. 

* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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La presenza che compie la Parola https://it.zenit.org/2013/01/24/la-presenza-che-compie-la-parola/ https://it.zenit.org/2013/01/24/la-presenza-che-compie-la-parola/#respond Thu, 24 Jan 2013 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/la-presenza-che-compie-la-parola/ Vangelo della III Domenica del Tempo Ordinario

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Ne 8,2-4a.5-6.8-10

“In quei giorni, il sacerdote Esdra porto’ la legge davanti all’assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere. Lesse il libro sulla piazza davanti alla porta delle Acque, dallo spuntar della luce fino a mezzogiorno,.. Esdra, sacerdote e scriba, e i leviti che ammaestravano il popolo, dissero: “Questo giorno e’ consacrato al Signore, vostro Dio; non fate lutto e non piangete!”. Infatti tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della legge.”.

Lc 1,1-4; 4,14-21

“In quel tempo, Gesù ritorno’ in Galilea con la potenza della Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Venne a Nazaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entro’ nella sinagoga e si alzo’ a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; apri’ il rotolo e trovo’ il passo dove era scritto: “Lo Spirito del Signore e’ sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri al liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore”. Riavvolse il rotolo, lo consegno’ all’inserviente e sedette. Nella sinagoga gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora comincio’ a dire loro: “Oggi si e’ compiuta questa scrittura che voi avete ascoltato”.

Il messaggio di fondo della Liturgia di oggi si può trovare  in queste parole di Benedetto XVI:
“..a tutti i cristiani ricordo che il nostro personale e comunitario rapporto con Dio dipende dall’incremento della familiarità con la divina Parola. Ogni nostra giornata sia dunque plasmata dall’incontro rinnovato con Cristo,.. Facciamo silenzio per ascoltare la Parola del Signore e per meditarla, affinché essa, mediante l’azione efficace dello Spirito Santo, continui a dimorare, a vivere e a parlare a noi lungo tutti i giorni della nostra vita” (E. Ap. “Verbum Domini”, n.124).

Ora: che la Parola di Dio sia di grande importanza per il credente nessuno lo mette oggettivamente in dubbio; altra cosa, pero’, e’ il pensiero teorico e altra e’ sentire, per esperienza personale, di non poterne davvero fare a meno. Perciò occorre capire bene che cos’è e che valore ha questa “Parola di Dio”.

Come fa intendere il Papa, la familiarità con la divina Parola altro non e’ che l’incontro rinnovato ogni giorno con Cristo, allo stesso modo in cui la familiarità con la parola di una persona amica, significa incontrarla spesso.  Questa Parola e’ dunque il Signore Gesù che dimora in noi, vive in noi e parla a noi nel silenzio, anche per mezzo delle parole del Vangelo e dell’intera Sacra Scrittura.

Questa poi e’ la fede nella Parola di Dio: il suo soggetto pensante e parlante non e’ colui che l’ha materialmente scritta e nemmeno il sacerdote che la legge dal pulpito, ma e’ Gesù Cristo in persona; e il suo oggetto, in definitiva, e’ sempre e ancora il Signore Gesù, dato che “l’ignoranza della Scrittura e’ ignoranza di Cristo” (S. Girolamo).

San Girolamo ha ragione, tuttavia dobbiamo affermare che per conoscere Cristo non basta conoscere perfettamente la Bibbia, allo stesso modo in cui non e’ l’amico dello sposo che lo conosce, ma solo la sua sposa. E se lo Sposo e’ il Figlio di Dio, lo conosce solamente colui al quale il Padre lo voglia rivelare (Mt 11,27).

Al riguardo, scrive un noto autore: “L’affermazione basilare della Bibbia secondo la quale essa sarebbe ‘Parola di Dio’, non e’ tanto da accettarsi ciecamente per via dell’autorità di Dio, bensì va riconosciuta per il suo potere trasformante e liberatore. La ‘Parola di Dio’ viene riconosciuta nell’effettiva esperienza, poiché opera su chiunque davvero la ‘ascolti’: allora trasforma la sua intera esistenza” (T. Merton, Leggere la Bibbia, ed. Garzanti, p. 14).

Ascoltare sembra facile, ma quand’e’ che davvero ‘ascoltiamo’ la Parola? Basta la buona volontà per capirla? Perché i genitori di Gesù dodicenne non capirono la sua risposta quando lo trovarono nel tempio (Lc 2,50)? In genere, e’ facile ascoltare chi parla in maniera semplice e chiara, ma..”La Bibbia, per la sua propria natura, sfida, mette in imbarazzo e stupisce lo spirito dell’uomo. Pertanto il lettore che la apre deve aspettarsi disorientamento, confusione, incomprensione e forse scandalo. Senz’altro e’ uno dei libri meno convincenti che mai siano stati scritti..” (id., p. 7). La Bibbia, oggettivamente, e’ piena di contraddizioni, e pur continuando da secoli ad essere il libro più letto nel mondo, nessuno e’ stato mai in grado di scriverne un’adeguata recensione.

Consideriamo, ad esempio la prima Lettura di oggi. Essa descrive qualcosa a dir poco di insolito per gli attuali ascoltatori della Parola di Dio: “Tutto il popolo piangeva mentre ascoltava le parole della legge” (Ne 8,9). La grande maggioranza dei credenti, infatti, se pur ascolta e legge volentieri la Sacra Scrittura, non prova certo una simile risonanza affettiva.

E’ vero che gli autori materiali della Bibbia e lo Spirito Santo che li ha ispirati non avevano un intento affettivo, tuttavia la maggioranza dei credenti, oggi, non mostra alcun interesse per la Parola di Dio: non la legge quasi mai. Credo che la ragione ultima di tale indifferenza emotiva nei confronti della Parola, stia nel fatto che la nostra fede ha molto poco a che fare con la definizione che ne da’ Benedetto XVI: “La fede e’ decidere di stare con il Signore per vivere sempre con lui” (“La porta della fede”, n. 10).

Il Vangelo di oggi ci aiuta a capire la questione di fondo. Gesù torna nella sua città preceduto da grande fama e si presenta nella sinagoga. Questa e’ l’ora della Parola. La Parola rivela Se stessa. Dio e’ all’opera. Ecco: “Lo Spirito del Signore e’ sopra di me;..e mi ha mandato a proclamare ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore” (Lc 4,18-19). Riavvolge il rotolo, lo consegna, si mette a sedere, e dice: “Oggi si e’ compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato” (Lc 4,21).

Ma oggettivamente la Scrittura deve ancora compiersi. I prigionieri sono ancora in prigione, i ciechi rimangono ciechi, gli oppressi sono ancora vittime dei prepotenti. E sarà sempre così, perché così e’ l’uomo. Ciò significa che il compimento non va riferito concretamente alle opere del Signore, ma alla sua Persona, alla sua Presenza. E’ Lui il Regno di Dino. Verranno, certo, i miracoli: i lebbrosi saranno sanati, i paralitici si porteranno a casa la barella, i morti risusciteranno…ma quanti fra tutti?  E dopo la morte di Gesù? E oggi, anno 2013?

Ciò significa che il compimento non si esaurisce con i segni e i miracoli del Signore, ma va riferito alla sua Presenza reale, alla sua Persona viva, che sta in mezzo a noi fino alla fine del mondo. Gesù e’ sempre con noi. Nell’Eucaristia Gesù e’ sempre in mezzo a noi e dentro di noi. Non dobbiamo temere. Gesù ha vinto il mondo!

La Parola e’ Gesù, e chiunque crede in Gesù sentirà che la Scrittura si compie in lui, poiché la fede opera sempre la divina Presenza nel cuore del credente, come l’ha operata in Maria: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi) (Gv 1,14).

* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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Un vino infinitamente buono https://it.zenit.org/2013/01/17/un-vino-infinitamente-buono/ https://it.zenit.org/2013/01/17/un-vino-infinitamente-buono/#respond Thu, 17 Jan 2013 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/un-vino-infinitamente-buono/ Vangelo della II Domenica del Tempo Ordinario

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Gv 2,1-11

“Il terzo giorno ci fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.  Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno più vino”. E Gesù le rispose: “Donna, che vuoi da me? Non e’ ancora giunta la mia ora”. Sua madre disse ai servitori: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Vi erano la’ sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: ” Riempite d’acqua le anfore”; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: ” Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto”. Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamo’ lo sposo e gli disse: “Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio, e, quando si e’ già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora”. Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifesto’ la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.”.

1 Cor 12,4-11

“Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo e’ lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo e’ il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo e’ Dio, che opera tutto in tutti”.

Se e’ vero, come e’ vero, che Dio “opera tutto in tutti” (1Cor 12,6), allora e’ Gesù stesso che ha voluto servirsi di sua Madre per dare inizio ai suoi segni a Cana di Galilea.
La sorprendente risposta del Signore all’iniziativa di Maria (“Donna, che vuoi da me? Non e’ ancora giunta la mia ora” – Gv 2,4), non deve dare l’impressione di “scontrosità”. Il senso nascosto e’ così spiegato da Benedetto XVI: “Gesù parla alla madre, Maria, della sua “ora” non ancora giunta. Ciò significa anzitutto che Egli non agisce e non decide di sua iniziativa, bensì sempre in accordo con la volontà del Padre, sempre a partire dal disegno del Padre” (‘ Gesù di Nazaret’, p. 293).

In realtà, quindi, a Cana non avviene un anticipo temporale della manifestazione pubblica di Gesù, ma un anticipo dell’ora ancora lontana della croce, al modo del segno. Perciò “Se Gesù in  quell’istante parla a Maria della sua ora, lega con ciò il momento in cui si trovano al mistero della croce come sua glorificazione ” (id.).

Vediamo infatti che Maria, nonostante la difficile risposta di Gesù, non esita ad avvisare i servitori di tenersi pronti, evidentemente confidando nell’accoglienza della sua richiesta da parte del Figlio. Certo, le parole  misteriose del Signore lasciano li’ per li’ in sospeso l’esaudimento, ma esse sono indirizzate alla fede di sua Madre, la quale sa per certo che il Figlio interverrà, senza tuttavia poter immaginare come. Per questo Maria ordina subito ai servitori: “Qualunque cosa vi dirà, fatela” (Gv 2,5), preoccupandosi di mettere anche loro nella disposizione della pronta obbedienza al Signore.

Ed ora cerchiamo di attualizzare il segno di Cana.

Ci aiuta ancora Benedetto (id., p. 294): “Il segno di Dio e’ la sovrabbondanza. Lo vediamo nella moltiplicazione dei pani, lo vediamo sempre di nuovo.(…) Gesù si presenta qui come lo “sposo” delle promesse nozze di Dio con il suo popolo. In Lui, Dio e l’uomo diventano in modo inaspettato una cosa sola, hanno luogo le “nozze”, che pero’ passano attraverso la croce, attraverso l'”essere tolto” dello sposo (Mc 2,18).

Quest’ultima dolorosa precisazione e’ fondamentale. E’ vero, infatti, che Gesù ha detto: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10), ma Egli stesso avverte che tale abbondanza passa attraverso la croce, e’ il frutto della croce. Il segno di Cana nasconde e comporta il segno della croce.

La vita umana, in se stessa, e’ sovrabbondanza, poiché e’ dono divino che ci rende partecipi della natura della Santissima Trinità (2 Pt 1,4), tuttavia la via per goderne e’ quella percorsa anzitutto dal Signore Gesù, la via della croce.
Con le parole: “Qualunque cosa vi dica, fatela” (Gv 2,5), Maria ci esorta a seguire le orme di Gesù. La croce fa parte infatti di questo “qualunque cosa”, e “vi dica” indica che la Parola della croce va ascoltata e accolta in quella fede nel Padre di Gesù e nostro, che ogni giorno ci muove a dirgli: “Sia fatta la tua volontà”!
Entrando nel nostro mondo, il Figlio di Dio ha detto le stesse parole: “Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb 10,9-10), e questa volontà del Padre era la sua morte di croce per noi; eppure, nell’imminenza della Passione, lo stato d’animo di Gesù non e’ semplicemente sereno, ma gioioso, tanto da dire ai discepoli: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi, e la vostra gioia sia piena” (Gv 15,11).

Penso qui allora alle innumerevoli situazioni di sofferenza nei luoghi molteplici del dolore: il grembo materno violato a morte, la malattia dei corpi e delle anime, la solitudine, l’emarginazione dei poveri, il fallimento morale e spirituale dei ricchi di se’, i disastri naturali, le carceri, le famiglie divise,..ogni cuore umano! La storia e’ quasi sempre questa: il vino della gioia non mancava, ma un giorno le anfore sono state brutalmente spezzate, il vino e’ andato perduto e quello che lo ha sostituito sa molto da aceto.
In altre parole: la vita umana, per i più, e’ un cammino nel quale il vino abbondante della gioia si va annacquando inesorabilmente.

Ma anche se questo e’ realisticamente vero sul piano esistenziale dei fatti, occorre osservare che la verità del vino buono non sta nella quantità e nella qualità naturale. Il vino buono non e’ semplicemente migliore e più abbondante del vecchio: e’ tutt’altra cosa! E’ un vino, per così dire, infinito per qualità e quantità, un vino divino che ha il potere di rigenerare anche le anfore distrutte, zampillando da esse senza sosta.
Paolo assicura, infatti, che nei nostri poveri vasi di creta, abbiamo un tesoro! Perciò sapendo che Dio dimora nella nostra anima immortale, noi crediamo e sperimentiamo che Egli ci dona il vino buono della gioia infinita ed inalienabile che possiede in Se’.
E’ una promessa implicita nelle parole “qualunque cosa vi dirà, fatela”, poiché l’obbedienza alla volontà di Dio fa sempre entrare nel cuore la gioia di Cristo.
La fede che si sforza di accettare anche la sofferenza dalla mano misericordiosa di Dio, opera sempre come una sonda che dal profondo dell’anima fa scaturire l’abbondanza della vita, vale a dire la gioia propria di Gesù.                                                                                             

* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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