Libertà di Dio Archives - ZENIT - Italiano https://it.zenit.org/tag/liberta-di-dio/ Il mondo visto da Roma Tue, 26 Jul 2016 05:09:20 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.7.1 https://it.zenit.org/wp-content/uploads/sites/2/2020/07/02e50587-cropped-9c512312-favicon_1.png Libertà di Dio Archives - ZENIT - Italiano https://it.zenit.org/tag/liberta-di-dio/ 32 32 Il fallimento del razionalismo fa riscoprire la libertà di Dio (Seconda parte) https://it.zenit.org/2016/07/26/il-fallimento-del-razionalismo-fa-riscoprire-la-liberta-di-dio-seconda-parte/ Tue, 26 Jul 2016 05:09:20 +0000 https://it.zenit.org/?p=81009 Fra Orlando Todisco racconta il suo ultimo libro “Liberare la Verità” (Cittadella Editrice)

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Segue la seconda parte dell’intervista a fra Orlando Todisco. La prima parte è stata pubblicata ieri, 25 luglio 2016.
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Con tale scelta – primato della libertà – cosa effettivamente cambia? Quale è il nuovo panorama che il francescano ama dischiudere?
Con il primato della libertà si ha il primato del ‘perché’ sul ‘come’. Se la filosofia greca, muovendo dalla constatazione del darsi, senza inizio e senza fine, del cosmo, procede alla sua esplorazione chiedendosi ‘come’ sia fatto e ‘come’ divenga, e se la filosofia moderna prolungando quella logica continua a interrogarsi sul ‘come’ abbiano luogo i fenomeni e sul ‘come’ sia possibile manipolarli, la filosofia francescana si interroga sul ‘perché’ del mondo e solo in rapporto a tale ‘perché’ si sofferma sul ‘come’.
È un’altra prospettiva con conseguenze rilevanti. Infatti, per la visione biblico-cristiana, cui la prospettiva francescana si richiama, il mondo non è da sempre e per sempre, ma un tempo non era e poi è cominciato a esistere. Il ‘parricidio di Parmenide’ non è nel Parmenide di Platone, ma nel Genesi della Bibbia, dove è evocato il passaggio dal nulla assoluto all’essere. Se un tempo non ero, chi mi ha voluto e perché? Dal primato greco del ‘come’ si passa al primato del ‘perché’ come ricerca del ‘senso’.
Inoltre, la creazione o il passaggio dal nulla all’essere è opera del Signore dell’essere e del nulla. Io non sono da me. L’Altro, libero e responsabile, che mi ha voluto, mi precede: questo l’assunto decisivo. Infatti, nel contesto del venire dal nulla all’essere non si dà valore alcuno che si realizzi nella solitudine dell’io, dal momento che il primo posto non spetta all’io ma all’altro. È la logica dell’affratellamento cosmico, motivo ispiratore della famiglia francescana, impegnata a tradurre tale messaggio nella pluralità delle situazioni storiche. Il mondo è chiamato all’essere non perché abbia diritto a essere – non ha la ragione di sé in sé – ma perché Dio lo ha voluto. Dunque, il mondo non può vantare una vera autosufficienza.
Prima di essere, non essendo, il mondo non ha alcun diritto. È contingente, nel senso che poteva non essere e dunque, se è, la ragione non è nel mondo, ma in colui che l’ha voluto – è il senso del canto di gratitudine delle creature al Creatore che san Francesco ascolta e al quale si unisce. È il senso alto della contingenza cristiana, che porta a ringraziare colui che ha voluto ciò che avrebbe potuto non volere.
La concezione dell’essere, non più neutro e impersonale – l’essere in quanto essere – ma voluto e dunque personale – il volontarismo francescano – comporta una compaginazione che vede l’essere fiorire nella comunità. L’egolatria, sia greca che moderna, non tiene conto della logica del nostro venire all’essere – nessuno viene da sé – incline a subordinare l’altro a sé e a vivere su misura del proprio recinto. La chiusura in sé è il limite che l’indirizzo francescano denuncia sollecitando a prendere coscienza che si è in quanto chiamati al mondo in totale gratuità e dunque che si è non per stare in sé ma per uscire da sé, non però per prendere ma per dare, non per distruggere ma per costruire?
Dunque, il francescano privilegia la volontà e la libertà. Ma tale primato assoluto della volontà non è la sorgente originaria dei totalitarismi?
Sì, è vero, è diffusa l’annotazione secondo cui il primato della volontà genera un atteggiamento arbitrario conclusivamente totalitario, secondo cui «voluntas, non veritas, facit legem». È l’obiezione principale, in nome della quale si è proceduto alla difesa del primato della ragione, secondo cui occorre prima definire in maniera compiuta il progetto – la verità – poi valutarlo e finalmente procedere alla sua realizzazione – libertà creativa. Ebbene, il libro è una sorta di radicale contestazione di quest’interpretazione. Dando il primato alla volontà, il libro tenta di rovesciare il detto giovanneo, ma conservandone inalterato il significato principale – “la verità vi farà liberi” – in “la libertà vi farà veri”, o anche in “la verità è vera se vi farà liberi”.
Cosa autorizza un tale rovesciamento?
La giustificazione mi pare di poterla riporre nel rilievo, storiograficamente comprovato, che la ragione proprio in nome della verità si è affermata dominatoria, cifra della volontà di potenza. È in nome della verità che si accendono i roghi nel mondo, da sempre. Al tempo di Socrate, quando prese piede il razionalismo – rileva Nietzsche ne La nascita della tragedia – «si indovinò nella razionalità la salvatrice; né Socrate né i suoi malati erano liberi di essere razionali, era de rigueur, era il loro ultimo rimedio.
Il fanatismo con cui tutto il pensiero greco si getta nella razionalità tradisce una condizione penosa; si era in pericolo, non c’era una scelta; o andare in rovina o essere assurdamente razionali». Se l’ipotesi della nascita della ragione come cifra del potere di salvezza e dunque come volontà di potenza in quanto titolare di verità, è teoreticamente plausibile – il che ho cercato di mostrarlo nel libro – si comprende allora il capovolgimento storiografico che con questa ricerca oso proporre, e cioè, considerare fonte totalitaria la ragione, non la volontà, ritorcendo contro i razionalisti l’obiezione che questi per lo più rivolgono ai francescani, sostenitori del primato della volontà.
Questi, infatti, ritengono che il primato della volontà non vada confuso con la volontà di potenza, bensì con la volontà di libertà (Duns Scoto), la quale, proprio perché tale, non nega la volontà di potenza, altrimenti ne sarebbe solo un’altra versione, ma procede alla sua subordinazione alla volontà di libertà. La lettura delle creature come solide figure della costituzione della coscienza razionale può trovare un argine solo all’interno della loro interpretazione come rinvianti a un gesto di libertà d’ordine trascendente. Il che significa che il francescano tenta l’ardua operazione di coniugare la volontà di potenza, identificata con la ragione filosofico-scientifico-tecnica, e la volontà di libertà, alimentata e sorretta dalla ragione filosofico-teologica di matrice prevalentemente biblica.
Il che è realizzabile grazie al valore-legame o fraternità, inteso in senso ampio, contro e oltre qualsiasi atteggiamento arbitrario o puramente ‘potestativo’. Sono due prospettive che non sono maturate insieme e, quando si è tentato una loro coniugazione, si è dato vita più a una commistione che a una loro armonizzazione. È agevole tale armonizzazione?
Credo che questa operazione esiga un ripensamento impegnativo attraverso un’antropologia creativa, in grado di tenere insieme, sotto un profilo generale, la volontà di potenza e la volontà di libertà e, su un piano di vita quotidiana – ecco il senso della fraternità – di rinnovare la relazione tra valore d’uso dei beni e valore di scambio alla luce di una nuova logica, secondo cui occorre scambiare donando e donare scambiando, e cioè con il desiderio di gratificare l’altro senza però rimetterci.
Si impone sullo scenario della convivenza un nuovo valore – il valore-legame o concertazione o fraternità in senso pienamente francescano – grazie al quale si conferma la propria libertà creativa, considerando l’interlocutore a un tempo destinatario (scambio) e protagonista (dono), e cioè non sacrificando al rigore del rapporto – il profitto – il fascino della gratificazione. 
Ritiene davvero feconda una tale operazione filosofico-teologica?
Risposta – Il francescano è persuaso che l’Occidente, per recuperare il fascino dell’essere, deve recuperarne l’anima libertaria e creativa, non più in senso autoreferenziale e dominatorio, operando il passaggio dall’antropologia possessiva all’antropologia oblativa, dal momento che la tristezza del vivere non sta nel non avere ciò cui pur si ha diritto, ma nel non dare – o nel non poter dare – ciò che si è in grado di dare, dal momento che lo spazio del vivere è occupato per intero dalla logica del profitto. Il che significa che il mondo va sviluppato e amato, misurandosi con il peso del proprio tempo, non eludendolo o mitigandolo, ma rettificandolo secondo la libertà creativa di segno oblativo. La libertà non creativa è una libertà irresponsabile, che si consuma nella pigrizia della ripetizione o nel brivido della distruzione. Il che non significa che la libertà sia una potenza magica, in grado di creare ex novo la realtà; né che questa sia un fascio di potenzialità in attesa del nostro intervento, o una “superficie liscia”, priva di increspature. La libertà è capacità di ‘rispondere’ (responsabilità) alle attese della comunità, facendo ‘attrito’ con la realtà, perché ognuno possa lasciare un segno del suo passaggio.
Questa prospettiva che lei da anni va proponendo è davvero espressione dei maestri francescani?
Con questo libro, più che ricostruire le molte tappe e l’articolazione puntuale dell’impianto teoretico della libertà francescana, così come è stato intuito e teorizzato da Bacone, Bonaventura, Duns Scoto, Occam…protagonisti della grande Scolastica (secc. XIII-XIV), ciò che cerco di fare è di pensare assieme a questi maestri come la libertà – volto originario dell’essere – sia stata accolta e vissuta nella storia, quale ruolo abbia coperto, quale spazio abbia occupato e soprattutto quale la sua fecondità esistenziale. Si è detto – e mi pare giustamente – che “il parlare su qualcuno mi sembra condannato irrimediabilmente a parlarne senza comprenderlo e a chiudere più ermeticamente il suo sepolcro” (Karl Barth). Ciò che mi pare sommamente rispettoso è il pensare non sui maestri della scuola francescana ma in loro compagnia, lasciandosi prendere dalle loro riflessioni e abbandonandosi alle loro suggestioni.

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