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14/07/2020-13:10

ZENIT Staff

San Camillo de Lellis: Alcuno vorrà esercitare l’opre di misericordia, corporali et spirituali sappia che ha da esser morto a tutte le cose del mondo

“[…] Tutta la Chiesa nel suo insieme ha ricevuto dal suo Maestro e Signore il mandato di annunciare il Regno di Dio e curare i malati (cfr Lc 9,2), a imitazione di Lui, Buon Pastore, Buon Samaritano, che è passato su questa terra «beneficando e sanando tutti coloro che erano prigionieri del male» (Prefazio comune VIII). Ma in particolare a San Camillo de Lellis e a tutti coloro che ne seguono l’esempio, Dio ha elargito il dono di rivivere e testimoniare l’amore misericordioso di Cristo verso i malati. La Chiesa lo ha riconosciuto come un autentico carisma dello Spirito”, così Papa Francesco nel suo discorso rivolto ai religiosi e alle religiose della famiglia carismatica camilliana nel 2019.

“[…] La figura di San Camillo è immediatamente ed emblematicamente legata alla croce rossa che egli ottenne di portare cucita sull’abito religioso da papa Sisto V con il Breve Cum Nos nuper del 20 giugno 1586″, così il Cardinale Tarcisio Bertone nella solennità di San Camillo de Lellis nel 2009. “In particolare, come riferisce nel 1620 padre Sanzio Cicatelli, primo biografo del Santo, “per tre ragioni piacque al padre nostro che portassimo la Croce né vestimenti, tenendola per nostra impresa e insegna. La prima per far distinzione dall’abito della Compagnia di Gesù. La seconda per far conoscere al mondo che tutti noi segnati di questo impronto di Croce siamo come schiavi venduti e dedicati per servigio dè poveri infermi. E la terza per dimostrare che questa è religione di croce, cioè di morte, di patimenti e di fatica, acciò quelli che vorranno seguitar il nostro modo di vita, si presuppongano di venir ad abbracciare la Croce, di abnegar se stessi e di seguitar Giesù Cristo fino alla morte”.

Non risulta strano, pertanto, che lo stesso Santo non si sia mai distaccato dal Crocifisso, ora venerato nella cappella alla mia sinistra [Chiesa di Santa Maria Madalena], dal sorgere dell’idea dell’Istituto nelle corsie dell’Ospedale di San Giacomo in Augusta fino a portarlo, da ultimo, in questa chiesa, memore di un legame indissolubile che si era rafforzato e consolidato anche a seguito delle parole incisive e severe che lo stesso Crocifisso, in un momento di sconforto e di scoraggiamento, secondo la tradizione, aveva proferito a quel gigante nei tratti fisici e spirituali. Infatti, secondo quanto riferito sempre da padre Cicatelli, “poiché ritrovandosi egli in un’altra grandissima tribolazione, per l’infinite difficoltà che se gli paravano avanti […] ricorrendo egli all’oratione e alla detta Santissima Imagine, perseverando in quella con lagrime e sospiri, vidde che l’medesimo e Santissimo Crocifisso, havendosi distaccate le mani dalla Croce, lo consolò e lo animò, dicendogli: Di che t’affliggi o pusillanimo? Seguita l’impresa ch’io t’aiuterò, essendo questa opera mia e non tua…”.

Quell’incoraggiamento rivolto a San Camillo dal Crocifisso a proseguire nell’opera di carità intrapresa, e segnato visivamente anche dalla croce posta sul petto nell’abito dei suoi religiosi, risuona anche per noi oggi secondo i diversi carismi e ministeri conferitici, indicandoci il perenne valore della carità, come abbiamo ascoltato nel brano della prima Lettura, tratto dal libro del Siracide: “Non rifiutare il sostentamento al povero, non esser insensibile allo sguardo dei bisognosi, non respingere la supplica di un povero, non sì distogliere lo sguardo dall’indigente…”.

Affiora così l’intrinseco legame tra Crocifisso e carità, che si ripropone anche nella “Formula di vita” redatta da San Camillo per il suo Ordine, e che contiene tutti gli elementi che verranno in seguito ripresi nel 1591 nella Bolla di istituzione “Illius qui pro gregis” di Papa Gregorio XIV; la “Formula di vita”, infatti, mentre indica la specificità del carisma dei Ministri degli Infermi, riafferma la priorità del Crocifisso e la funzione primaria della carità nel servizio agli ammalati: “Se alcuno – sono le parole di San Camillo -, ispirato dal Signore Iddio, vorrà esercitare l’opre di misericordia, corporali et spirituali, secondo il Nostro Istituto, sappia che ha da esser morto a tutte le cose del mondo, cioè a parenti, amici, robbe, et a se stesso, et vivere solamente a Giesù Crocifisso sotto il suavissimo giogo della perpetua povertà, castità, obidienza et servigio delli poveri infermi ancorché fussero appestati, nei bisogni corporali et spirituali, di giorno et di notte […], il che farà per vero amor de Dio, et per far penitenza de suoi peccati; ricordandosi della Verità Christo Giesù, che dice: quod uni ex minimis meis fecistis, mihi fecisti; dicendo altrove: infirmus eram et visitastis me, venite benedicti mecum, et possidete Regnum vobis paratum ante constitutionem mundi”[1]. […].”

Papa Francesco ha spiegato nel suo discorso che dal carisma suscitato inizialmente in San Camillo, si sono via via costituite varie realtà ecclesiali che formano oggi un’unica costellazione, cioè una “famiglia carismatica” composta di religiosi, religiose, consacrati secolari e fedeli laici. Nessuna di queste realtà è da sola depositaria o detentrice unica del carisma, ma ognuna lo riceve in dono e lo interpreta e attualizza secondo la sua specifica vocazione, nei diversi contesti storici e geografici. Al centro rimane il carisma originario, come una fonte perenne di luce e di ispirazione, che viene compreso e incarnato in modo dinamico nelle diverse forme. Ognuna di esse viene offerta alle altre in uno scambio reciproco di doni che arricchisce tutti, per l’utilità comune e in vista dell’attuazione della medesima missione. Qual è? Testimoniare in ogni tempo e luogo l’amore misericordioso di Cristo verso i malati.

San Camillo de Lellis, che tutti riconoscete come “Padre”, è vissuto in un’epoca in cui non era ancora maturata la possibilità della vita consacrata attiva per le donne, ma solo quella di tipo contemplativo e monastico. Egli ha costituito, pertanto, un Ordine di soli uomini. Tuttavia, aveva ben compreso che la cura verso gli infermi doveva essere praticata anche con gli atteggiamenti tipici dell’animo femminile, tanto da chiedere ai suoi religiosi di servire i malati «con quell’affetto che una madre amorevole suole avere per il suo unico figlio infermo» (Regole della Compagnia delli Servi degli Infermi, 1584, XXVII). Le due Congregazioni femminili sorte nell’Ottocento e gli Istituti secolari nati nel secolo scorso hanno dato completezza all’espressione del carisma della misericordia verso gli infermi, arricchendolo delle qualità spiccatamente femminili dell’amore e della cura. In questo vi accompagna e vi guida la Vergine Maria, Salute dei malati e Madre dei consacrati. Da lei impariamo come stare accanto a chi soffre con la tenerezza e la dedizione di una madre. Mi fermo un po’ su questa parola “tenerezza”. È una parola che oggi rischia di cadere dal dizionario! Dobbiamo riprenderla e attuarla nuovamente! Il cristianesimo senza tenerezza non va. La tenerezza è un atteggiamento propriamente cristiano; è anche il “midollo” del nostro incontro con le persone che soffrono. […]”

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[1] “E – sono le parole di San Camillo -, ispirato dal Signore, uno vorrà esercitare le opere di misericordia corporali e spirituali secondo il nostro Istituto, sappia che deve essere morto al mondo, cioè ai parenti, amici, cose e a se stesso, per vivere solamente per Gesù crocifisso sotto il soavissimo giogo della perpetua povertà, castità, ubbidienza e servizio dei poveri infermi anche appestati, nelle necessità corporali e spirituali, di giorno e di notte […]. Farà questo per vero amore di Dio, per la penitenza dei propri peccati, ricordandosi di quanto la Verità, Gesù Cristo, dice: ‘Ciò che avete fatto a uno di questi minimi miei fratelli, l’avete fatto a me’, e altrove: ‘Ero infermo e mi avete visitato: venite con me, o benedetti, possedete il Regno preparato per voi prima della fondazione del mondo’”.

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14/07/2020-13:23

Luca Voltolini

Luca Voltolini: Padre Kino, il gesuita di Segno che lasciò il segno nella Storia della Chiesa e non solo

E’ di pochi giorni fa la notizia che Papa Francesco il 10 luglio 2020 ha riconosciuto “le virtù eroiche” del nostro conterraneo Padre Eusebio Francesco Chini , conosciuto anche come padre Kino, dichiarandolo venerabile.

L’ arcidiocesi di Hermosillo in Messico aveva già avviato il processo di beatificazione dello stesso.

Questo riconoscimento, per chi non lo sapesse, è la conclusione della prima fase di un processo che , qualora venisse riconosciuto e attestato un miracolo a lui attribuito potrebbe portare alla beatificazione di Padre Kino.

Dico nostro conterraneo perché il gesuita considerato tra le altre cose come uno dei fondatori dell’Arizona nacque nel piccolo paese di Segno, oggi frazione del comune di Predaia in Val di Non in Trentino nel 1645.

E qui in me sorge spontanea la domanda che forse può sembrare banale: che ci faceva nelle Americhe un gesuita trentino nel 1645?

Facciamo un piccolo excursus storico: a Trento si svolse dal 1545 al 1563 il Concilio di Trento, conosciuto anche come concilio ecumenico della Chiesa cattolica , in risposta al dilagare della dottrina di Martin Lutero in Europa. Dopo il Concilio di Trento prese l’avvio la controriforma, che avrebbe posto in essere alcuni aspetti dottrinali del cattolicesimo che sarebbero rimasti quasi inalterati fino al Concilio Vaticano I.

Ebbene, Eusebio Chini nacque nel 1645 a Segno in Val di Non, in quell’epoca appartenente al Principato Vescovile di Trento nel Sacro Romano Impero.

Di lui sappiamo che godette di salute cagionevole durante l’infanzia con una salute precaria.

Ristabilitosi studiò prima a Trento, poi a Hall in Tirolo.

Nel 1665 all’età di 20 anni entrò nella Compagnia di Gesù e aggiunse al proprio nome quello di Francesco, in segno di devozione e ringraziamento a San Francesco Saverio, al quale si era affidato nella preghiera durante il lungo periodo di malattia.

Parti nel 1681 da Siviglia alla volta della Nuova Spagna, ovvero quell’immenso territorio appartenente allora all’impero spagnolo nelle Americhe di cinque milioni di chilometri quadrati.

Per intenderci: Texas, Arizona, Colorado, Nuovo Messico, Wyoming e Utah, negli futuri “Stati Uniti”, Messico nella sua interezza e gran parte dell’America Centrale appartenevano a questi territori.

Rimando ad altri testi la sua immensa attività di esploratore, missionario, cartografo e naturalista.

Ci basti dire che morì nel 1711 a Magdalena de Kino, nella città a lui dedicata dallo stato messicano di Sonora.

Fu quindi un gigante e per tornare alla nostra regione a Segno, nella sua città natale esiste il Museo Padre Eusebio Chini, che ripercorre la sua opera di evangelizzazione nei territori dell’ Arizona e nello stato di Sonora.

Luca Voltolini

Per ulteriori approfondimenti ecco il museo a Segno:

info@padrekino.org
http://www.padrekino.org

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14/07/2020-13:31

ZENIT Staff

Pietro Maranesi: “Francesco e il lupo. Strategie politiche per una società più inclusiva”

L’incontro di Francesco d’Assisi con il lupo di Gubbio descritto nei Fioretti – in cui Francesco ammansisce un lupo feroce che spaventava la città – costituisce uno tra gli episodi più famosi della vita del Santo, sicuramente uno di quei momenti emblematici che hanno formato il nostro immaginario collettivo insieme alla predica agli uccelli. Oggi più che mai, questi due racconti toccano profondamente la nostra sensibilità, così attenta alla questione ecologica. Non a caso San Francesco è un modello attualissimo per la sua speciale capacità nel ristabilire rapporti equilibrati e integrati tra l’uomo e la natura.

Questa lettura contemporanea rischia di distrarci dal nucleo fondamentale della vicenda del lupo di Gubbio, che è essenzialmente politico: non si tratta, infatti, di aver pietà del lupo in quanto tale, ma in quanto escluso dalla città. La domanda sollevata dalla storia è solo apparentemente semplice: come integrare il diverso e l’escluso all’interno dei rapporti cittadini? È possibile e giusto effettuare una tale operazione con un lupo o l’unica soluzione di questa contrapposizione è la scelta oppositiva guidata dalla violenza?

Padre Pietro Maranesi rilegge la parabola di Francesco e il lupo evidenziando l’importanza del ruolo svolto dal “mediatore politico” nel suo tentativo di far superare al gruppo sociale le tensioni che normalmente nascono all’arrivo del “diverso”, giudicato come pericoloso per la tenuta del sistema socio-economico. E ci insegna che un buon mediatore politico è capace non solo di gestire le paure, in modo che non sfocino nella violenza, ma addirittura di trasformare quella novità in opportunità di vita a vantaggio dell’intera città.

Pietro Maranesi, frate cappuccino, è docente di dogmatica presso l’Istituto superiore di Scienze religiose di Assisi e di studi francescani presso l’Istituto Teologico di Assisi e all’Antonianum di Roma.

È autore di varie pubblicazioni tra le quali Facere Misericordiam: la conversione di frate Francesco (Porziuncola, 2007), La clausura di Chiara d’Assisi (Porziuncola, 2012), Figure del male. Questioni aperte sul “diabolo” (Cittadella 2017), La verità di Nicodemo (Cittadella, 2019) e Caro Leone ti scrivo (Messaggero 2020).

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