Stefano Di Battista, Author at ZENIT - Italiano https://it.zenit.org/author/stefanodi-battista/ Il mondo visto da Roma Sat, 14 Mar 2015 00:00:00 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.6.2 https://it.zenit.org/wp-content/uploads/sites/2/2020/07/02e50587-cropped-9c512312-favicon_1.png Stefano Di Battista, Author at ZENIT - Italiano https://it.zenit.org/author/stefanodi-battista/ 32 32 "Evangelium vitae", vent'anni https://it.zenit.org/2015/03/14/evangelium-vitae-vent-anni/ https://it.zenit.org/2015/03/14/evangelium-vitae-vent-anni/#respond Sat, 14 Mar 2015 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/evangelium-vitae-vent-anni/ A Roma un evento per celebrare l'enciclica di san Giovanni Paolo II

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Con una veglia di preghiera nella basilica papale di Santa Maria Maggiore, a Roma, martedì 24 marzo si apriranno le celebrazioni per i vent’anni dell’Evangelium vitae, l’enciclica promulgata nella solennità dell’Annunciazione, il 25 marzo 1995, da san Giovanni Paolo II per «essere una riaffermazione precisa e ferma del valore della vita umana e della sua inviolabilità, e insieme un appassionato appello rivolto a tutti e a ciascuno, in nome di Dio».

Nella stesura, il Papa ricordava il cambio di paradigma indotto dalla modernità, istituendo un parallelo con la Rerum novarum di Leone XIII (15 maggio 1891): «Come un secolo fa a essere oppressa nei suoi fondamentali diritti era la classe operaia, e la Chiesa con grande coraggio ne prese le difese, proclamando i sacrosanti diritti della persona del lavoratore, così ora, quando un’altra categoria di persone è oppressa nel diritto fondamentale alla vita, la Chiesa sente di dover dare voce con immutato coraggio a chi non ha voce. Il suo è sempre il grido evangelico in difesa dei poveri del mondo, di quanti sono minacciati, disprezzati e oppressi nei loro diritti umani».

Nella mattinata del 25 marzo, i partecipanti saranno accolti all’udienza generale da papa Francesco, che il 20 settembre 2013, rivolgendosi alla Federazione internazionale dei medici cattolici, ricordò che «ogni bambino non nato ma condannato a essere abortito ha il volto di Gesù Cristo, il volto del Signore».

L’evento è promosso dal Pontificio consiglio per la famiglia, in collaborazione con alcune associazioni che hanno raccolto l’esortazione di san Giovanni Paolo II per una «mobilitazione generale in vista di una nuova cultura della vita». Proprio i responsabili di tali associazioni, cioè il cardinal Elio Sgreccia per Donum vitae, Carlo Casini del Movimento per la vita italiano e don Maurizio Gagliardini per Difendere la vita con Maria, hanno firmato una lettera diretta a papa Francesco in cui, nel ricordare l’anniversario, scrivono: «Ci pare un gran segno della Provvidenza che sia proprio lei, così ascoltato anche dai lontani, così attento alla voce dei poveri, di chi è senza potere, di chi non ha voce, a dire in queste circostanze una parola di incoraggiamento non solo per noi, ma per tutte le donne che sono tentate di abortire o che hanno attraversato purtroppo il dramma dell’aborto e per tutta l’umanità che ha bisogno di scoprire il significato vero della dignità umana».

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Dall'Humanae vitae all'Evangelii gaudium https://it.zenit.org/2014/11/09/dall-humanae-vitae-all-evangelii-gaudium/ https://it.zenit.org/2014/11/09/dall-humanae-vitae-all-evangelii-gaudium/#respond Sun, 09 Nov 2014 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/dall-humanae-vitae-all-evangelii-gaudium/ Sintesi della riflessione svolta in occasione dell'incontro "Bambini non nati, una via per la pace" che si è svolto a Roma il 5 novembre nella parrocchia di Nostra Signora di Guadalupe e San Filippo

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Parto da una lettura che è stata proposta lo scorso anno dalla psicoanalista Marie Balmary a un incontro del Pontificio consiglio per la famiglia.

Nel 1962, al Concilio Vaticano II, si verificò un fatto inaudito: i padri conciliari rifiutarono di adottare i testi preparati dalla curia romana, esprimendo invece il desiderio di riunirsi in commissioni. «Immaginate cosa possa significare […] che dei vescovi venuti a Roma da tutto il mondo, si rifiutino di obbedire a un ordine e ottengano ciò che vogliono. La libertà, niente di più contagioso. […] Esiste un rapporto tra l’apertura di un Concilio a Roma e le rivolte studentesche? Non ho una risposta per questa domanda. Ho solo l’impressione che le grandi aperture simboliche, i grandi avvenimenti di parola, potrebbero essere legati tra loro.»[1]

Il Sessantotto giunse dopo oltre vent’anni di pace, in un’Europa che aveva vissuto fra dittature e guerre mondiali, che avevano provocato 230 milioni di morti: quasi un decimo dell’umanità. Il Maggio francese si diede una parola d’ordine: il est interdit d’interdire.

In tale contesto, la pubblicazione dell’Humanae vitae(25 luglio 1968) non poté essere compresa: l’enciclica venne infatti letta come un documento che poneva dei divieti, in particolare sulla contraccezione, e non come una riflessione alta sull’amore coniugale.

Il 1 dicembre 1970 in Italia, viene introdotta la legge sul divorzio (1 dicembre 1970) e un referendum la conferma (12 maggio 1974). Nell’udienza del 15 maggio 1974, Paolo VI si rivolse alle coppie di sposi novelli senza nascondere lo stupore e il dolore per quel passo, che disattendeva «il suo richiamo alla fedeltà alla legge di Dio e della Chiesa […]. S’intravede in queste parole la preoccupazione per ciò che le forze radicali, fin dall’inizio della loro campagna, avevano proclamato e, cioè, che il divorzio era solo il primo passo verso la legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza […]»[2]

Questa si realizzò il 22 maggio 1978. «Negli anni precedenti numerose erano state le manifestazioni per la legalizzazione dell’aborto, soprattutto dopo l’incidente della nube tossica di Seveso (10 luglio 1976), che si temeva avesse contaminato anche le donne in gravidanza.»[3]

Torniamo quindi alla stesura dell’Humanae vitae, sia per coglierne il senso profetico, sia per dar conto del non secondario contributo del cardinal Karol Wojtyla.

Come spiegò lui stesso all’indomani della morte di Paolo VI, nell’aprile 1967 fu chiamato in udienza perché esprimesse la propria opinione in merito alla questione della procreazione responsabile e del controllo delle nascite. Dopo averlo ascoltato, secondo quanto riferì Wojtyla stesso, Paolo VI disse: «Se si trovasse in Polonia, a Cracovia, qualche persona che per quella difficile questione desiderasse offrire le sue preghiere a Dio, e soprattutto le sue sofferenze: mi sta molto a cuore.»[4]

Questa considerazione, colpì profondamente Wojtyla, in filigrana anticipa la sollecitazione dell’Evangelium vitae(25 marzo 1995): «[…] è urgente una grande preghiera per la vita, che attraversi il mondo intero. Con iniziative straordinarie e nella preghiera abituale, da ogni comunità cristiana, da ogni gruppo o associazione, da ogni famiglia e dal cuore di ogni credente, si elevi una supplica appassionata a Dio, Creatore e amante della vita. Gesù stesso ci ha mostrato col suo esempio che preghiera e digiuno sono le armi principali e più efficaci contro le forze del male […] Ritroviamo, dunque, l’umiltà e il coraggio di pregare e digiunare, per ottenere che la forza che viene dall’Alto faccia crollare i muri di inganni e di menzogne, che nascondono agli occhi di tanti nostri fratelli e sorelle la natura perversa di comportamenti e di leggi ostili alla vita, e apra i loro cuori a propositi e intenti ispirati alla civiltà della vita e dell’amore.»[5]

Oggi, si può dire che papa Francesco abbia accolto l’invito di Paolo VI, rielaborato con forza da Giovanni Paolo II, con la sua visita al ‘Giardino dei bambini abortiti’ di Kkottongnae, durante il viaggio apostolico in Corea del Sud (16 agosto 2014).

Nel 1995, il cardinal Joseph Ratzinger scrisse: «Il Vaticano II era cominciato in questo clima ottimistico della riconciliazione possibile fra epoca moderna e fede; la volontà di riforma dei suoi padri ne era plasmata. Ma già durante il Concilio questo contesto sociale cominciò a mutarsi. […] Quell’epoca moderna, con la quale si era cominciato a riconciliarsi, ora non doveva più esserci.»[6]

Quando mise mano all’Humanae vitae, Paolo VI era consapevole delle difficoltà. Lo testimonia il passaggio di un’intervista rilasciata ad Alberto Cavallari e pubblicata dal Corriere della Sera il 3 ottobre 1965: «Tacere non possiamo. Parlare è un problema. La Chiesa non ha mai dovuto affrontare per secoli cose simili. E si tratta di materia diciamo strana per gli uomini della Chiesa, anche umanamente imbarazzante.»[7]

Dopo la pubblicazione dell’enciclica, le prese di posizione contrarie furono durissime. Mi limito qui a ricordare l’ostilità di molti teologi, di alcune università cattoliche, delle conferenze episcopali austriaca e canadese, nonché di Robert McNamara, presidente della Banca mondiale, il quale «dichiarò che il Fondo Monetario Internazionale, nella concessione dei suoi aiuti, avrebbe privilegiato quei Paesi che s’impegnavano a sostenere programmi di controllo delle nascite.»[8]

Il dibattito fu ampio e aggressivo, perché il Sessantotto aveva messo in causa una serie di questioni riguardanti ciò che, in tempi successivi, sarebbero stati definiti diritti individuali, tra cui il divorzio, la contraccezione e l’aborto.

Nella coscienza soggettiva,cioè nell’io, veniva riconosciuta una dignità superiore a qualunque indirizzo morale collettivo, nello specifico del magistero cattolico. Ma sarebbe riduttivo credere che il processo di scissione fra il sesso, visto sempre più come soddisfacimento delle proprie pulsioni, e la procreazione, nascesse lì.

Quella modernità di cui parla il cardinal Ratzinger fu un evento assai più vasto e complesso, che da decenni agiva nel profondo della società occidentale: col Sessantotto,semplicemente trovò una modalità espressiva, verso cui vasti strati della popolazione si rivolsero con favore.

Se però si volesse datare l’origine del fenomeno – intendo della modernità che, dalla fede in Dio, si decentra nell’individualismo – sarei tentato di indicarla nella decisione assunta nel 1926 da Alfred Sloan, presidente della General motors, il quale stabilì che il rinnovamento annuale delle auto di loro produzione non dovesse più limitarsi ai miglioramenti tecnici, come freni più sicuri o motori più affidabili, bensì introdurre novità «cosmetiche o stilistiche intese a dare una gratificazione emotiva.»[9]

Era la prima volta che ciò avveniva in una produzione di massa, ma tracciava una «linea che troverà un momento trionfale nell’economia dell’impulso di oggi, nella soddisfazione immediata dei desideri.»[10]

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NOTE

[1] M. Balmary, Le prove e le trappole della trasmissione, pp. 93 e 95, in V. Paglia (a cura di), Ho ricevuto, ho trasmesso, atti dell’incontro omonimo (Pontificio consiglio per la famiglia, Roma, 15-16 novembre 2013), Vita e Pensiero, Milano, 2014, pp. 93-108.

[2] E. Apeciti, Parte quarta 1963-1978, p. 472, in X. Toscani (a cura di), Paolo VI, EdizioniStudium Roma, Brescia, 2014, pp. 357-543.

[3] Ibidem, p. 539.

[4] E. Versace,Quando Paolo VI annotava le «intuizioni» di Wojtyla,«Avvenire», 22 ottobre 2014, p. 3.

[5] Evangelium vitae, 100.

[6] R. Colombo, Montini – Ratzinger profezia sull’uomo, «Avvenire», 23 ottobre 2014, p. 3.

[7] L. Moia, Paolo VI e la famiglia
«quella legge bellissima»
, «Avvenire», 15 ottobre 2014, p. 6.

[8] E. Apeciti, Parte quarta 1963-1978, cit., p. 449.

[9] D. Taino, Non c’è rimedio al capitalismo del Suv, «Corriere della Sera – La Lettura», 14 settembre 2014, p. 4.

[10] Ibidem.

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Fu il Papa che tenne unita la Chiesa https://it.zenit.org/2014/10/08/fu-il-papa-che-tenne-unita-la-chiesa/ https://it.zenit.org/2014/10/08/fu-il-papa-che-tenne-unita-la-chiesa/#respond Wed, 08 Oct 2014 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/fu-il-papa-che-tenne-unita-la-chiesa/ Paolo VI raccontato da Andrea Tornielli in un incontro organizzato a Milano dal Centro culturale cattolico San Benedetto e dal Centro culturale don Carlo Calori

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Fu il Papa del dialogo, capace di tenere unita la Chiesa con la sofferenza e la testimonianza. Ma Paolo VI non sarebbe forse stato tale, se non fosse passato attraverso l’esperienza di arcivescovo. Lo ha spiegato il vaticanista Andrea Tornielli il 3 ottobre, in una serata organizzata dal Centro culturale cattolico san Benedetto e dal Centro culturale don Carlo Calori a Milano, in vista della beatificazione del 19 ottobre.

Ripercorrendo la parabola di monsignor Giovanni Battista Montini come sostituto alla Segreteria di Stato, Tornielli ha raccontato della fiducia che godeva da Pio XII e delle invidie in seno alla Curia romana: tanto che un gruppo di cardinali fece pressione affinché fosse allontanato, magari in una diocesi di media importanza. Nel 1954, Pio XII cedette, ma lo inviò a Milano. «Ora – ha proseguito Tornielli – Milano era la diocesi più importante d’Europa, una delle maggiori al mondo: ciò malgrado, monsignor Montini visse tutto ciò come un esilio. Gli costò molto, ma lo cambiò anche molto».

La Roma di Pio XII infatti «era ancora provinciale, non nell’accezione negativa del termine, ma nel senso che non viveva i fenomeni delle metropoli internazionali. Milano invece, rassomigliava alle città del nord Europa. Vista da Roma, la Chiesa dava l’idea di essere fortissima, perché radicata nel popolo e capace di muovere le masse, con le grandi adunate in piazza San Pietro. Ma a Milano, i primi segni della secolarizzazione erano evidenti, in un lento distacco dalla cultura cristiana».

Di tutto ciò, Montini si rese conto venendo a contatto con mondi che non erano contro il cattolicesimo, ma impermeabili a esso: quello degli operai che si ammassavano nella periferia, quello dell’alta finanza e dell’economia, che nel progetto di costruzione di nuove chiese per una città in espansione fu piuttosto sordo, e quello nascente dell’alta moda. «È in tale realtà che percepisce la necessità di trovare modi nuovi di annunciare Vangelo. La sua prima idea, è quella d’una grande missione, che per sua stessa ammissione non darà i frutti sperati».

Qui, si compie un’altra svolta: il ritorno all’evangelizzazione deve seguire un metodo diverso, perché la Chiesa non è più quella di matrice pacelliana. «E fu proprio questa domanda, quasi un’ansia nel definire i modi dell’annuncio all’uomo odierno, che diverrà fondamentale per il suo pontificato».

Questo programma sarà infatti delineato fin dalla sua prima enciclica, l’Ecclesiam suam (6 agosto 1964): «È la Chiesa che si fa dialogo, non come fine, ma come mezzo attraverso cui ci si rende vicini alle persone per annunciare il Vangelo. In questo modo, Paolo VI identifica il pontificato come totalmente missionario, inteso a far sì che la Chiesa possa entrare in contatto con mondi che si sono allontanati».

Un anelito missionario che lo porterà a essere il primo papa che viaggia all’estero, il primo successore di Pietro che torna in Terrasanta. Intanto, porta a compimento il Concilio «immaginando che sia l’inizio d’una grande apertura e rinascita alla fede: invece, lì inizia la burrasca anche dentro alla Chiesa, con la contestazione che dilaga su tutto e che determinerà una grande sofferenza nella seconda parte del suo pontificato».

Ciò malgrado, la coscienza del suo compito non verrà mai meno. Il 7 dicembre 1968, in piena contestazione, agli alunni del Seminario lombardo diceva: «Tanti si aspettano dal Papa gesti clamorosi, interventi energici e decisivi. Il Papa non ritiene di dover seguire altra linea che non sia quella della confidenza con Gesù Cristo. Sarà lui a sedare la tempesta».

Il totale affidamento alla Provvidenza deriva dalla certezza che a guidare la Chiesa non è il papa, ma Gesù. Il 1968 però, è anche anno in cui si trova più isolato, per via dell’Humanae vitae: «Aveva deciso di togliere dal dibattito conciliare, e di avocare a sé, il tema della pillola. L’enciclica però, non è semplicemente un no ai contraccettivi, ma un documento che dice anche tanti sì, che pensa alla dignità della donna. Venne tuttavia attaccato anche dai cardinali elettori, e con una forza dirompente, rimanendone tanto impressionato da decidere di non scrivere più encicliche».

Eppure Paolo VI, figura forse poco conosciuta perché schiacciata da quelle del suo predecessore e del successore, fu decisivo per gli sviluppi della Chiesa nel XXI secolo: «Mi piace ricordare una frase di Andrea Riccardi – ha detto Tornielli – secondo il quale Giovanni Paolo II ha suonato lo spartito scritto da Paolo VI».

E in modo analogo, come ha sottolineato Paolo Tanduo, presidente del Circolo culturale san Benedetto, tirando le conclusioni «fin dalla sua esperienza come arcivescovo di Milano, intuì la necessità di occuparsi delle periferie, indicando quella strada che oggi sta nel cuore di papa Francesco».

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