Sabrina Pietrangeli, Author at ZENIT - Italiano https://it.zenit.org/author/sabrinapietrangeli/ Il mondo visto da Roma Fri, 07 Jun 2013 00:00:00 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.6.2 https://it.zenit.org/wp-content/uploads/sites/2/2020/07/02e50587-cropped-9c512312-favicon_1.png Sabrina Pietrangeli, Author at ZENIT - Italiano https://it.zenit.org/author/sabrinapietrangeli/ 32 32 Un nuovo incontro firmato "Quercia Millenaria" per le famiglie italiane https://it.zenit.org/2013/06/07/un-nuovo-incontro-firmato-quercia-millenaria-per-le-famiglie-italiane/ https://it.zenit.org/2013/06/07/un-nuovo-incontro-firmato-quercia-millenaria-per-le-famiglie-italiane/#respond Fri, 07 Jun 2013 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/un-nuovo-incontro-firmato-quercia-millenaria-per-le-famiglie-italiane/ Dal 28 al 30 giugno si terrà a Fiano Romano la 13° Convention nazionale dell'associazione

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Si terrà a Fiano Romano, al Best Western Park Hotel la 13° Convention nazionale delle Famiglie de La Quercia Millenaria, che vedrà Consiglio Direttivo, Comitato Scientifico, Rete di Famiglie, e Famiglie Ospiti riuniti in una tre giorni che coniuga a meraviglia la scienza, la testimonianza, la spiritualità e la formazione.

L’incontro avrà inizio venerdì 28 giugno alle ore 10 con l’apertura della Convention, con il rituale video di inizio che ogni anno inaugura l’incontro, e poi a rotazione decine di famiglie si racconteranno in brevi interventi per creare comunione tra loro. Molte di esse, infatti sono coppie che solo nell’ultimo anno hanno affrontato l’esperienza di una gravidanza con un bambino destinato ad una salute debole o a un exitus immediato dopo la nascita. Sono quindi coppie che hanno vissuto il dramma di un grave lutto oppure alle prese con una vita molto impegnativa per via del loro bambino con patologia. Ma una cosa accomuna queste famiglie, ed è una cosa per molti inspiegabile… un grande sorriso nel raccontare la propria storia. Anche quando il finale non è quello propriamente di un bambino paffuto tra le braccia, ma la consolazione di portare un fiore al cimitero, su una piccola tomba.

Ogni anno la meraviglia si rinnova; ogni anno ognuno esce edificato nel profondo. Di cosa si deve aver paura, infatti, quando si vedono persone che passano attraverso la morte, e ti mostrano i segni dei chiodi sulle mani e sui piedi, ma hanno evidentemente uno sguardo ed un atteggiamento da risorti?

Queste Famiglie insegnano con il proprio esempio il grande valore della vita, e soprattutto l’immenso coraggio di saperla giocare sempre, come una partita, rischiando anche di non vincere, consapevoli che l’importante, in questi casi più che mai, è partecipare.

La giornata del sabato 29 sarà quella che darà grande spessore a tutto l’incontro. Il mattino infatti ci sarà un prezioso percorso di guarigione dalle ferite del lutto, sia esso di un aborto volontario oppure della morte naturale di un piccolo malformato; il percorso pastorale sarà animato dal prof. Silvestro Paluzzi, psicoterapeuta e Diacono Permanente, fondatore della Scuola di Outdoor Setting, che già in passato si era cimentato in questo tipo di esperienza durante i ritiri de La Quercia Millenaria, e con risultati davvero sorprendenti. Dopo 6 mesi dal ritiro, 8 mamme su 10 che avevano perso il loro bambino nei dodici mesi precedenti, hanno nuovamente concepito. Simbolo di una guarigione che parte dallo spirito, per manifestarsi poi nel corpo e nelle scelte di vita. Nel pomeriggio, a coronamento di questa magnifica e liberatoria esperienza, ci saranno nell’ordine l’adorazione al Corpo Eucaristico, il Sacramento della Riconciliazione e la Santa Eucarestia, presieduta come di consueto da Monsignor Luis Manuel Cuna Ramos e da Padre Angelo Auletta, cappellano del Policlinico Agostino Gemelli di Roma.

La mattinata di domenica 30 invece sarà animata dal Consiglio Direttivo. Sabrina Pietrangeli, presidente, fornirà linee guida ai Coordinatori Regionali per lo svolgimento pratico delle attività associative. Il prof. Giuseppe Noia, vicepresidente darà dei cenni formativi sulla gestione delle patologie prenatali nei primi contatti ed il protocollo operativo per l’ingresso in day hospital per le consulenze e le diagnosi. E Carlo Paluzzi, consigliere, curerà in toto l’aspetto pastorale-formativo rivolto al personale medico.

Insomma, un fine settimana davvero intenso che non mancherà di vedere i suoi frutti. L’incontro è aperto al pubblico, anche se avendo pubblicato il bando di partecipazione dallo scorso febbraio, ed avendo raggiunto la quota di 90 persone, le iscrizioni si sono chiuse lo scorso 31 maggio. Ma ci sarà la possibilità di partecipare il prossimo anno per chi desidera fare questo tipo di esperienza che è davvero indimenticabile.

Sabrina Pietrangeli è presidente de La Quercia Millenaria Onlus – www.laquerciamillenaria.org

Per sostenere l’associazione con una donazione, effettua un versamento a mezzo Conto Corrente postale n. 75690149, oppure un Bonifico Bancario con Iban: IT 26 J 03069 05118 615268186304

La Quercia Millenaria è iscritta alla DRE Lazio con prot. 77064 del 11-10-2006

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Sindrome di Down: handicap o risorsa? https://it.zenit.org/2013/05/03/sindrome-di-down-handicap-o-risorsa/ https://it.zenit.org/2013/05/03/sindrome-di-down-handicap-o-risorsa/#respond Fri, 03 May 2013 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/sindrome-di-down-handicap-o-risorsa/ I bambini e i ragazzi affetti da questa sindrome, se ricevono l'amore che meritano, possono arrivare a condurre una vita quasi normale. Portano allegria in famiglia e ricambiano l'affetto in modo impagabile

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Secondo alcuni autorevoli testi di tecnica Aeronautica, il calabrone non può volare a causa della forma e del peso del proprio corpo in rapporto alla superficie alare. Ma il calabrone non lo sa e continua a volare”.

Questo straordinario aforisma, uno tra i più belli che ci giungono da Igor Sikorsky (ingegnere aeronautico americano di origini ucraine, fondatore della Sikorsky Aircraft Corporation, produttrice di elicotteri) è il motore, la spinta che ha indotto alcuni genitori a credere in modo speciale ai loro figli speciali. Questi genitori hanno potuto constatare che, come per il calabrone “inconsapevole”, il solo fatto di credere in loro, di aver fiducia nel loro potenziale, ha fatto sì che i propri bambini affetti da sindrome di Down vivessero in modo che noi – sapienti tuttologi sani – potremmo definire praticamente normale. Consapevoli che altre dolcissime creature del tutto simili alle loro vengono ogni giorno eliminate a causa un genocidio selettivo chiamato poeticamente aborto terapeutico, a breve tempo dalla nascita di questi figli che tanto li inorgogliscono e donano loro gioia ogni giorno, alcune mamme hanno voluto offrire la loro esperienza attraverso un servizio rivolto alle coppie che si trovano ad affrontare una diagnosi prenatale relativa a questa sindrome. È così che nasce il sito Credi in me. Attraverso questo portale, che cita come sottotitolo “Storie serie e semiserie sulla sindrome di Down a Cagliari”, le mamme si mettono a disposizione delle coppie per sostenerle nella scelta di portare avanti la gravidanza, fornendo consigli sull’allattamento, la crescita e l’accudimento generale di questi piccoli, che per alcune operazioni quotidiane – per altri bimbi di routine – hanno invece necessità di una particolare accuratezza.

Il bambino affetto dalla Trisomia 21 o sindrome di Down, come viene comunemente chiamata, oggi diagnosticabile in modo sicuro attraverso tecniche invasive come amniocentesi e villocentesi, è un tipo di bambino che ancora atterrisce i genitori: coppie che vedono infrangersi il sogno di un paffuto e sanissimo marmocchio e che – spesso spinte da medici poco umani – nel loro immaginario spaventato e confuso trasformano in una specie di mostro deformato, che ha ben poco di realistico. Qualunque sia il momento in cui i genitori vengono a sapere la notizia che il loro figlio è un “diverso”, è comunque un trauma che, a seconda di come sarà affrontato, porterà al rifiuto oppure all’amorevole accettazione… amore che il loro bambino speciale saprà ricambiare sempre.

“Fu come un terremoto improvviso, ci mancò la terra sotto i piedi – confessa Aurelia, sul portale www.conosciamolimeglio.it – non sapevamo cosa ci aspettava, quale sarebbe stato il futuro di nostra figlia. Col tempo abbiamo capito che l’amore che potevamo darle, sarebbe stata la terapia più efficace. Eravamo noi e le nostre famiglie i protagonisti di questa storia… Tutti insieme avremmo collaborato alla crescita e allo sviluppo della nostra bambina”. Così è stato e la piccola Alessia è divenuta il collante del matrimonio di mamma e papà e la gioia dei suoi fratelli più grandi, al punto che oggi la mamma afferma: “davvero quel cromosoma in più è una risorsa che non finiremo mai di comprendere… i genetisti non ce ne vogliano!”.
Per Cristina, i primi mesi dopo la nascita della sua piccola Lucrezia sono stati pesantissimi. Lei non sapeva nulla della malformazione della sua piccola prima che nascesse, e lo sgomento fu tale che i pensieri più terribili le passarono per la testa, al punto da desiderare che la bambina morisse. Piano piano, ha imparato a conoscere e ad amare la sua piccola che nel tempo è cresciuta ed ha collezionato sorrisi e progressi. Oggi Cristina è una mamma felice, che ammette senza difficoltà le debolezze che figli così inaspettati comportano ai genitori.

Qualche tempo fa, alcuni programmi televisivi – vuoi per desiderio di fare audience, vuoi per un reale desiderio di fare cultura della vita – hanno dato più volte spazio a questi ragazzi che tutto sembrano tranne che degli infelici, suscitando nel pubblico un sorpreso interesse ed un moto di grande tenerezza. In effetti, il bambino down molto raramente è aggressivo o incapace. Al contrario, ha una sua intelligenza emotiva, è profondamente sensibile, un vero catalizzatore dell’affetto familiare, tanto da essere l’autentico perno affettivo all’interno del suo nucleo di appartenenza. Se accolto, amato, responsabilizzato in rapporto alle sue reali capacità, sarà un adulto in grado di lavorare, di organizzare la sua giornata, di innamorarsi come un qualunque essere umano normodotato.

I genitori, nel vedere i loro figli trasformarsi da bambini a ragazzi, sono spesso accomunati dalla paura di cosa ne sarà di loro, quando un giorno non potranno più ricevere le cure e la protezione di mamma e papà, e hanno compreso che responsabilizzare e rendere autonomi i loro ragazzi non solo è possibile, ma necessario per garantire loro la piena autonomia e la serenità.
È stata quindi una conseguenza naturale che alcuni gruppi di genitori si siano riuniti nel corso del tempo in diverse associazioni sul territorio nazionale e che alcune di queste fungano proprio da percorso formativo per i ragazzi con Sindrome di Down. Citiamo ad esempio la Cooperativa “I Girasoli”, con sede a Roma, che grazie alla collaborazione di altri due enti simili (le cooperative “Cecilia” e “Al Parco”) gestisce un ristorante pizzeria all’interno del quale lavorano stabilmente dei ragazzi Down (info www.lalocandadeigirasoli.it). I risultati sono soddisfacenti e anche sorprendenti! Questi giovani sono così comunicativi e socievoli, divertenti e profondi, che non possono che fare del bene alla nostra società edonista, dove all’idolo del perfezionismo si sacrificano innumerevoli vite umane ogni giorno.

Per approfondimenti: Carlo Bellieni (a cura di), La risorsa down. Uno sguardo positivo sulla disabilità, Società Editrice Fiorentina, 2005

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Il senso della vita svelato ai piccoli https://it.zenit.org/2013/04/12/il-senso-della-vita-svelato-ai-piccoli/ https://it.zenit.org/2013/04/12/il-senso-della-vita-svelato-ai-piccoli/#respond Fri, 12 Apr 2013 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/il-senso-della-vita-svelato-ai-piccoli/ Esiste per tutti un proprio posto nel mondo, all'interno del quale poter esprimere il proprio potenziale

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“Mamma, però io sono diverso dagli altri bambini. I miei compagni di scuola hanno due reni e possono mangiare quello che vogliono”. La frase, apparentemente buttata lì per caso da mio figlio, nove anni, sette interventi al suo attivo, sette mesi e oltre di ospedalizzazioni collezionate solo nei suoi primi mesi di vita, nascondeva ben più grandi domande.

“Chi sono io? Qual è il senso della mia vita? Qual è il senso della mia sofferenza?”, e soprattutto: “Cosa devo fare, dove sto andando, dove finirò?”. Il mio cuore di madre per un momento ha sanguinato, ma era preparato da anni di osservazione, non senza stupore, non senza gratitudine, alla meraviglia della sua piccola esistenza, all’enorme frutto portato a questo mondo semplicemente dal suo esistere.

Quante vite ha già salvato, questo piccolo grande uomo di Dio… Come posso io non vederlo con gli occhi distaccati di chi, non solo mamma, ma figlia di Dio, intuisce nella piccola ma gloriosa esistenza un senso che va ben al di là di una malattia? Se Dio lo ritenesse utile al suo scopo, non lo guarirebbe forse all’istante? Chi sono io, per legarlo al mio cuore, per possederlo, schiava del terrore di vederlo morire, come i tanti piccoli innocenti che vedo volar via a causa delle malattie, durante il mio servizio per La Quercia Millenaria?

Queste riflessioni, maturate da lungo tempo, mi hanno donato prontezza nel rispondere. “È  vero, tu sei diverso. Ma essere diversi non è un errore, quando si è speciali come te. Forse tu non lo ricordi, ma quando Dio chiese a voi piccole anime nel Paradiso, chi desiderasse avere una vita speciale da donare agli altri, tu ti offristi per primo. Come Samuele dicesti “Eccomi”… e nel decidere, scegliesti proprio tu quale famiglia avresti voluto accanto a te, per svolgere il tuo ministero. Ed io sono proprio orgogliosa di essere la tua mamma”.

“Sai Giona, il senso di un’elezione non è semplice da capire, sarebbe come voler comprendere perché Francesco Forgione è divenuto Padre Pio, oppure Jorge Mario Bergoglio è divenuto poi Papa Francesco, che a te piace tanto… C’è un’elezione, un proprio posto nel mondo, all’interno del quale poter esprimere il proprio potenziale, il senso della propria esistenza, e tracciare un solco in questo pianeta, un frutto che rimane per sempre, e che fa avanzare il Regno di Dio, e avvicina il ritorno di Gesù grazie al proprio agire. La tua sofferenza non è inutile, se solo grazie a te è nata La Quercia Millenaria, con il quale lavoro 200 bambini sono stati salvati dall’aborto ed ora sono felici in seno alle loro famiglie. Tu sei stato fondamentale: senza di te, oggi loro non sarebbero vivi”.

Incredibilmente, questo discorso così complicato per un bambino di nove anni, normalmente preso come tutti i suoi coetanei dai vari Pokemon, Dragonball e altre quisquilie, è stato recepito all’istante. L’ho capito quando i suoi occhi si sono illuminati di gioia ed orgoglio personale, e quando mi ha detto: “Senti un po’, mamma, mi racconti di nuovo cosa succederà quando tornerà Gesù sulla terra?”. Ed io: “Beh, quando Gesù ritornerà, tutti i morti risusciteranno, anche i nostri piccoli della Quercia Celeste!”.

E lui: “Quindi non andremo a vivere per sempre in Cielo?”; “no, amore, il cielo è riservato agli Angeli e ai Santi eletti per regnare lì. Il luogo di noi umani, il nostro regno, è la Terra. È stata pensata per noi da sempre, ci era stata tolta da Satana a causa del peccato di Adamo, ma Gesù l’ha riguadagnata per noi e così non appena il tempo sarà compiuto, saremo nuovamente noi a regnare su di essa. Ma sarà una terra nuova, non ci saranno più le sporcizie di adesso”.

E di nuovo lui: “Così quando Gesù tornerà, cos’altro succederà?”, io: “Non esisterà più la morte, né la malattia. Tutti guariranno all’istante, e nessuno si ammalerà più”. Con grande concretezza, Giona allora ha concluso: “Allora non ci sarà più bisogno de La Quercia Millenaria”. Santo cielo, è vero! Il Signore dovrà trovarci qualcos’altro da fare!!

Il giorno dopo, non appena è arrivato a scuola, è corso alla cattedra e ha detto: “Maestra? Lo sa che io ho salvato la vita a 200 bambini??”… E lì la storia si è conclusa, e lui coraggiosamente vive ogni giorno nella gioia la sua vita, piena di senso, ora svelato, e pregando come nessun bambino di quella età si sente pregare.

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Sabrina Pietrangeli è presidente de La Quercia Millenaria Onlus – www.laquerciamillenaria.org

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Mai più morte, fino alla morte https://it.zenit.org/2013/04/05/mai-piu-morte-fino-alla-morte/ https://it.zenit.org/2013/04/05/mai-piu-morte-fino-alla-morte/#respond Fri, 05 Apr 2013 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/mai-piu-morte-fino-alla-morte/ La conversione pro-vita di un medico abortista italiano

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In principio fu Bernard Nathanson. Parliamo del famoso ginecologo statunitense che al suo attivo collezionò circa 75.000 aborti, fino a quando non si rese conto della umanità del feto e non fece un vero cammino di conversione che lo portò a scrivere il libro “The hand of God” (La mano di Dio). Da quel momento in poi, il suo lavoro è divenuto totalmente a favore della vita nascente. Ma la mano di Dio continua ad operare in ogni continente, e anche in Italia, abbiamo il nostro Nathanson: è il dottor Antonio Oriente. Anche lui viveva la sua quotidianità praticando aborti di routine. Abbiamo ascoltato la sua testimonianza nel corso di un convegno AIGOC, in quanto lui oggi è il vicepresidente e uno dei fondatori della Associazione Italiana Ginecologi e Ostetrici Cattolici… praticamente una totale inversione di tendenza, rispetto al modo precedente di vivere la sua professione.

La sua testimonianza inizia così: “Mi chiamo Antonio Oriente, sono un ginecologo e, fino a qualche anno fa, io, con queste mani, uccidevo i figli degli altri”. Gelo. Silenzio. La frase pronunciata è secca, senza esitazione, lucida. La verità senza falsi pietismi, con la tipica netta crudezza e semplicità di chi ha capito e già pagato il conto. Di chi ha avuto il tempo di chiedere perdono.

Due cose colpiscono di questa frase e sono due enormi verità: la parola uccidevo, che svela l’inganno del termine interruzione volontaria, e la parola figli. Non embrioni, non grumi di cellule, ma figli. Semplicemente. E questa sua pratica quotidiana dell’aborto, il dottor Oriente la riteneva una forma di assistenza alle persone che avevano un “problema”.

“Venivano nel mio studio – racconta – e mi dicevano: Dottore, ho avuto una scappatella con una ragazzetta… io non voglio lasciare la mia famiglia, amo mia moglie. Ma ora questa ragazza è incinta. Mi aiuti… Ed io lo aiutavo. Oppure arrivava la ragazzina: Dottore, è stato il mio primo rapporto… non è il ragazzo da sposare, è stato un rapporto occasionale. Mio padre mi ammazza: mi aiuti!”. Ed io la aiutavo. Non pensavo di sbagliare”.

Ma la vita continuava a presentargli il conto: lui, ginecologo, i bambini li faceva anche nascere. Sua moglie, pediatra, i bambini degli altri li curava. Ma non riuscivano ad avere figli propri. Una sterilità immotivata ed insidiosa era la risposta alla sua vita quotidiana. “Mia moglie è sempre stata una donna di Dio. È grazie a lei e alla sua preghiera se qualcosa è cambiato. Per lei non avere figli era una sofferenza immensa, enorme. Ogni sera che tornavo la trovavo triste e depressa. Non ne potevo più. Dopo anni di questo calvario, una sera come tante, non avevo proprio il coraggio di tornare a casa. Disperato, piegai il capo sulla mia scrivania e cominciai a piangere come un bambino”.

E lì, la mano di Dio si fa presente in una coppia che il dottor Oriente segue da tempo. Vedono le luci accese nello studio, temono un malore e salgono. Trovano il dottore in quello stato che lui definisce pietoso e lui per la prima volta apre il suo cuore a due persone che erano solo dei pazienti, praticamente quasi degli sconosciuti. Gli dicono: “Dottore, noi non abbiamo una soluzione al suo problema. Abbiamo però da presentarle una persona che può dargli un senso: Gesù Cristo”. E lo invitano ad un incontro di preghiera. Che lui dribbla abilmente.

Passano dei giorni ed una sera, sempre incerto se tornare a casa o meno, decide di avviarsi a piedi e, nel passare sotto un edificio, rimane attratto da una musica. Entra, si trova in una sala dove alcune persone (guarda caso il gruppo di preghiera della coppia che lo aveva invitato) stanno cantando. Nel giro di poco tempo, si ritrova in ginocchio a piangere e riceve rivelazione sulla propria vita: come posso io chiedere un figlio al Signore, quando uccido quelli degli altri?
Preso da un fervore improvviso, prende un pezzo di carta e scrive il suo testamento spirituale: “Mai più morte, fino alla morte”. Poi chiama il suo amico e glielo consegna, ammonendolo di vegliare sulla sua costanza e fede. Passano le settimane e il dottor Oriente comincia a vivere in modo diverso. Comincia anche a collezionare rogne, soprattutto tra i colleghi nel suo ambiente. In certi casi il non fare diventa un problema: professionale, economico, di immagine.

Una sera torna a casa e trova la moglie che vomita in continuazione. Pensa a qualche indigestione ma nei giorni seguenti il malessere continua. Invita allora la moglie a fare un test di gravidanza ma lei si rifiuta con veemenza. Troppi erano i mesi in cui lei, silenziosamente, li faceva quei test e quante coltellate nel vedere che erano sempre negativi… Ma dopo un mese di questi malesseri, lui la costringe a fare un esame del sangue, che rivela la presenza del BetaHCG: sono in attesa di un bambino!

Sono passati degli anni. I due bambini che la famiglia Oriente ha ricevuto in dono, oggi sono ragazzi. La vita di questo medico è totalmente cambiata. È meno ricco, meno famoso, una mosca bianca in un ambiente dove l’aborto è ancora considerato una forma di aiuto a chi, a causa di una vita sregolata o di un inganno, vi ricorre. Ma lui si sente ricco, profondamente ricco. Della gioia familiare, dei suoi valori, dell’amore di Dio, quella mano che lo carezza ogni giorno facendolo sentire degno di essere un Suo figlio.

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"Caro dottore, ti dico grazie!" https://it.zenit.org/2013/03/30/caro-dottore-ti-dico-grazie/ https://it.zenit.org/2013/03/30/caro-dottore-ti-dico-grazie/#respond Sat, 30 Mar 2013 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/caro-dottore-ti-dico-grazie/ Non c'è solo la "malasanità": tanti medici sono veri e propri eroi sconosciuti che ogni giorno danno l'anima per salvare la vita dei loro piccoli pazienti

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Se ne sentono di tutti i colori: medici meravigliosi che vengono sbattuti fuori dai reparti, relegati ad attività che ridicolizzano la grande competenza acquisita negli anni, semplicemente perché non abbastanza bravi a corteggiare il nuovo primario, e sostituiti da personale poco competente a scapito dei pazienti…

Medici che fanno diagnosi prenatali mettendo tutto il loro credo abortista scritto nei referti, consigliando l’eliminazione del bambino persino quando gli manca un mignolo. Per non parlare di come trattano le donne che, nonostante le diagnosi terminali, rinunciano all’aborto: parole taglienti che tolgono dignità non solo al bambino in grembo, ma anche al genitore che chiede solo di fare il suo mestiere e cioè amare il proprio figlio. Mamme e papà che usano la denuncia come arma letale contro il medico, colpevole di non aver avvisato i neo-pretenziosi-genitori che al piccolo mancava semplicemente un’unghia. Altre coppie che pur sentendosi dire che il nascituro sarà un mostro, con il coraggio di andare avanti poi scoprono che mostro non è, e stavolta non denunciano, frettolosi di dimenticare in fretta l’increscioso incidente. Medici che si picchiano nelle sale parto, dinanzi ad una donna in travaglio avanzato, accusandosi di chissà cosa, sfogando chissà quali ingiustizie subite e quale stress lavorativo…

Insomma, sembra che l’assistenza medica relativa ad una gravidanza sia diventata qualcosa di talmente complicato da far passare la voglia di mettere in cantiere un figlio. E soprattutto, mancano le tipiche notizie da rovescio della medaglia, tanto da far pensare che il mondo vada tutto così.

Grazie al cielo, c’è un “ma”… fatto anche di notizie buone, e di una buona sanità al servizio chi ha avuto la fortuna di incappare in operatori sanitari onesti e amanti del proprio lavoro. Ce ne sono ancora, e tanti! Abbiamo voluto allora dare spazio proprio a questi. Chiedendo ai fortunati neo-genitori di scrivere una lettera indirizzata ai dottori che si sono presi cura di loro e dei loro bambini, così come è giusto, e rigorosamente in forma anonima. E tanto per condividerle con voi, lettori ottimisti, le riportiamo qui di seguito.

– “Caro Dottore, c’è stata una volta in particolare in cui ti ho affidato la mia creatura, ben sapendo che o lo avresti guarito o sarebbe tornato in cielo. Non sapevo come sarebbe andata a finire, ma sapevo che era l’ultima spiaggia… “Salvalo, dottore, ancora una volta…”.
E Dio è entrato nelle tue mani, nel tuo cuore, nella tua mente, ha santificato la tua laurea, i tuoi 25 anni di carriera (o forse più?), le tue infinite ore di lavoro, e tutto di te che poteva partecipare nuovamente del miracolo di un soffio di vita che ritorna, di un sangue che si purifica, di un farmaco che per ridarti la vita ti deve anche un po’ distruggere…Solo qualche giorno dopo, il verdetto: sangue sterile! Quel veleno che si stava propagando, una setticemia da candida, era stato sconfitto. Il tuo viso ridente, gli occhi pieni di gioia e orgoglio professionale, e da tanto affetto mentre sventolavi quel foglio e dicevi “Tenga, lo metta in cornice”, non li ho più dimenticati.
Avrei voluto abbracciarti, grata, felice, rinata, ma condividevo la stanza con un’altra mamma, e per te sarebbe stato poco professionale e sicuramente imbarazzante.Quell’abbraccio mi manca ancora, mi mancherà sempre. Forse perché tutt’oggi non ho sufficienti parole per dirti: grazie. È stata l’ultima battaglia di mio figlio, quella più lunga, quella più dura, prima di conquistare un progressivo miglioramento, che tuttora prosegue nella stabilità del suo benessere. Grazie anche a Dio, perché si serve di te, del tuo ministero, della tua scienza, intelligenza, e perché ti ha dato un grande cuore. Prego per la tua famiglia, per i tuoi figli, per gli affetti tuoi più cari, perché Egli li custodisca, e perché nulla possa turbare il tuo genio e le tue capacità. Che nessun dolore possa mai toccarti”. Mamma S.

– “Rivolgo il mio pensiero a Voi, dottori, che avete considerato mio nipote un bambino vero, indipendentemente dal suo male e dal suo soffrire: ho visto le lacrime nei vostri occhi, ho udito parole d’amore e fede dalla vostra bocca; a Te mi rivolgo, dolce infermiera che sei stata accanto a me quando ho salutato il mio angelo, non dimenticherò mai più le tue parole: “Signora, suo nipote è già accanto a Dio; stia accanto a sua sorella perché il bambino è già tra le braccia della nostra Mamma Celeste”… ringrazio tutti voi. Che Dio vi benedica”. Zia C.

– “Cara dottoressa, quando arrivai da te ero distrutta, perché una tua collega mi aveva consigliato un aborto. Tu, senza negare il problema, captasti il mio desiderio di tentare, di dare una possibilità a mio figlio… Oggi che stringo il mio bambino sano tra le braccia, vorrei tanto che “l’altra” dottoressa potesse vederlo: penso che tutte le sue certezze sui feti da condannare, si sbriciolerebbero in un attimo!”. Mamma E.

– “Mi hai suscitato pena quando hai tirato un respiro di sollievo perché ti abbiamo detto che non volevamo abortire, dopo che ci avevi parlato di questa eventualità. Mi hai suscitato tenerezza quando ci hai detto con gli occhi intrisi di lacrime che siamo stati coraggiosi. Mi hai fatto davvero tanta tenerezza, perché deve essere triste lavorare in un ambiente dove si deve nascondere le proprie convinzioni sul creato”. Mamma V.

– “Quel tuo camice verde da sala operatoria, madido di sudore… Quei tuoi piedi scalzi, privi dei soliti zoccoli verdi con i quali ti vedevo ogni giorno percorrere con passo tranquillo la corsia del reparto… Devo a te e alla tua équipe la vita di mio figlio; dopo tre anni e mezzo di sofferenza, quel giorno di febbraio, rappresenta ancora una seconda nascita”. Mamma S.

A questi professionisti della Vita, diciamo il nostro “grazie” e li incoraggiamo ad andare avanti, anche se è difficile, anche se è un mondo duro persino per loro. Anche se sembra loro di fare troppo poco e per troppe poche persone. C’è tutto un mondo, fatto di gente vera, che la pensa come voi, che ha bisogno di voi!

Sabrina Pietrangeli è presidente de La Quercia Millenaria Onlus – www.laquerciamillenaria.org

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La gioia, nonostante un figlio in cielo https://it.zenit.org/2013/03/15/la-gioia-nonostante-un-figlio-in-cielo/ https://it.zenit.org/2013/03/15/la-gioia-nonostante-un-figlio-in-cielo/#respond Fri, 15 Mar 2013 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/la-gioia-nonostante-un-figlio-in-cielo/ La vera perfezione è quella del nostro cuore, quando è capace di amare davvero, al di là delle apparenze

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Bianca e il suo sorriso. Trentaquattro anni di scanzonata “toscanità”, e se ti specchi nei suoi occhi verdi, guardandovi molto bene dentro, noti una luce particolare. La luce di chi ha vissuto tanto, nonostante la giovinezza anagrafica, di chi ha già fatto i conti non solo con la vita, ma persino con la morte. La morte di un figlio, il terrore di chiunque, l’unica cosa in grado di spezzarti a metà, di creare una linea di confine tra un “prima” e un “dopo”. Lei questo viaggio l’ha fatto, l’ha vissuto al cento per cento. E allora perché questo sorriso? Ce lo racconta con la pace di chi ha già tirato le somme, e non si è trovato in credito: “Gabriele era affetto da una grave forma di ascite fetale. Curato nel grembo materno con ben dodici paracentesi (drenaggi di liquido dall’addome, ndr), arrivato spontaneamente al parto per vivere 34 giorni, alternando momenti critici a momenti di relativo benessere che lasciavano sperare. Nonostante la sua situazione ad un certo punto sembrasse sotto controllo, il suo cuoricino ha ceduto e una crisi cardiaca l’ha riportato al Padre, il 27 luglio del 2007”.

Bianca è sposata da dieci anni con Alessandro, carabiniere paracadutista. Insieme hanno consacrato il loro amore davanti a Dio, insieme hanno accolto Vanessa che oggi ha otto anni, insieme hanno superato molti momenti di apprensione nelle varie partenze di Alessandro per le missioni di pace. Insieme hanno desiderato la seconda gravidanza, poco più di cinque anni fa. All’inizio tutto procedeva bene, ma all’ecografia strutturale la doccia fredda. Da quel momento in poi il viaggio si è fatto molto duro. Il rifiuto categorico dell’aborto, l’approccio con un ginecologo di grande umanità che ha donato a Bianca non solo la sua abilità tecnica, ma un amore paterno che l’ha aiutata a non perdere mai il senso di quella gravidanza e della vita di suo figlio.

Insieme hanno spiegato alla loro primogenita, di allora soli tre anni, che quel fratellino tanto desiderato aveva una missione speciale, più speciale di quelle del suo papà, e che doveva avere tanta pazienza e tanta forza. “Per lei non è stato semplice – spiega Bianca – soprattutto perché è riuscita a vedere suo fratello di sfuggita solo una volta, il giorno prima che il suo cuoricino cedesse. Noi non sapevamo che l’avremmo perso. A posteriori, ho visto questo come un grande dono di Dio per Vanessa. Avrebbe potuto non vederlo mai vivo, sarebbe stato terribile…”.

La piccola è cresciuta forse un po’ in fretta, ma come tutti i fratelli di bambini speciali, è una “sorellina speciale” anche lei. A scuola dà a tutti i suoi compagni “lezioni di paradiso”, ha una risposta profonda per ogni quesito particolare, una sensibilità insolita per una piccola di quella età.

Bianca e Alessandro, subito dopo il trauma della perdita hanno avuto il privilegio di poter credere in Dio nonostante l’inevitabile dolore… “Ero con un gruppo di persone in una chiesa – racconta Bianca – mi sentivo infinitamente triste e piena di dolore, in quel momento avrei voluto solo andare via. Ho incollato i miei occhi al crocifisso e ho scoperto di provare rabbia. Proprio in quel momento, un ragazzo di nome Maurizio si è avvicinato a me, e quasi leggendomi nel pensiero, mi ha detto: “Piangi, se ne senti il bisogno. Nessuno ti giudica, qui”. Ho iniziato a piangere, e pian piano la rabbia è andata via. Dio non era cattivo, io ero la sua bambina, lui avrebbe guarito ogni ferita e così è stato. Siamo rinati. Eravamo travolti dal mondo, dentro un vortice di materialismo, nella pretesa di avere un figlio perfetto, tentati all’idea di scartare un figlio con eventuale handicap. Invece Gabriele ci ha guarito da questo perfezionismo: lui era perfetto nell’amore, e abbiamo capito che la vera perfezione è quella del nostro cuore, quando è capace di amare davvero, al di là delle apparenze. Lo avremmo voluto comunque fosse. Oggi quando guardo un bambino con problemi, vedo solo la luce nei suoi occhi, ed è una luce particolare”.

Bianca è luminosa, quando parla di Gabriele. Ha la maturità di chi sa bene cosa significhi “morte”. Bianca non racconta favole, non parla di suo figlio come di un angioletto custode, ripete sovente: “mio figlio è tre metri sotto terra con il corpo, è in paradiso con lo spirito”. Non blatera di “presenze” e “voci dall’aldilà”, non trasforma lo spirituale in spiritismo, conosce la differenza tra il bene e il male; la sua fede naturale ha trovato sapienza attingendo dalle Scritture, ed è una fede concreta. Bianca guarda al futuro con gioia, con speranza. E Bianca sorride ancora, carezzando suo terzo figlio, Michele, arrivato dopo suo fratello…

Sabrina Pietrangeli è presidente de La Quercia Millenaria Onlus – www.laquerciamillenaria.org

Per sostenere l’associazione con una donazione, effettua un versamento a mezzo Conto Corrente postale n. 75690149, oppure un Bonifico Bancario con Iban: IT 26 J 03069 05118 615268186304

La Quercia Millenaria è iscritta alla DRE Lazio con prot. 77064 del 11-10-2006

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La Quercia Millenaria, un segno di speranza https://it.zenit.org/2013/03/08/la-quercia-millenaria-un-segno-di-speranza/ https://it.zenit.org/2013/03/08/la-quercia-millenaria-un-segno-di-speranza/#respond Fri, 08 Mar 2013 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/la-quercia-millenaria-un-segno-di-speranza/ Una risposta ai timori della gestante per la salute del proprio bambino

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Tra le motivazioni che possono indurre una mamma a non gioire per il dono della vita nel suo grembo c’è quello di temere per la salute del proprio piccolo. Successe a me e mio marito ben dieci anni fa… attendevamo il nostro terzo bambino. Al quinto mese, la diagnosi: “feto terminale”. Una parola per noi sconosciuta… e la prospettiva innaturale di un feto destinato al feretro. Un amore sovrumano ci permise di non cedere alle lusinghe di medici faciloni, per i quali questo bambino era divenuto inutile, un dispendio di tempo (loro), di energie (mie), di risorse economiche (Regionali).

Ci trovammo abbandonati, stretti l’uno all’altra in lacrime fuori da un ospedale, come due colonne alle quali improvvisamente mancavano le fondamenta. Ci volle un po’ per trovare un Medico il quale camice bianco rivelava un candore personale, riconducibile ad una vita di preghiera e di intimità con Dio, la stessa che avevamo noi e che stava dando il senso ad una storia di vita, che altri non gli riconoscevano. E così la speranza, l’accoglienza, le cure, e poi il miracolo inspiegabile di una “risoluzione spontanea”, come recita la cartella clinica, con la freddezza di chi non riconosce che Scienza e Fede possono coesistere.

Nostro figlio ci ha insegnato la pazienza. Sette mesi consecutivi in ospedale: interventi, infezioni, trasfusioni… e una lunga terribile notte in cui per ben otto ore i suoi reni sono rimasti bloccati e la sua vita si stava spegnendo. Deve essere stato in quel momento che formulai la mia promessa a Dio. Contrattai, così come ero abituata a farlo coi miei genitori: gli chiesi di restituirmi mio figlio. In cambio gli avrei dato tutta la mia vita. Lui è stato di parola, ed io da otto anni in qua, sto facendo del mio meglio! Da Giona è nata La Quercia Millenaria, una associazione senza scopo di lucro, che unendo scienza e testimonianza dona ai genitori affranti da diagnosi terribili, il sollievo di sentirsi compresi quando non scelgono di uccidere il proprio bambino con l’aborto. Non solo: la possibilità di veder curare il proprio piccolo anche in utero, per migliorare la sua qualità di vita e a volte risolvere totalmente la una patologia, regalando una vita normale.

La nostra collaborazione con il prof. Noia, e soprattutto con il Policlinico Gemelli di Roma, iniziata nel 2006 e formalizzata lo scorso Maggio, prevede la nostra presenza continuativa in favore delle mamme e dei papà presso il Day Hospital di Ostetricia con un mirato servizio di Caring Perinatale, a partire dalla telefonata o e-mail che arrivano alla nostra attenzione. La possibilità di un appuntamento immediato, di essere presenti alla consulenza, alle ecografie, alle indagini invasive, tenendo la mano alla mamma spaventata, o rassicurando il papà in ansia nella sala d’attesa; nella sala parto, e molto spesso nei momenti tristi del lutto familiare, quando il piccolo è realmente terminale e muore dopo pochi minuti o ore dalla nascita.

A che scopo un tale impiego di risorse? La risposta è nella evidenza dei fatti: l’85% delle famiglie che anziché ricorrere all’aborto scelgono di accompagnare il proprio bambino verso un exitus naturale, elaborano molto più in fretta la perdita e si riaprono alla genitorialità in tempi brevi, 12-18 mesi dopo la morte del loro piccolo. Nessun episodio depressivo, nessuna conseguenza negativa sulla salute mentale di tutta la famiglia, altri figli presenti compresi, nessun divorzio. E’ quindi una forma educazionale di accoglienza alla vita, non certo un fondamentalismo religioso! E così questa è la storia di un piccolo seme, un bambino considerato “inutile” da medici senza cuore, che dopo nove anni dalla sua nascita, ha visto nascere un esercito di bambini che sono stati amati, accolti, e tornati in cielo, e un altro esercito di bambini in terra, le quali mamme erano già pronte per una interruzione eugenetica e che invece oggi, felicemente, stringono il proprio bambino sano tra le braccia.

Sabrina Pietrangeli è presidente de La Quercia Millenaria Onlus – www.laquerciamillenaria.org

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Quando un medico sa comunicare la speranza, insieme alla diagnosi https://it.zenit.org/2013/03/01/quando-un-medico-sa-comunicare-la-speranza-insieme-alla-diagnosi/ https://it.zenit.org/2013/03/01/quando-un-medico-sa-comunicare-la-speranza-insieme-alla-diagnosi/#respond Fri, 01 Mar 2013 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/quando-un-medico-sa-comunicare-la-speranza-insieme-alla-diagnosi/ Secondo il prof. Giuseppe Noia, l'accoglienza di un figlio con anomalie dipende anche da una consulenza medica adeguata e dalla buona gestione delle paure dei genitori

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Il prof. Giuseppe Noia, esperto in Medicina dell’età Prenatale nonchè responsabile del Day Hospital di Ostetricia di III Livello e Terapia Fetale del Policlinico Gemelli di Roma, ci racconta di come sia particolarmente importante il ruolo che riveste una consulenza adeguata, dinanzi a coppie smarrite a cui sia stata riferita una anomalia nel bambino atteso con amore. Egli sostiene che la futura scelta dei genitori in merito all’accoglienza di quel figlio, in gran parte dipenda da un modo corretto di comunicare la diagnosi e di gestire i dubbi e le domande che affollano la mente di genitori spesso in preda a sofferenza e paura.

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Professor Noia, la maggior parte delle coppie che arrivano all’attenzione de La Quercia Millenaria hanno avuto diagnosi infauste, e questo già è doloroso, ma lei ha notato che la ferita più grande è quella che si apre quando la comunicazione di una diagnosi viene data in modo poco umano. Tutto sembra incentrato sull’importanza del counseling… come mai saper comunicare una diagnosi è così importante?

Prof. Noia: Sul counseling si gioca il destino di tanti bambini. Il counseling tratta di come viene presentata la situazione reale da un punto di vista rigorosamente scientifico, della condizione effettiva di un bambino in utero; molto spesso, la paura o l’ignoranza di tanti che non conoscono realmente le storie naturali delle patologie fetali, generano da parte degli operatori l’amplificazione di un fatto che sembra essere, ed invece non è realmente; in questo senso, il contenimento del dubbio diagnostico diventa essenziale per evitare alla donna e alle famiglie, la pratica devastante dell’aborto.

Secondo lei, l’argomento “counseling”, gode della giusta importanza in ambiente medico?

Prof. Noia: Questa domanda è di grande attualità, perché il momento del counseling riveste per molti operatori medici, per molti ginecologi ed ecografisti, non solo una valenza di ordine clinico, ma anche di ordine medico-legale. E purtroppo il counseling non viene effettuato né riconosciuto nella sua estrema importanza; viene spesso fatto in maniera direttiva, cioè quasi a costringere la scelta delle donne. C’è quel bellissimo libro “Nascite ribelli”, di una autrice americana, che dimostra come nella società statunitense, i medici quasi costringevano le donne a scegliere l’interruzione, dimenticando che il counseling dovrebbe essere un momento medico assolutamente “neutro”. Dopodichè interviene l’aspetto del destino di quel bambino… in quel momento, noi operatori non possiamo essere neutri dinanzi al destino del bambino, ma neutri nel senso di “oggettivi” e “scientificamente rigorosi” su quello che realmente è la storia naturale di quelle patologie. In questo modo il bambino viene assolutamente considerato.

La capacità di fare un adeguato counseling deve viaggiare di pari passo non solo con il saper usare la tecnica, ma anche sviluppando una medicina condivisa. Perché una volta che noi, in maniera oggettiva abbiamo descritto le reali condizioni del bambino, dobbiamo anche far  subentrare una certa empatia. La neutralità non deve essere confusa con la completa passività dinanzi al destino di quel bambino. Il nostro compito è dire ad esempio: “Guarda, lì c’é un burrone e sicuramente se ci vai ti fai male”… questa è la oggettività del fatto. Poi la donna dice che vuole andarci, e a quel punto interviene l’empatia, la condivisione, e si parla meglio con la donna per farle capire. Questo fa parte del counseling: non solo individuare i problemi del bambino, ma anche farsi carico delle paure, delle difficoltà della donna e della coppia.

Perché, secondo lei, oggi il ricorso all’aborto in caso di malformazioni è così frequente?

Prof. Noia: Perché viviamo in una società dove il senso del dolore e del sacrificio non deve assolutamente esistere. Il concetto che si vive oggi di sollievo del dolore, è accettato parzialmente. Oggi si tende ad annullare la sofferenza, e si sbaglia doppiamente, primo perché non si può “eliminare la sofferenza, eliminando il sofferente” e secondo perchè la sofferenza può essere lenìta, ma non eliminata dalla vita degli uomini. Si dà alla scienza una capacità che la scienza non ha. Con la capacità del cuore, invece, si condivide la sofferenza degli altri, si aiuta a lenire e spesso a guarire.

Come si svolge il suo impegno con La Quercia Millenaria?

Prof. Noia: Più che un impegno è stato un dono e come tale, viene da Dio. Noi possiamo solo ringraziare, perché questa realtà ci fa crescere tutti e ci fa mettere in condizione di rendere utile il sapere umano, la scienza umana che diventa servizio. Credo che nessun prestigiatore più di Dio, avrebbe potuto inventarsi questo modo di aiutare noi medici facendoci confrontare con la sofferenza e la eroicità di queste famiglie. Noi siamo dono per loro e loro per noi… e la Quercia Celeste è dono per tutti! (la Quercia Celeste è il gruppo di bimbi che sono tornati in cielo, ndr).

Nel libro “Il figlio terminale” (di Sabrina Pietrangeli Paluzzi e Giuseppe Noia, ed. If Press) le coppie che sono state accompagnate da lei nel percorso di accoglienza di un figlio terminale, raccontano la loro storia. Cosa hanno rappresentato e rappresentano ancora oggi per lei, queste famiglie?

Prof. Noia: Rappresentano quello che nel vecchio testamento era lo “Shemà Israel”. Rappresentano la testimonianza storica vivente di come una professione anche fatta con molta onestà e con molto impegno, fa il salto di qualità e diventa servizio. Raccoglie ciò che di meglio ci può essere per fare il medico, cioè di servire proprio le persone che più hanno bisogno, i più poveri tra i poveri, come li chiamava Madre Teresa: questi sono anche i bambini terminali. E al massimo della povertà, si deve rispondere con il massimo dell’amore.

Dove trovano la forza, le vostre famiglie, nell’accogliere un figlio destinato a morte certa?

Prof. Noia: Intanto debbo dire che “morte certa” e “feto terminale”, sebbene esprimano in modo chiaro la evidente problematica del bambino, sono terminologie che sappiamo non essere sempre delle sentenze di morte. Ne abbiamo collezionati di “fatti inspiegabili” che hanno cambiato la storia naturale di un bambino, per poter affermare questo! Proprio la nostra associazione nasce dalla storia di un bambino portatore di quello che sulla cartella clinica è stato descritto come “risoluzione naturale” ma che è un inspiegabile “risoluzione miracolosa”, pur se non senza conseguenze. A parte questo, i piccoli che nel momento della diagnosi sembrano essere realmente destinati a non avere vita fuori dal grembo materno, sono per i genitori un dono stupendo comunque. Il loro modo di accompagnare questi bambini è intriso sì di sofferenza, ma mai di disperazione. L’accettazione del proprio figlio malato, terminale, l’accompagnamento, anche fino alla morte stessa, risulta possibile perché condito di amore e accettazione, animato dalla convinzione che dietro quella vita apparentemente inutile e senza futuro, si nasconda un progetto di amore che verrà rivelato nel tempo. E normalmente, il tempo dà ragione a queste famiglie… altrimenti non avremmo totalizzato 32 testimonianze in due soli libri, e altre ne arrivano in continuazione, alcune delle quali pubblicate regolarmente sul nostro sito.

La speranza è di poter cambiare una cultura di morte, in una vera e propria “cultura della vita”. E queste famiglie pioniere, con il loro coraggio e la dedizione di medici che non temono di essere delle “mosche bianche” nel loro ambiente e combattono la loro battaglia quotidiana in favore della vita, sono strumenti essenziali per questo cambiamento di cultura.

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Sabrina Pietrangeli è presidente de La Quercia Millenaria Onlus – www.laquerciamillenaria.org

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Quando fede e scienza vengono unite dall'associazionismo https://it.zenit.org/2013/02/15/quando-fede-e-scienza-vengono-unite-dall-associazionismo/ https://it.zenit.org/2013/02/15/quando-fede-e-scienza-vengono-unite-dall-associazionismo/#respond Fri, 15 Feb 2013 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/quando-fede-e-scienza-vengono-unite-dall-associazionismo/ La grande testimonianza di San Giuseppe Moscati

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Si fa sempre un gran parlare di scienza, disgiunta dalla fede, come se quest’ultima trattasse solo di follie visionarie o cose non tangibili. Quando invece proprio la fede, sul piano materiale, permette cose che, con le sole forze umane, sarebbero irraggiungibili. Questo vale in particolar modo quando si parla della malattia di un bambino e di come i genitori attingono forza dalla fede, collaborando al contempo col personale medico che cura il proprio piccolo, e non di rado sono proprio i medici a ricevere grande testimonianza di questi genitori, al punto da vivere poi delle vere e proprie conversioni.

In un “campo minato” come quello in cui si trova a lavorare ogni giorno un’associazione come La Quercia Millenaria, la scienza deve essere il puntello sul quale si basa ogni atto di diagnosi, ogni consulenza, ogni decisione presa per il bene della mamma e del bambino, vale a dire terapie, modalità del parto e cure post partum. Ma è pur vero che La Quercia tratta gravidanze talmente ad alto rischio e spesso con situazioni malformative così gravi, che se non ci fosse la fede – quella dei genitori e quella degli operatori – sarebbe veramente un dramma.

Allora la meraviglia è proprio questa: esercitare questo particolare dono di coniugare fede e scienza. È mai possibile? – si chiedono molti. Sicuramente è possibile coniugarle, perché abbiamo gli elementi di conoscenza che si fondano sul fatto di utilizzare “le ragioni della ragione”. Questi sono gli elementi che uniscono la scienza e la fede. Qualcuno potrà dire: “ma la ragione, cosa c’entra con la fede?”. Sicuramente c’è un livello in cui la razionalità dà significato a tutti quei processi su cui poi interviene la fede, ma una base razionale che accomuna la scienza alla fede c’è, soprattutto con un obiettivo unico, che è il servizio alla persona umana. E poi c’è il prezioso apporto della testimonianza, perché una scienza che si auto-contempla, che parla anche di cose belle, eticamente giuste, e non si esprime poi nel fare, è come se fosse una fede senza le opere. Ecco perché è importante la testimonianza, affinché non ci sia una contemplazione narcisistica della scienza, ma il confronto con la testimonianza riporti al vero obiettivo della scienza, che è il servizio alla persona umana. 

Oggi per un medico difensore della vita ci sono innumerevoli difficoltà che partono proprio dal contesto lavorativo in cui si esercita la propria professione, per via dell’irrisione e del pregiudizio culturale che una persona credente non possa fare una buona scienza. E allora l’impegno diviene doppio, perché, oltre a questo, c’è un mondo fuori dal proprio studio medico, che non crede più nella vita. Tutto diventa battaglia. Per un medico che ha fede, sicuramente la testimonianza di San Giuseppe Moscati, grande medico del passato può essere di esempio.  San Giuseppe Moscati è l’emblema di come fede e scienza possano coesistere e come la verità della scienza si coniuga con la verità della persona umana. Moscati difatti diceva: “Ama la verità; e se questa verità ti costasse, tu sii pronto a pagare questo sacrificio. E se anche ti costasse la vita, tu sii pronto all’estremo sacrificio”.

Sabrina Pietrangeli è fondatore e presidente de La Quercia Millenaria Onlus

* La Quercia Millenaria Onlus – Iscrizione Anagrafe Onlus n. 77064 del 11-10-2006 Codice Fiscale 97432710586. Per sostenere l’operato de “La Quercia Millenaria” puoi effettuare una donazione tramite Conto Corrente Postale n. 75690149, oppure Bonifico Bancario con Iban: IT 26 J 03069 05118 615268186304 con causale “Donazione libera”. Visita il sito: www.laquerciamillenaria.org.

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Quando accogliere la vita, arricchisce la vita https://it.zenit.org/2013/02/08/quando-accogliere-la-vita-arricchisce-la-vita/ https://it.zenit.org/2013/02/08/quando-accogliere-la-vita-arricchisce-la-vita/#respond Fri, 08 Feb 2013 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/quando-accogliere-la-vita-arricchisce-la-vita/ La maternità è il più grande dono che una donna possa ricevere

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Ogni gravidanza è una storia d’amore che inizia, ed è condita da sensazioni irripetibili, uniche e personali. Ognuna delle mie tre gravidanze è stata diversa e particolare. Le ricordo tutte con incredibile chiarezza, con nostalgia, con la consapevolezza di quale tempo di grazia sia stato – nel bene e anche nel male! – soprattutto ora che ho “sforato” i 40 anni già da un po’…

Accolsi la notizia della prima gravidanza con lo stupore di chi si sente così tanto figlia da ritenere impossibile il potersi occupare di un essere umano che dipende totalmente da te, e nello stesso tempo con la rispettosa riverenza di chi comprende che il percorso evolutivo all’interno della pancia di una mamma richiede una forza, una autonomia, e una prepotenza di vita da stupire un adulto, figuriamoci cosa rappresenti in termini di sforzo per un esserino minuscolo come un embrione prima, e un feto poi.

Era una femminuccia, scelsi il suo nome e cominciai a chiedermi come sarebbe stata. Col passare dei giorni, mentre lei cresceva nella mia pancia, intuivo il suo carattere, la sua personalità. Era tranquilla, gestibile, regolare nelle sue abitudini, “sentivo” di conoscerla come nessun’altro. Quando nacque non fu una sorpresa: era lei, la bambina che avevo imparato a conoscere nei nove mesi che l’avevo con amore ospitata e accolta dentro di me. Era proprio la bambina che avevo immaginato.

La seconda gravidanza mi mise realmente in crisi… non era passata neanche una settimana da quando avevo deciso di non porre più ostacolo alla possibilità di accogliere nuovamente la vita, che subito ero rimasta incinta… tradimento! Non mi sentivo pronta, e non ero stata in grado di comprenderlo prima… come è contraddittorio accogliere fisicamente la vita, ma far fatica ad accoglierla altrettanto pienamente nell’anima e nello spirito. Il rifiuto intriso di paura, eppure alla prima minaccia d’aborto il terrore di perdere quella “presenza” che già sentivo mia, e che sentivo di dover proteggere. L’amore è più forte, e lei oggi è il nostro dono di dodici anni, ma le contraddizioni che portavo in me, le ha prese tutte lei! Eppure la mia bambina è un concentrato di forza di volontà, di caparbietà. Lei si fa largo, lei si fa amare, si impone con la sua presenza e con uno sguardo che ti scioglie. Sento che la avrò vicina per sempre, lei è ricca di amore e di forza. Lei mi ha aiutato a vedere in ogni figlio un dono di Dio, con un ministero preciso, e questo è stato fondamentale per farmi vivere la terza gravidanza.

Il maschio arrivò. Ma quello del suo sesso fu l’ultimo dei miei pensieri quando venni a sapere che era un bambino destinato a morte certa, un “feto terminale” per la scienza.

Da quel momento in poi, il rapporto con questo figlio davvero desiderato e accolto anche se era il terzo (e la gente si spara quando rimane incinta del terzo, come fosse arrivato “per sbaglio”, come se accogliere più di due figli sia roba da pazzi incoscienti), divenne qualcosa di elevato ai massimi livelli. Non eravamo solo madre e figlio, eravamo due complici chiamati a vivere una sfida. Due alleati che dovevano trarre forza l’uno dall’altra, due amanti con poco tempo a disposizione. Io ero la privilegiata, il padre avrebbe avuto comunque nove mesi meno di me per sentirlo “suo”. Ogni giorno poteva essere l’ultimo, ed oltre a pregare ogni Santo di cui avessi fiducia, parlavo con lui, cantavo per lui, gli fornivo suggerimenti e raccomandazioni, e con lui stringevo patti e alleanze.

Ed in modo incredibile ha risolto parzialmente la gravissima patologia che lo affliggeva… oggi è il mio terzo figlio, ha nove anni, con problemi che il mondo chiama “disabilità”, ma che sono il suo punto di forza. Quello che mio figlio ha realizzato grazie alla sua vita e alle sue sofferenze, molti altri non lo ottengono in vite di novanta anni. Tutta la maternità che era in me, e molto altro che si è aggiunto per amore, è stata investita per crescere questa creatura che ha reso la nostra famiglia più piena e viva. Io mi accorsi del suo “ritorno alla vita” ben prima che l’ecografia me ne desse notizia. Per mezzo di quel misterioso cross-talk (colloquio incrociato) l’informazione del suo benessere mi era già arrivata…

Credo che la maternità sia stato di gran lunga il dono più grande ricevuto, essendo nata donna. Avendo avuto una infanzia affettivamente traumatica, non ero sicura di poter dare ai miei figli ciò di cui avessero bisogno. In realtà si trattava di trascendere, imparando a sfruttare ciò che la vita mi aveva dato in precedenza. Avevo ricevuto limoni? Okay, potevo ricavarne limonata… sicuramente ho liberato i miei figli da ciò che ha ferito me. Ma non ho certo potuto proteggerli da tutto; come per me le sofferenze sono state un trampolino di lancio, così lo sarà per loro. Ho scoperto che gli esseri umani migliori sono quelli che hanno davvero qualcosa da raccontare.

Come disse un giorno Aldous Huxley: “L’esperienza non è ciò che vi succede, ma quello che fate con ciò che vi è successo”. 

Sabrina Pietrangeli è fondatore e presidente de La Quercia Millenaria Onlus

La Quercia Millenaria Onlus – Iscrizione Anagrafe Onlus n. 77064 del 11-10-2006 Codice Fiscale 97432710586. Per sostenere l’operato de “La Quercia Millenaria” puoi effettuare una donazione tramite Conto Corrente Postale n. 75690149, oppure Bonifico Bancario con Iban: IT 26 J 03069 05118 615268186304 con causale “Donazione libera”. Visita il sito: 
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