Pietro Groccia, Author at ZENIT - Italiano https://it.zenit.org/author/pietrogroccia/ Il mondo visto da Roma Sun, 13 Nov 2016 10:20:48 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.7.1 https://it.zenit.org/wp-content/uploads/sites/2/2020/07/02e50587-cropped-9c512312-favicon_1.png Pietro Groccia, Author at ZENIT - Italiano https://it.zenit.org/author/pietrogroccia/ 32 32 Vescovo di Rossano: "L'Eucaristia al centro della vita e delle relazioni" https://it.zenit.org/2016/11/13/vescovo-di-rossano-leucaristia-al-centro-della-vita-e-delle-relazioni/ Sun, 13 Nov 2016 10:20:48 +0000 https://it.zenit.org/?p=92145 Lettera pastorale di monsignor Giuseppe Satriano sul tema "Sulla strada di Emmaus con il Risorto"
 

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Scrive Mons. Satriano, vescovo della diocesi Rossano – Cariati: “Il nostro mondo vive il pericolo della frammentazione come una fragilità che mina l’integrità del soggetto” (p.14). Tale frammentazione – anche in ambienti che si dicono cristiani – determina una forma asfittica di confusione che porta, non di rado, gli stessi cristiani, a non assumere appieno la valenza salvifica del mistero dell’Eucaristia. Ne consegue “una comprensione assai riduttiva del Mistero eucaristico”.
Satriano sembra rispondere a questa provocazione, in una maniera direi insolita, con una domanda. Domanda che non esita a tradursi subito in risposta! Si chiede, infatti, da dove partire, come da sorgente, per recuperare il primato di Dio nel contesto di una chiesa locale passando “da una pastorale catechetica ad una evangelizzante” (p.11). E la risposta, che lo stesso Presule ci offre, con la semplicità di una teologia feriale ma di lapidaria pertinenza pastorale ruota attorno all’icona di Emmaus (cf. Lc 24,13-15), dove la “fractio panis” è declinata come “realtà ricca di senso per approfondire la nostra vita ecclesiale e acquisire uno stile con cui plasmare l’esistenza personale e quella delle nostre comunità” (p. 7). Proprio da Emmaus nasce la consapevolezza che ogni Eucaristia porta in sé anche un afflato evangelizzatore, in senso rigorosamente missionario!
Non a caso la cifra ermeneutica che fa da leit motiv all’intero documento è la pericope di Lc 24, 28-32, a tutti nota come il racconto di Emmaus! Difatti, sulle note di Emmaus, cronaca di un fatto passato, ma che illustra un cammino di fede e ne descrive le tappe e i contenuti, sempre attuali, il presule rossanese attraverso una trilogia pastorale di – balthasariana memoria – ha inteso sintonizzare i passi della sua chiesa.
La narrazione dell’apparizione ai due di Emmaus è uno dei più vibranti racconti di Pasqua (Lc 24,13- 35). In esso è custodito il DNA della fede cristiana, nel senso che l’episodio in filigrana presenta l’identità e la struttura della fede sia sotto la dimensione personale che sotto quella comunitaria.
Da Emmaus, secondo Satriano scaturisce “un invito a rendere presente, nella vita, l’amore di Cristo per noi; a rivivere, nella carne, la capacità di spezzare, donare sé stessi per gli altri, facendo diventare la vita un dono” (p. 9).
Corredata da una efficace introduzione e articolata in 3 cap., la Lettera pastorale di mons. Giuseppe Satriano Sulla strada di Emmaus con il Risorto. Leucaristia al centro della vita e delle relazioni si fa subito ammirare per la chiarezza del pensiero, nonché per l’organica impostazione, mai sconnessa dalla ricchezza sul piano della spiritualità. 
Nel primo capitolo “Sulla strada di Emmanus”, a sfondo sistematico, emerge la dimensione pedagogica dell’eucaristica che, secondo Satriano, inaugura un’etica nuova, in cui la fractio panis apre la possibilità di trasformare la logica del desiderio, paralizzata dalla libertà egoistica dell’uomo in condivisione e compassione, per rinnovare nell’oggi della storia “quanto accaduto nell’ultima cena” (p. 9). Il richiamo alla cena pasquale, da parte di Satriano, non è affatto occasionale, perché nel racconto biblico appare centrale la simbologia del banchetto, che nella vicenda storica di Gesù diventa segno di uno stile diverso di vivere e di dare forma alla condizione umana.
È significativo, a riguardo, il rimando del Presule ai discorsi di addio di Giovanni, dove non si riporta l’istituzione dell’augusto mistero, bensì il gesto della “lavanda dei piedi” (cfr Gv 13), come se esso costituisse in concreto il senso vero e profondo dell’Eucaristia. Satriano qui sembra dirci, riecheggiando il Crisostomo, che non è bello nutrirsi del corpo di Cristo alla tavola eucaristica e lasciare morire i poveri di fame alla porta delle chiese. Da tale sacramento dovrebbe sbocciare dunque il miracolo del “servizio”.
Nel secondo capitolo, a taglio più esistenziale e dall’emblematico titolo “l’Eucaristia al centro della vita e delle relazioni”, a primo acchito colpisce l’empatica correlazione tra il frammentarsi di Gesù che facendosi condivisione va a ricomporre il mosaico infranto delle relazioni umane. Infatti l’esegesi del sottotitolo “Dalla frammentazione all’unità” è un programma di stampo autenticamente eucaristico costruito sulla “logica dell’amore, a cui Gesù ci educa con la sua vita” (p.13). Su questa scia l’Eucarestia, diviene un processo salvifico che s’origina nel cuore di Dio per impiantarsi sulla terra, risucchiando nel vortice dell’amore oblativo e sacrificale di Gesù “ogni uomo in una recuperata relazione con Dio e con gli altri” (p. 15).
Senza l’afflato eucaristico, a nulla servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero – secondo Satriano – apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita. Dunque, ogni programma di comunione antropologica ha assoluto bisogno di una centratura teologica. E siamo alla sfida che Satriano ci lancia! Sfida che si fa provocazione reale a distaccarsi da sé per “lasciarsi abitare da Cristo per abitare la vita delle nostre realtà. […] Creando spazi ricchi di comunione e di condivisione tra le persone. […] Mediante atteggiamenti quali: ascoltare, lasciare spazio, accogliere accompagnare e fare alleanza” (p. 16), come suggerito dal recente Convegno di Firenze, per “realizzare un nuovo umanesimo cristiano capace di testimoniare il volto del Dio misericordioso rivelatoci da Gesù” (p.15).
Questi cinque verbi di movimento, facendo emergere il carattere dinamico dell’Eucaristia ci esortano a costruire “relazioni significative”, valorizzate dalla fedeltà a Cristo e a se stessi, per disattivare così la nevrosi dei ritmi corti di un presente privo di radici, istantaneamente logorato dalla logica spontanea del bisogno. Dunque, il realismo eucaristico, per Satriano è dinamico e non statico e segna più che il passaggio, la riconciliazione tra un’ontologia della sostanza ed un’ontologia della relazione o dinamica, la cui forma più alta non è che l’atto dialogico, dove la libertà si fa verità “attestandosi come spazio esistenziale […] andando incontro all’altro, creando legami e alleanze” (p. 29).
In questa ottica, la prescrizione “Fate questo in memoria di me” non è un ordine estrinseco o quasi un optional, non è una mera rubrica liturgica, ma l’invito ad entrare nella comprensione della logica nuova, inaugurata da Gesù, che “conduce ad un vero e proprio cambio di prospettiva” (p.25). Far memoria nel linguaggio biblico significa rivivere la genesi della propria nascita e della propria costituzione per essere e ridiventare di continuo ciò che si è diventati una volta per sempre. Ecco perché il pensare eucaristico che scorre in queste pagine non è un esperimento provvisorio del Figlio, è uno stile definitivo di Dio; a maggior ragione deve essere lo stile della chiesa. Dunque, possiamo dire con De Lubac «l’Eucaristia fa la Chiesa e la Chiesa fa l’Eucaristia».
Nel terzo capitolo, a carattere più pastorale, “La fractio panis come stile di vita: una sfida pastorale”, il Presule, sintonizzandosi sugli orientamenti di Firenze e facendo sue le indicazioni del Papa, propone alla comunità diocesana di incarnare nel vissuto “gli stessi sentimenti che furono di Gesù. Essi sono: umiltà, disinteresse e beatitudine” (p.27).
L’Eucaristia, dunque, viene proposta come “luogo teologico” o “spazio generativo” come – la definisce Satriano – in cui situarci per interpretare, alla luce dello Spirito, l’oggi della storia dove “i legami, le relazioni, i rapporti sono sempre più superficiali, poveri di consistenza, e di radicamento in una comunione profonda e significativa” (p. 29).
Sembra infatti polverizzato il senso dell’Assoluto. E si sono aperte le porte ad una religiosità “fai-da-te”. […] Che conferma una disaffezione alla vita della parrocchia, soprattutto nei grossi centri, dove è più facile registrare un vuoto di identità credente” (p. 30). E lì dove vi è un vuoto, nascono nuovi surrogati. Infatti, sono subentrati i nuovi idoli, cioè quegli aspetti dell’esistenza che sembrano meritare il privilegio di costituirsi quali punti fermi della vita: il denaro, il successo, il divertimento eccetera. Ne risulta un panorama disorganizzato dal capriccio dei singoli, e quindi privo di senso oggettivo e fonte continua di angoscia. In realtà, “è in aumento la solitudine, e con essa le malattie depressive, mentali” (p. 29).
“Vivere la fractio panis, assumere come Chiesa uno stile eucaristico – scrive Satriano –  significa intraprendere “un percorso di conversione” (p.31) che ci aiuta a superare visioni riduzionistiche, ripartendo dal grande motore della vita cristiana che è Cristo attraverso il suo prolungamento eucaristico (cfr. p. 4). Nutrirsi di Cristo è l’unica via che ci abilita ad essere lievito fecondo per innervare di contenuti evangelici lo stile della società e per “per-formare” la comunità ecclesiale nell’ottica del servizio, al fine di convertire la città ad accogliere e saper coniugare nella vira “i tre verbi eucaristici prendere, ringraziare e condividere” (p. 31).
Ed è nell’esercizio di questi tre verbi che si apprezzano i benefici del dono eucaristico per la vita quotidiana: la condivisione si consuma per le strade del mondo, per le vie della città degli uomini: con lite missa est, l’eucarestia viene presa e mandata fuori dal tempio, perché cambi la storia degli uomini, diventando rendimento di grazia e fonte di misericordia oltre ogni offesa o peccato, coraggio di condivisione e di unificazione/comunione oltre ogni rottura e aggressività, nonché strumento privilegiato per educare alla vita buona del vangelo.
Satriano, dunque, con grande acume pastorale, ci addita la spiritualità eucaristica, come vero antidoto all’individualismo e all’egoismo che spesso caratterizzano la vita quotidiana. L’Eucaristia, dunque, è l’unica via educativa per rispondere ai segni dei tempi della cultura contemporanea e la sola in grado, di darci la giusta “spinta propulsiva […] per restituire libertà e significato alla vita dell’uomo e del mondo” (p. 43-44).
“Vivere l’Eucaristia, incontrare l’amore di Dio per noi” (p. 43), secondo Satriano è l’imperativo del nostro tempo, perché l’identità non diventi intolleranza e l’accoglienza non si tramuti in insignificanza.
In questo “dinamismo meraviglioso” (p.43) il racconto di Emmaus è una pedagogia straordinariamente efficace che identifica il traguardo, disegna la strada e delinea la metodologia per arrivarci. Dunque, concludendo Satriano sembra dirci, facendo sue le parole di A. Paoli che «Se studiassimo a fondo l’essenza dell’Eucarestia, come prototipo dell’ideale evangelico, e la donazione di Cristo come modello dell’amore cristiano, scopriremmo la legge profonda della nostra vita».
Queste pagine rappresentano certamente un aiuto, per il percorso della nostra chiesa nella sua storica marcia verso Dio!                                                                      —————————————-
1 Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia, Roma,17 aprile, 2003,9.
2 Cf. C. Dotolo, Lesistenza eucaristica di Gesù di Nazaret, in Spezzare il pane per tutti. Il dono della missione, Missio – CEI, Roma aprile 2011, 93.
3 Cf. C. Dotolo, Lesistenza eucaristica di Gesù di Nazaret, 85.
4 Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte, Roma 6 gennaio 2001, 43.
5 H. De Lubac, Meditazioni sulla Chiesa, Paoline, Milano 1955,151.
6 Cfr. G. Steiner, La nostalgia dellassoluto, Mondadori, Milano 2000.
7 Cf. a. staglianò, LEucaristia «e» la città, in Rivista diocesana di Siracusa, numero speciale, Aprile 2000, 29.
8 A. Paoli, Il difficile amore. Un uomo scendeva, Cittadella, Assisi 2008, 73.

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Il Dio che stronca le guerre https://it.zenit.org/2014/10/24/il-dio-che-stronca-le-guerre/ https://it.zenit.org/2014/10/24/il-dio-che-stronca-le-guerre/#respond Fri, 24 Oct 2014 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/il-dio-che-stronca-le-guerre/ La prima Lettera dell'Ordinario dei Militare, mons. Santo Marcianò, indirizzata alle forze armate

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Ruota attorno ad un passo biblico dell’Antico Testamento (Gdt 16,2) Il Dio che stronca le guerre (ed. Lev, 2014), la prima Lettera che mons. Santo Marcianò, in qualità di Arcivescovo Ordinario dei Militari per l’Italia, ha indirizzato alle forze armate.

Il testo che presentiamo costituisce una rigorosa proposta per l’elaborazione di un sintetico vademecum per una teologia come prassi di pace che si inserisce nel percorso inaugurato da Giovanni Paolo II, quando, nel proclamare l’avvento di una nuova epoca, con  vigoria profetica, affermò: “Mai più la guerra! – perché la guerra non risolve nulla, nemmeno i problemi che l’hanno suscitata”.

La prima parte ripercorre la tragedia della prima guerra mondiale come  “una inutile strage” e la sua lancinante provocazione all’uomo e al credente. La Grande Guerra è letta dal Presule come espressione della situazione non redenta dell’umanità e del suo bisogno di quotidiana conversione. Essa, però, da espressione diviene facilmente una vera e propria struttura di peccato! La storia – secondo Marcianò che in questo assunto sembrerebbe sposare la proposta di Jüngel – testimonia la perdurante tensione “tra la realtà dell’uomo la cui sigla è la guerra, e la verità dell’uomo che è di essere un essere di pace”. (1)

Perciò, il tema centrale che attraversa l’intero documento come il filo conduttore e la cifra ermeneutica è quella pace che Marcianò, da autentico servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo, non esita a definire, addirittura, “futuro della guerra” (p.6).

Ma il Concilio ci dice che “È dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del vangelo” (GS, n.4). Al pastore che scrive non manca quell’arguzia profetica e pastorale, che consiste nel saper intuire il senso della storia, diffusasi alla fine degli anni ‘40 nell’ambiente teologico francese, ad opera dei teologi Marie Dominique Chenu e Yves Congar. Essa lo porta a percepire che in realtà la pace è ancora lontana e la paura della guerra persiste anche in quella parte del mondo rimasta, come l’attuale occidente, esente per ora dal ripetersi dei drammatici eventi che in passato l’avevano insanguinata. La guerra si è trasformata e diversamente dislocata, ma è tutt’altro che assente. Infatti, sembra essere fallito l’ambizioso sogno dell’uomo occidentale di esorcizzare la grande e antica paura della guerra! A riguardo scrive Marcianò: “Qualcuno – lo ha affermato anche Papa Francesco – inizia a parlare di una «Terza Guerra Mondiale» che si starebbe combattendo «a pezzi» ma che, non per questo, potrebbe essere meno pericolosa” (p. 7).

Nonostante ciò, la questione della pace è ormai da alcuni anni al centro del dibattito e coinvolge molteplici discipline. Infatti, una delle sue prerogative è che può essere percepita sotto molti punti di vista, e Marcianò, attingendo a piene mani al magistero di papa Francesco e avvalendosi della fenomenologia intuitiva, di schellinghiana memoria, che lo connota, indaga, con una pluralità di approcci e linguaggi, il concetto di pace, declinandolo sotto le sue variegate dimensioni: politica, sociale, antropologica, pedagogica, evangelica ed ecclesiale. Sono indicazioni che, a partire dalle istanze emerse da Verona 2006, provano ad inaugurare una sorta di stagione costituente per una nuova primavera della speranza, volta a individuare le linee di azione per trasformare il tema della nuova evangelizzazione da istanza o da appello in concreta scelta di campo, anche nel  mondo militare. Qui con G. Marcel sembrerebbe affermare che il nemico della speranza è l’indifferenza, che è rinuncia alla ricerca della verità e desertificazione della vita spirituale.

Le dimensioni approcciate: politica, sociale, antropologica, pedagogica, evangelica ed ecclesiale sembrano percorrere un andamento argomentativo del tipo chiamata-risposta (secondo il  titolo del celebre manuale di teologia morale del tedesco A. Günthör, Chiamata e risposta, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 1994.

Di fronte ai vari approcci, dopo averne analizzato la liceità morale o meno, presenta, quasi in maniera speculare, le proposte etico-teologiche finalizzate, non  solo alla limitazione della violenza e della guerra, quanto alla costruzione di una vera e stabile pace attraverso la fondazione epistemologica di un personalismo comunitario di “mounieriana memoria”, aperto all’intersoggettività e che sappia abitare i confini e dove la riscoperta del senso della patria, (cfr. p.14), il recupero del senso di popolo, (p. 16), e il superamento dei riduzionismi antropologici, (cfr. p. 20) l’instaurarsi di una politica tesa al bene comune, insieme al ri-centramento della persona, vanno a rappresentare quelle cellule della vita sociale su cui bisogna far leva per rimodellare l’intero edificio politico-sociale e per la costruzione di “un luogo dove sentirsi a casa, rispettando la casa e il senso di Patria altrui e mettendosi a servizio degli altri per difenderlo, custodirlo, ricostruirlo” (p.15). Ecco emergere la dimensione politica della pace come arte dello stare insieme, del fare più umana la convivenza tra gli uomini, nel rispetto e nella valorizzazione di tutte le energie disponibili.

Questo rapporto etico interpersonale troverebbe, secondo Marcianò, la sua massima espressione nell’amore perché è nella donazione di sé che si supera ogni sorta di solipsismo, ogni forma di egocentrismo, e ci si apre al riconoscimento dell’altro come prossimo superando così quelle forme anonime e spersonalizzanti prodotte dalla globalizzazione per rendere sempre più comunità i vari ambiti della vita militare.

L’amore, “come logica dell’offerta”(p.26), che definisce l’essere autentico della persona, non è un attributo del carattere o una modalità di realizzazione, ma quella dimensione con cui la persona diventa tale evitando che gli altri le restino estranei e che ella resti estranea a se stessa. La considerazione dell’altro, infatti, è la chiave attraverso la quale possiamo dischiudere lo scrigno prezioso e segreto che è in noi e scoprire l’immenso tesoro di cui Dio ci ha fatto dono: “L’uomo scopre compiutamente se stesso soltanto nella relazione con l’altro uomo” R. Buttiglione, Il pensiero dell’uomo che divenne Giovanni Paolo II, Mondadori, Milano 1998. 365.

Anzi, è probabile che a Marcianò non è estranea la concezione della comunità cui Martin Buber perveniva a partire dalla tesi dell’originarietà della modalità dialogica di rapportarsi al mondo. Cfr. M Buber, Il principio dialogico e altri saggi, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1993.

Per Marcianò è la comunità il luogo in cui si incontrano l’io e il tu. Ma se la comunità presuppone la relazione dialogica, essa non nasce dalla semplice coesistenza umana perché implica responsabilità, ascolto e il reciproco riferimento ai valori del vangelo.

In sintesi, camminare verso la pace significa muoversi verso la meta funzionale di dar dinamismo alla storia: pace vuol dire avviarsi verso quell’unità del soggetto planetario che ancora non esiste.

Così, il suo porsi in pensiero non è mai pura elucubrazione intellettuale, ma è sempre sapienziale meditazione sul concreto della vita, è un’interpretazione illuminata – ispirata dalla fede – sul cammino storico dell’uomo, sul senso del suo presente, sulle luci e le ombre del suo passato, sugli orizzonti del suo futuro. È, in sintesi “un teologare nella vita”.

Da qui si intuisce il merito della proposta di Marcianò il quale estrapola il tema della pace dalla semplice trattazione moralistica, per restituirlo al suo adeguato contesto teologale.

Pertanto, nel panorama (piuttosto esile ad onor del vero) delle più recenti proposte sul tema della pace, quella di Marcianò si impone con vigoria sistematica, buttando una luce inaspettata e originale sui percorsi speculativi più degni di nota. 

< p>Per questo suo pensare, che non è sterile esercizio autoreferenziale dell’intelligenza, in quanto trova riscontro concreto nell’estrinsecarsi storico della sua azione pastorale, mons. Marcianò si sta riproponendo anche nella diocesi militare che Lui non esita a definire una Chiesa senza confini (p.15), un testimone indefesso della speranza che sa agire nel nostro tempo con uno sguardo sempre oltre i ristretti confini immediati della cronaca, quale umile costruttore di quel tanto auspicato nuovo umanesimo cristiano, con quel radicalismo evangelico che pervade ogni suo pensiero ed ogni sua azione.

In breve, si tratta di inventare, nella nuova stagione della post-modernità, le nuove strade della testimonianza cristiana. Queste pagine vorrebbero rappresentare un aiuto alla lettura degli avvenimenti e all’individuazione di nuove vie di presenza e di testimonianza anche nel mondo militare.

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Note

(1) E. Jüngel, L’essenza della pace, Morcelliana, Brescia 1984.

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