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Il cosiddetto “Stato Islamico” ha occupato Palmira, un sito archeologico di grande importanza e una zona strategica per Damasco. Malgrado la Coalizione Usa, l’IS avanza, come mai?
Palmira è un punto importante per la prossima controffensiva dell’esercito siriano, che sta combattendo lo Stato Islamico su ogni fronte. Nella guerra ci sono obiettivi, ritiri, offensive e controffensive. Diverse zone sono state occupate dai terroristi e liberate dopo mesi. Quello che non viene riportato è il flusso di danaro, di armi e di jihadisti verso la Siria, attraverso il confine turco, giordano e libanese. Questo sostegno umano, militare e finanziario, proviene dalla Turchia, dal Qatar, dall’Arabia Saudita e dalla Giordania. Ogni volta che arriva questo supporto, lo Stato Islamico fa un passo avanti.
Chi finanzia lo Stato Islamico?
Oggi l’Isis è sostenuta finanziariamente dalla Turchia. Come accade? Lo Stato Islamico ruba il petrolio siriano e iracheno, lo trasporta tramite camion verso la Turchia, lo vende dai porti turchi nel mercato nero. Il denaro viene pagato attraverso società turche, alcune delle quali riconducibili perfino a parenti di Erdogan. Il gruppo che è al potere in Turchia prende la sua tangente e il resto di quei soldi finisce nelle casse dell’Isis. Questa operazione è in corso, sotto gli occhi degli Stati Uniti e dell’Onu. E accade ogni ora di ogni giorno. Dal Qatar e dall’Arabia Saudita poi un flusso di finanziamenti arriva all’IS ma anche ad Al Nusra e ai Fratelli Musulmani, che dopo la riconciliazione, fra Arabia Saudita e Turchia, promossa da Usa, hanno riunito i gruppi terroristici sotto il nome di Jaish al Fath, per una nuova escalation di attacchi contro la Siria.
Come sta conducendo la battaglia contro i terroristi l’Esercito siriano?
L’esercito siriano agisce secondo i propri piani. Ha una lista di priorità dei suoi obiettivi, adeguata alle proprie capacità umane e pratiche. Cerca di contenere queste aggressioni e si prepara a lanciare le controffensive. L’esito della battaglia di Qalamon sarà decisivo, liberando la forza di migliaia di militari siriani che ora sono impegnati lì e sono appoggiati dalla resistenza libanese di Hezbollah, forte e al suo fianco, e in prima linea a difesa della Siria e del Libano.
Come si può raggiungere una soluzione per la crisi siriana?
Bisogna fermare ogni attività terroristica, ogni rifornimento di soldi e di armi ai terroristi. Se accadesse l’esercito siriano ci metterebbe pochi mesi per spazzarli via tutti. Chi è che sta impedendo la risoluzione o l’applicazione della risoluzione del consiglio di sicurezza Onu? Gli Stati Uniti, con la strategia di una guerra di logoramento. Infatti tutte le soluzioni nasceranno dai pesi e dagli equilibri locali e dentro l’area. Non credo che con l’eventuale firma dell’accordo nucleare, l’Iran riuscirebbe ad imporre a Washington a rinunciare a questo progetto. Ci vorrebbe uno sforzo più ampio. Non basta l’Iran, insieme alla Russia o alla Cina, bisogna che si aggiungano voci europee.
La divisione della Siria in cantoni su base religiosa: uno stato sunnita, uno sciita, uno cristiano. Questa è una delle folle soluzioni promosse anche in Europa…
In Siria non ci sono i presupposti per una divisione o una spartizione. In Siria c’è una grande massa sunnita popolare che è al fianco del governo. Il presidente Assad non gode solo del consenso halawita o cristiano ma anche all’appoggio della comunità sunnita, perché in Siria c’è un vero stato nazionale. Ma poi c’è, da parte di Assad e del suo governo, una forte volontà politica a mantenere salda l’unità della nazione anche a costo di una lunghissima guerra.
Il Presidente Assad era il nemico da sconfiggere, ora invece, anche se l’Occidente non vuole ammetterlo, è un alleato nella lotta al terrorismo. Quanta ipocrisia c’è?
È vero, per l’Occidente lo Stato Islamico è terrorista ma sottobanco, i potenti chiudono gli occhi riguardo l’appoggio di Erdogan ai terroristi IS, e di Qatar e Arabia Saudita ad Al Nusra, oltre alle organizzazioni terroristiche sostenute e finanziate legate ai Fratelli Musulmani. I Fratelli Musulmani, dapprima legati ai servizi segreti britannici e ora insieme agli americani, sono il fulcro di queste organizzazioni terroristiche. Diversi gruppi di intelligence europei hanno preso contatti in segreto con Damasco, perché i loro governi sono incapaci, miopi, e senza visione.
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]]>I jihadisti hanno compiuto un nuovo feroce assalto a 30 villaggi siriani della comunità cristiana degli assiri nella provincia di Hasakah, nel nord-est della Siria. Il tentativo è stato quello di riconquistare terreno e trovare vie di fuga e rifornimenti, dato l’avanzamento delle Forze armate siriane a nord di Aleppo e la resistenza delle forze di difesa curde. Tal Hermez, Tal Tamer, Tal Shmeram, Tal Tawil sono solo alcuni dei villaggi sul fiume Khabur, assaltati dai miliziani con circa 40 mezzi armati all’alba di lunedì.
Jack Bahnam Hindo, vescovo della chiesa siro-cattolica a Hasakeh, ha confermato che la maggior parte degli abitanti sono stati sfollati nella città vicina di Qameshli, ma almeno 70 civili – per lo più donne e bambini – risultano in mano ai terroristi, portati in un luogo sconosciuto.
“Decine di cristiani assiri sono stati presi in ostaggio dai jihadisti, probabilmente allo scopo di usarli come scudi umani o merce di scambio con riscatto o rilascio”, sottolinea mons. Hindo. Il quale critica duramente la coalizione occidentale: “Voglio dire chiaramente che noi abbiamo la sensazione che siamo lasciati soli nelle mani di Daash (acronimo arabo di Stato islamico di Iraq e Levante ndr), i caccia americani sorvolavano la zona, ma non sono mai intervenuti”.
Fonti locali riferiscono di case e abitazioni occupate e bruciate dall’Isis: quattro uomini delle guardie locali rimasti uccisi negli scontri, mentre é stata data alle fiamme la chiesa di Al Shamiye, una delle più antiche della Siria.
Gli attacchi dei terroristi sono avvenuti per rompere l’assedio imposto alla zona strategica, Ras Alain, cittadina di confine con la Turchia, e riconquistare l’autostrada che collega le città siriane di Qameshli e Hasakeh, lungo la quale si trova Al Raqaa, dichiarata capitale dello Stato islamico.
Le forze di difesa assire sostenute dai raid aerei dell’esercito siriano hanno respinto i terroristi e si preparano alla controffensiva, mentre le forze di difesa curde avevano già ripreso il controllo di 20 villaggi negli ultimi giorni.
Si registrano intanto tensioni anche tra la Siria e la Turchia. La scorsa notte l’esercito turco è entrato in territorio siriano per evacuare il mausoleo dedicato a Suleyman Shah, nonno di Osman, fondatore dell’Impero ottomano, che morì annegato, nel 1231, mentre attraversava il fiume Eufrate, vicino la fortezza di Jaabar. Malgrado la salma non fu mai ritrovata, fu costruito un mausoleo in suo ricordo.
L’edificazione avvenne in un sito extraterritoriale, soggetto a sovranità turca a seguito di un accordo franco-turco del 1921 (durante l’epoca coloniale francese). Tuttavia la statua fu trasferita dalle autorità siriane nel 1972 dal luogo originale per consentire la costruzione della grande diga siriana.
L’intervento dei militari turchi a difesa della statua di Suleyman Shah è stato definito dal Governo di Damasco “una palese aggressione” per cui “Ankara ne risponderà”. Da segnalare che i miliziani dell’Isis, nonostante abbiano fatto saltare in aria decine di santuari, mausolei e tombe sacre in Iraq e in Siria, hanno sempre risparmiato il mausoleo, l’unico rimasto in piedi, anche se dista solo 100km dalla città siriana Al Raqaa, dichiarata capitale del cosiddetto Stato Islamico.
L’operazione dei militari turchi non è stata disturbata né da parte dei combattenti curdi di Kobane, né dall’Isis che controlla la zona, suscitando molti interrogativi. La Turchia è stata ad oggi l’unico Paese in grado di liberare i propri ostaggi dalle mani del cosiddetto Stato islamico: 49 persone sono state tratte in salvo tra diplomatici e loro familiari, sequestrati presso il consolato turco a Mosul dopo l’assalto dell’organizzazione terroristica alla città irachena.
Il Governo turco ha subito precisato che quella della scorsa notte è solo un’operazione temporanea, e presto costruirà un mausoleo nuovo, sempre però sul territorio siriano, a 200 metri dal confine turco nei pressi di Aein Alarab (Kobane).
Alla Turchia di Erdogan viene attribuito un ruolo ambiguo, visto il rifiuto di partecipare alla Coalizione guidata dagli Stati Uniti. Anche l’opposizione turca accusa Erdogan e il suo partito di condurre politiche dannose a scapito della stabilità e della sicurezza interna al Paese, attraverso il sostegno ai gruppi armati in Siria.
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]]>Tra i primi a condannare l’attentato ed esprimere le condoglianze per le vittime, schierandosi per la libertà d’espressione attaccata,è proprio l’Arabia Saudita.
La stessa Arabia Saudita dove oggi viene eseguita in pubblico la condanna allo scrittore e attivista saudita Raif Badawi, accusato di apostasia, avendo osato mettere in discussione alcuni concetti della religione islamica, e per aver esercitato il diritto sacro santo della libertà d’espressione.
“Raif é stato arrestato il 17 giugno 2012 senza nessun fondamento legale, ma su falsità e accuse infondate”, racconta Ansaf Haidar, sua moglie e compagna di vita, intervistata da ZENIT.
“Dopo un processo sommario, è stato condannato a dieci anni di carcere, 1000 frustate e una multa di un milione di rial sauditi (circa 200 mila euro), con il divieto di espatrio e di esercitare la scrittura, per altri dieci anni dopo l’uscita dalla prigione”, prosegue Haidar.
Raif Badawi sarà sottoposto proprio oggi alle prime 50 delle 1000 frustate cui è stato condannato. Le 50 frustate saranno somministrate in pubblico, dopo la preghiera del venerdì, all’esterno della moschea di al Jafali nella città di Gedda. Le restanti 950 frustate saranno eseguite nelle 19 settimane successive.
Il 1° settembre 2014 la corte d’appello di Gedda ha giudicato Badawi colpevole di aver creato e amministrato il forum di discussione “Liberali dell’Arabia Saudita” e di aver insultato l’Islam.
Le organizzazioni internazionali per i diritti umani, che hanno in diverse occasioni, sollecitato le autorità saudite a non procedere all’esecuzione della pena e a rilasciare immediatamente e senza condizioni Raif Badawi, considerato un prigioniero di coscienza.
Raif lascia oltre alla moglie Ansaf, tre bambini, che non riescono a capire, perché loro padre, che non ha ucciso nessuno, sia stato condannato, detenuto e oggi fustigato: “Siamo tutti molto colpiti e provati, sopratutto i bambini che soffrono molto per loro padre, anche se cerco di alleviare questo dolore, dando loro il più possibile una vita normale e serena nel nostro asilo nel Quebec, in Canada”.
Le frustate, così come altre forme di sanzione corporale, sono vietate dal diritto internazionale. Ma perché l’Occidente tace e l’Europa fa finta di nulla, senza prendere una posizione chiara sulle continue violazioni dei diritti umani in Arabia Saudita?
Il Petrolio, replica Haidar con una sola parola. “Malgrado questo silenzio complice – spiega la donna – ci sono delle posizioni di solidarietà da diversi paesi, ma non c’è speranza che le situazione politica e sociale in Arabia Saudita cambi, visto che la religione controlla la vita privata delle persone e detta le sue regole”.
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]]>The post Al via "Operazione Arcobaleno" dell'Esercito siriano per liberare Aleppo appeared first on ZENIT - Italiano.
]]>La battaglia finale, parte da ovest dalla zona di Handarat, e proseguirà fino a riprendere il totale controllo della area di Castelo, arteria principale della città, isolando così i combattenti, che occupano la zona, che si estende verso Huraytan e Anadan. Nelle ultime ore, l’esercito siriano è riuscito ad afferrare un duro colpo ai combattenti, riprendendo il controllo di Mazarea Almallah, alle porte di Aleppo, provocando decine di morti e distruggendo loro veicoli pesanti.
Si attende ora una svolta significativa nella battaglia del Nord, iniziata due anni fa, quando i gruppi armati invasero Aleppo dalla provincia, occupando alcune zone dentro la città. In questo momento l’unica via d’uscita per i combattenti, sarebbe il loro ritiro, dopo aver perso diverse postazioni, uomini e munizioni, oltre al fallimento totale nel unire le forze, e fermare il sanguinoso scontro interno tra i vari gruppi armati di Al Nusra, Ahrar Al Sham e Jaysh Al Mujahidin.
Difficile capire per ora se l’Esercito siriano intendo entrare direttamente nei quartieri occupati dai combattenti, dove sono rimasti circa 200 mila abitanti isolati, e da dove partono razzi e colpi di mortaio sulle zone residenziali nel resto della città. I cittadini aleppini attendono ansiosi l’arrivo dell’esercito siriano per porre fine alla loro tragedia quotidiana.
Politicamente la crisi siriana è stata anche al centro dell’incontro svolto a Roma, tra il ministro degli Esteri russo Lavrov e suo omologo americano Kerry, e in particolar modo il piano di Aleppo dell’inviato delle Nazioni Unite in Siria, Steffan De Mistura, che prevede il congelamento dei combattimenti, come primo passo per cercare una soluzione politica. Un piano accolto da Damasco, che ha chiesto le garanzie sul rispetto dell’eventuale accordo da parte dei gruppi armati, completamente fuori controllo.
D’altro canto l’opposizione siriana all’estero – cercando di incassare altri vantaggi, e preoccupata per la sorte dei combattenti intrappolati ad Aleppo – ha posto la condizione che questo piano riguardi non solo Aleppo, ma contemporaneamente altre zone di conflitto prima dei colloqui di pace.
Durante la riunione del Consiglio dei ministri degli Affari Esteri Ue a Bruxelles – alla quale era presente l’Alto Rappresentante Ue per gli Affari esteri, Federica Mogherini – Francia e Gran Bretagna hanno espresso loro dubbi sulla possibilità di attuare il piano di De Mistura, sostenuto dalla Russia, ostacolato dalla Turchia e dai Paesi del golfo, nel timore che possa avvantaggiare il governo siriano e porti al ripetersi dello scenario accaduto a Homs, con l’uscita dei combattenti, dopo aver deposto le armi, e il ritorno della città libera.
I ministri europei non hanno perso tempo approvando altre nuove sanzioni sulla Siria, vietando vendita e rifornimenti a tutti i voli siriani, e colpendo, in questo modo, le forze aeree impegnate nella guerra al terrorismo in diverse zone del paese. Malgrado le posizioni contraddittorie, in una Europa traumatizzata dalle minacce di terrorismo e impegnata nella coalizione contro i terroristi Is, il suo ruolo risulta molto discutibile. Essa non viene considerata dai siriani un partner adatto a giocare un ruolo di mediazione, essendo schierata dall’inizio da una solo parte, chiudendo qualsiasi rapporto d canale, almeno ufficiale di dialogo con Damasco. Resta il fatto che l’accelerazione degli sviluppi sul campo, detterà nuove condizioni, e ridisegnerà qualsiasi piano politico in futuro per la pace in Siria.
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]]>La crisi diplomatica con Doha può ritenersi dunque appianata. La causa scatenante era stato il protagonismo assoluto ostentato dal Qatar, uno dei Paesi più ricchi della regione, che si è rivelato in una politica estera che gli altri Paesi del Golfo avevano considerato dannosa ai loro interessi e agli equilibri politici dell’area.
Il Qatar, sovente accusato di un silenzioso sostegno a diverse formazioni islamiste, è stato accostato anche al Movimento dei Fratelli Musulmani, messo al bando da diversi Paesi arabi giacché considerato organizzazione terroristica.
Proprio questo rapporto privilegiato con i Fratelli Musulmani é stato uno dei motivi dell’isolamento di Doha, la quale ospita i loro leader. Doha che inoltre rappresenta, insieme al suo principale alleato, la Turchia, una seria minaccia alle politiche saudite a sostegno del potere di Al Sisi in Egitto e in tutto il Medio Oriente. All’interno di questo scacchiere si collocano poi le dichiarazioni dell’Isis secondo cui l’Arabia Saudita sarebbe il loro prossimo obiettivo bellico.
Uno degli elementi che ha particolarmente spinto il Qatar a rivedere la sua politica, è stato la pubblicazione da parte degli Emirati Arabi di una “lista nera” composta di ottantatre enti religiosi e movimenti politici dichiarati organizzazioni terroristiche. In cima compare il Movimento dei Fratelli Musulmani e l’Unione mondiale degli ulema islamici.
Quest’ultima organizzazione, nata a Londra nel 2004, è guidata dallo sceicco egiziano Yusuf Qaradawi, residente in Qatar, presidente dell’Unione e noto propagandista di Al Jazeera. Qaradawi aveva dichiarato recentemente illecito combattere l’Isis, rivelando che Al Baghdadi, capo dell’organizzazione terroristica, è affiliato ai Fratelli Musulmani.
La lunga lista comprende 23 brigate legate ad al Qaeda che combattono tra le fila dell’opposizione contro il governo siriano, come Ahrar Al Sham e Al Nusra. Accanto a queste organizzazioni impegnate sui campi di battaglia, ve ne sono altre che sono considerate luogo di raccolta di denaro per finanziare i terroristi con armi o per reclutarli: tra loro spiccano l’Unione delle organizzazioni islamiche in Europa e diverse organizzazioni islamiche europee, tra le quali anche l’Alleanza Islamica d’Italia.
La pubblicazione di questa lista da parte degli Emirati Arabi e la frattura risanata tra Paesi del Golfo e Qatar, sono due elementi che potrebbero rappresentare una svolta capace di coinvolgere tutto il Medio Oriente. Un ricco canale di finanziamento nei confronti dei terroristi si avvia verso la chiusura?
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]]>Questa è oggi la situazione in diverse zone liberate dai gruppi armati in Siria, come ci racconta mons. Mtanious Haddad, Procuratore del Patriarca Greco-Melkita-Cattolica, Rettore della Basilica di Santa Maria in Cosmedin a Roma, e figlio di Yabroud, cittadina liberata dopo una dura battaglia tra l’esercito siriano e i gruppi estremisti.
“Sono fiero di essere di Yabroud, dove vivono da secoli insieme cristiani e mussulmani – ha dichiarato Haddad a ZENIT -. Dopo l’assalto dei gruppi armati arrivati da fuori, all’inizio alcuni mussulmani hanno difesa la chiesa e il santuario mariano e non hanno abbandonato loro concittadini cristiani, ma alla fine tutti hanno lasciato il paese. Gli estremisti prima di scappare avevano saccheggiata e rubata tutto e se ne sono andati, ma oggi le famiglie sono ritornate per ricostruirla”.
Il terrorismo che denunciavano i siriani oggi è un pericolo e una realtà evidente. Cosa è accaduto?
Il nostro timore è che l’estremismo travolga tutto: oggi si è trasformato in un dato di fatto. La Siria, dal primo istante, gridava al mondo che quel che accadeva non era uno scontro religioso, né una guerra civile. Le cose erano evidenti e la Siria era una dei primi paesi che aveva intuito il momento storico. Il terrorismo era la base della cosiddetta Primavera araba, propagandata per camuffare l’estremismo religioso e il terrorismo islamico. Non dobbiamo aver paura di dire chiaramente che c’è un terrorismo islamico, un terrorismo che vuole minare la convivenza civile, di cui la Siria era l’esempio, perciò era diventata l’obiettivo di un terrorismo sostenuto dall’Arabia Saudita, Qatar e Turchia sotto una copertura internazionale con la scusa dei diritti umani e della democrazia.
Una coalizione di alcuni paesi guidata dagli Stati Uniti, è nata per affrontare il terrorismo, e colpire lo Stato Islamico. Ci stanno riuscendo?
Questo è ciò che viene chiamato ipocrisia politica. Quando gli Stati Uniti, sostenevano i gruppi terroristi contro Assad, si giustificavano affermando che volevano dare al popolo siriano la libertà nel nome della democrazia, quando poi, oggi, vanno a colpire gli stessi gruppi terroristici in Iraq, della stessa matrice. Che differenza c’è tra Al-Qaeda in Siria e Al-Qaeda in Iraq? Nessuna. Lo stesso caso della Francia, che colpisce i terroristi in Mali e, allo stesso tempo, fornisce armi ai terroristi in Siria. Questa è l’ipocrisia politica.
Questa coalizione vuole colpire i terroristi anche in Siria, senza coinvolgerla, e senza il suo consenso. Come è possibile?
In Siria non c’è una guerra di religione. Cristiani e mussulmani, insieme sotto la guida dello Stato, stanno combattendo il terrorismo. Oggi la verità si è rivelata: la Siria e il Presidente siriano Assad, da quattro anni, combattono il terrorismo islamico. Allora come è possibile colpire gli stessi terroristi contro cui combatte la Siria senza coordinare le operazioni con essa? Bisogna avere l’umiltà di ammettere i propri errori e le proprie colpe. Bisogna dire al mondo: abbiamo sbagliato a ritirare i nostri ambasciatori da Damasco, abbiamo sbagliato ad armare questi gruppi, sostenendo il terrorismo; facciamo una conferenza di riconciliazione, sediamoci attorno ad un tavolo per chiarire come affrontare il pericolo del terrorismo. Si dice sempre che in politica non esiste un amico o un nemico per sempre, allora mettiamo in pratica questo principio. Bisogna ammettere che il Presidente Assad aveva ragione e, insieme a lui, dobbiamo affrontare il terrorismo.
La coalizione c’è ma ha escluso Siria e Iran, due paesi in prima linea nella guerra al terrorismo e diretti interessati in ciò che accade in Medio Oriente…
C’è bisogno di una coalizione mondiale ampia, nel nome della verità, non serve più lo scontro personale tra il Presidente Assad e il Presidente Obama o Hollande, né tra Siria e Usa o Francia o altri. La verità evidente è che, con l’espansione dell’estremismo islamico sotto il nome del Califfato, l’obiettivo vero è eliminare tutti quelli che non sono musulmani estremisti. La seconda verità è che questo terrorismo, prima o poi, arriverà in Europa, anzi, è già arrivato. Abbiamo tutti i giorni notizie e casi di aggressioni contro le forze dell’ordine, di cellule estremiste che fanno il reclutamento di combattenti e jihadisti e li mandando in Siria, mentre in Gran Britannia e Olanda ritirano i passaporti a cittadini inglesi, coinvolti nel terrorismo. Allora perché non uniamo le forze della gente di buona volontà per affrontare questo pericolo? Questo terrorismo sostenuto da alcuni paesi islamici, per eliminare tutti quelli che non sono mussulmani estremisti. Con due milioni di dollari al giorno di introiti dall’esportazione di petrolio, hanno comprato le coscienze, le armi e le persone. Dunque il nemico è uno, ed è questo terrorismo da affrontare per garantire la vita dignitosa e la libertà a tutti: sciiti, cristiani, armeni curdi, yesidi e, in primis, ai mussulmani che non sposano l’ideologia dell’estremismo.
La chiesa siriana è stata la prima a suonare l’allarme sul pericolo che travolge i cristiani in Siria. Com’è la loro situazione attuale?
La Siria è stato una dei primi paesi arabi a togliere dalla carta d’identità la religione, perché avevamo superato questo distinzione a favore di una cittadinanza paritaria, ma poi, come il diavolo, è arrivato questo terrorismo, che rifiuta tutto ciò che è carità e accettazione della diversità e della convivenza civile. Spero che torni presto come era prima. Non nascondo che abbiamo perso tante nostre famiglie cristiane, che hanno scelto di lasciare il paese. Quelli che si sono spostati in Libano e in Giordania, di certo ritorneranno, mentre sarà più complicato per quelli che sono andati in Canada e negli Stati Uniti. La sicurezza e la pace in Siria sono l’unica garanzia per i cristiani in Medio Oriente. Negli ultimi anni è stata minata la convivenza civile tra mussulmani e cristiani, una convivenza di cui noi siriani andavamo fieri, essendo un esempio per tutto il Medio Oriente.
Perché l’invito della Francia ad accogliere i cristiani ha fatto infuriare i vescovi del Medio Oriente?
Noi cristiani non mendichiamo la misericordia da nessuno, vogliamo vivere nel nostro paese, con dignità e convinzione, cittadini veri, con pari diritti e doveri. Non chiediamo a nessuno di accoglierci e salvarci, perché, facendolo, realizzerebbe il piano dei terroristi: svuotare il Medio Oriente dai cristiani, trasformandolo in uno Stato Islamico estremista, così poi dichiara la guerra contro i cristiani in Occidente.
Ricordo le sante parole di Papa Francesco: “Non possiamo immaginare il Medio Oriente senza i cristiani”. La presenza dei cristiani è garanzia per tutti e, in particolare, per nostri confratelli mussulmani, quelli veri che credono nel loro Corano e vivono con pace la loro fede. Il terrorismo minaccia prima di tutto il vero Islam. Spero che i siriani ritornino ad essere uniti come prima, e che l’Occidente capisca che la Siria non ha bisogno di qualcuno che la difenda, ma di qualcuno che la aiuti non solo a fermare il terrorismo ma a sradicarlo definitivamente.
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]]>The post Arabia Saudita: arrestati 27 indiani cattolici perché pregavano dentro casa appeared first on ZENIT - Italiano.
]]>Non si trattava infatti di una cellula criminale, bensì di un gruppo di lavoratori stranieri, tutti indiani di fede cristiana, che avevano trasformato una loro abitazione nella zona di Khafaja, in Riyad, in un luogo di incontro e di preghiera, violando la legge saudita che vieta di praticare le religioni non musulmane sul proprio territorio.
Gli uomini e le donne sono stati colti sul fatto, arrestati e condotti in prigione; con loro sono stati sequestrati vangeli, libri di preghiera e strumenti musicali. L’operazione è stata condotta dal Comitato per l’imposizione della virtù e l’interdizione del vizio, la polizia religiosa saudita, conosciuta con il nome arabo Mutawaa ed impegnata da anni con fervore a far rispettare la Sharia, la legge coranica.
Due anni fa aveva suscitato tanto clamore la Fatwa rilasciata dal Gran Mufti saudita, che confermava il divieto di costruire chiese e invitava a demolire quelle esistenti nella penisola arabica, con la motivazione che su quel territorio non potessero coesistere due religioni, basandosi sulle scritture sacre islamiche.
L’Arabia Saudita, in realtà, è l’unico paese al mondo dove è vietato per legge la costruzione di luoghi di culto e di chiese. Una chiara violazione, questa, della libertà di religione, che va contro tutte le convenzioni e le leggi sui diritti internazionali e che nega di fatto ai tanti lavoratori ed immigrati residenti, provenienti dai paesi asiatici e dal Medio Oriente, cristiani, cattolici e ortodossi, e indù di praticare la propria fede.
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]]>The post Dopo 500 giorni, ancora nessuna traccia dei due arcivescovi rapiti in Siria appeared first on ZENIT - Italiano.
]]>I due arcivescovi sono stati prelevati sull’autostrada che collega la città Aleppo al confine turco siriano, mentre rientravano dalla Turchia. Rabbia e angoscia hanno segnato sin dai primi giorni, la comunità cristiana siriana per il destino dei due presuli molto amati e stimati dai fedeli.
Ibrahim, vescovo di Aleppo della chiesa Siro ortodossa, è infatti uno dei principali esponenti delle Chiese Orientali in tutto il Medio Oriente; Yazji è invece il fratello dell’attuale Patriarca Greco Ortodosso in tutto il mondo e Capo della più numerosa comunità cristiana in Siria.
Era chiaro sin dall’inizio che i rapitori erano a conoscenza della importanza di cui godevano le loro vittime; anzi, con il senno di poi, appare chiaro che tutto fosse stato progettato nei minimi dettagli. Di fatto, in tutto questo tempo non è trapelata alcuna informazione sull’identità dei rapinatori, né sul luogo e sul destino delle vittime, tantomeno sono state avanzate richieste di risarcimento o riscatto.
L’obiettivo è dunque politico. Ovvero traumatizzare le comunità cristiane in Siria, spaventarle e costringerle ad abbandonare il paese. Una tattica che rientra nel tentativo degli estremisti di svuotare il Medio Oriente dai cristiani, cittadini autoctoni e proprietari di quelle terre.
Diverse volte si era accesa la speranza per le trattative in corso, grazie alla mediazione del Qatar che, in diretto contatto con i gruppi armati, era già stato protagonista del rilascio delle monache di Maloula rapite dai terroristi di Al Nusra, gruppo affiliato ad Al Qaeda.
Malgrado i forti rapporti della Turchia con diversi gruppi armati, i negoziati tuttavia non hanno portato a nulla. Dei due arcivescovi fino ad oggi non c’è nessuna traccia e quelli che erano gruppi armati e combattenti d’opposizione nel frattempo si sono trasformati in uno Stato Islamico, con un Califfato, organizzato, attrezzato, super armato, considerato uno dei più ricchi gruppi terroristici al mondo.
Il silenzio assordante dell’Occidente su questi crimini in Siria, oggi sotto una grave minaccia di terrorismo, scuote le coscienze dei cittadini europei e accende forte dibattito sulle politiche adottate dai propri governi sull’altra sponda del Mediterraneo.
Allo stesso tempo, spinge tanti siriani a non credere alle superficiali e apparenti preoccupazioni di Usa e Europa sul destino delle minoranze etnico religiose e dei cristiani d’Oriente soprattutto, attualmente le vere vittime del terrorismo.
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]]>The post "Se crollasse la Siria, per il Medio Oriente sarebbe una catastrofe" appeared first on ZENIT - Italiano.
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Quale è la situazione della popolazione civile oggi in Siria?
Dipende dalla zona, la situazione varia varia da un posto all’altro, in alcune zone la gente vive in sicurezza lontana dagli scontri, realisticamente tranquilla, anche se tutti i siriani sono stati colpiti, sia personalmente, sia per la presenza di altissimo numero di sfollati. Le zone degli scontri sono invece molto più pericolose, distrutte e danneggiate. Ad esempio ad Aleppo manca tutto: acqua, corrente, combustibili, aumento spropositato del costa della vita, sommata ad una totale disoccupazione. Gli unici che riescono oggi ad arraggiarsi sono gli impiegati statali e i pensionati, mentre tutti gli altri vivono di aiuti e sussidi. Immaginate un padre di famiglia che arriva la sera senza poter comprare la cena ai suoi figli! Ovviamente tutto ciò unito alle minacce quotidiane di razzi e colpi di mortaio, a case distrutte e una lista quotidiana di vittime. Tutti i giorni contiamo decine di vittime civili perfino nei quartieri cristiani.
Dopo quattro anni l’Occidente si è accorto che le minacce ai cristiani del Medio Oriente sono una realtà? Ma quale è la vera minaccia?
Mi domando se davvero l’Occidente è preoccupato per le minacce ai cristiani in Medio Oriente. E’ un punto interrogativo. Il pericolo più grande è l’espansione dell’estremismo: l’esempio più eclatante è il cosiddetto Stato Islamico, che rappresenta oggi un vero pericolo non solo per i cristiani, ma per tutte le minoranze etnico religiose, oltre all’Islam moderato. I cristiani di Aleppo ad esempio vivono quotidianamente con il timore e la paura, perché l’IS è a solo 20km di distanza dal centro della città. Se mai l’Is dovesse arrivare ad Aleppo, una città già di per sè molto complessa, non ci sarà scampo e sarà una distruzione totale.
L’Occidente teme più per la sorte dei crisitiani o per i propri interessi?
Per me l’Occidente di sicuro non è preoccupato per i siriani cristiani, perché in quattro anni quando erano davvero in pericolo nessuno ha mosso un dito. Anzi, ci accusavano di essere schierati, di stravolgere le realtà, di dire il falso, e che sbagliavamo in tutto. Se si sono mossi oggi è per altri motivi. In Occidente si mobilitano tutti per salvare un animale minacciato di estensione e proteggere il suo habitat, mentre intere popolazioni etniche e religiose vengono sradicate dalle loro terre d’origine dove vivono da secoli, e nessuno apre bocca.
Quale è la situazione dei villaggi cristiani nella provincia di Idlib?
A Ghassaniyeh la presenza dei cristiani è stata cancellata totalmente, non sappiamo nulla delle chiese e dei conventi, se sono stati distrutti, bruciati o saccheggiati. Nelle altre tre Kunayeh, Yakibiyeh e Jidayde è rimasto un piccolo nucleo di famiglie crisitiane: circa 700 persone con due frati, che servono loro parrocchiani spiritualmente e socialmente. Le parrocchie cattoliche e quelle ortodosse sono rimaste invece senza nessuno. Quando sono entrati i jihadisti dello Stato Islamico, avevano ordinato nei villaggi di togliere tutti i simboli cristiani, croci, statue e immagini sacre, dentro e fuori le chiese e le abitazioni, obbligando le donne a coprirsi. Oggi invece sono sotto altri gruppi armati ma con il pericolo continuo dei saccheggi.
L’Occidente ha ignorato a lungo i timori della Chiesa in Siria. Essa, però, è divenuta oggi un punto di riferimento per tutti?
La Chiesa in Siria non è schierata politicamente, ha sempre addottato un posizione obiettiva perché raccontava la verità e la realtà dei fatti, anzi in tanti l’hanno accusata ingiustamente di essere di parte. Il suo obiettivo era salvaguardare il Paese e suoi cittadini, in particolare i cristiani, perché aveva una chiara visione di come sarebbero andate le cose. Ed eccoci oggi, vediamo cosa accade. Era una posizione profetica piuttosto che una posizione schierata. La Chiesa in Siria è attualmente molto vicina ai cittadini, sia cristiani che non; nessun vescovo ha lasciato la sua gente, nessun parroco ha abbandonato la propria parrocchia, le nostre possibilità sono limitate ma offiriamo soccorso ed aiuto concreto. Ospitiamo tutti i siriani sfollati senza distinzione: cristiani, cattolici, ortodossi, e musulmani. Il popolo siriano, abituato alla convivenza pacifica, oggi è coeso più di prima, e ha riscoperto in questi momenti difficili il vero volto della solidarietà, della carità e dell’accolglienza dell’altro, e forse questo è un segno in un mondo marchiato dall’individualismo e dal razzismo.
Perché oggi è fondamentale salvare la Siria?
Se crollasse lo Stato siriano, con tutto ciò che rappresenta – e non parlo di un governo, ma dello Stato Siria – sarabbe una vera catastrofe che devasterebbe tutto il Medio Oriente. Dobbiamo salvare la Siria, come Istituzione, come idea, con i suoi principi di convivenze, dialogo, moderazione, e diversità e questo ciò che tanti purtroppo non vogliono. La nostra speranza è forte come la nostra fede. Il mio destino, quello di questa comunità e di questo Paese, non è nelle mani di un singolo, né di una forze regionale, né di una potenza mondiale, ma nelle mani di Dio, e questo destino lo riprenderemo per ritornare ad essere testimonianza vivente per gli altri, in tutto il Medio Oriente.
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