Walter Ego, Author at ZENIT - Italiano https://it.zenit.org/author/massimo-losito/ Il mondo visto da Roma Fri, 16 Dec 2016 06:24:30 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.6.2 https://it.zenit.org/wp-content/uploads/sites/2/2020/07/02e50587-cropped-9c512312-favicon_1.png Walter Ego, Author at ZENIT - Italiano https://it.zenit.org/author/massimo-losito/ 32 32 Due cani da rapire. Anzi, da salvare! https://it.zenit.org/2016/12/16/due-cani-da-rapire-anzi-da-salvare/ Fri, 16 Dec 2016 06:24:30 +0000 https://it.zenit.org/?p=95315 In uscita il 15 dicembre, Natale a Londra, il nuovo film dei comici Lillo e Greg

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Voi che leggete ZENIT sapete che ci distinguiamo per le buone notizie. Ci sono grandi buone notizie e possono esserci anche piccole notizie, ma buone davvero. Anche l’uscita di un film può rappresentare una buona notizia. È il caso di “Natale a Londra”, della Filmauro, per la regia di Volfango De Biasi. Un film che diverte con intelligenza, mescolando sotto l’abile mano del regista, comicità, romanticismo, azione, avventura.
La sceneggiatura, composta e ordinata nella continuità narrativa, consente uno sviluppo corale degno di nota, e un coro, si sa, mette tutti in armonia ed esalta anche i singoli. E che ‘singoli’! Un cast d’eccezione con Lillo e Greg (Pasquale Petrolo e Claudio Gregori, per i pignoli e per l’anagrafe), Paolo Ruffini, Eleonora Giovanardi, Uccio De Santis, i giovani ‘Arteteca’ (Monica Lima e Enzo Iuppariello), e i ‘giovanissimi’ Enrico Guarneri, Nino Frassica e Ninetto Davoli.
Oltre a loro, che rappresentano la comicità italiana pluriregionale, dobbiamo sottolineare la presenza di Vincent Riotta, perfetto ‘villaine’ in stile 007, con uno scricchiolante braccio metallico che a Lillo è rimasto molto bene impresso in mente e …soprattutto in faccia! Infine nel cast è presente nientemeno che la stessa Regina di Inghilterra che impersona Patricia Ford (o forse è il contrario, adesso non ricordo bene: ho un dubbio sul Reale che meriterebbe un approfondimento filosofico). «Con un cast così – ha scherzato Frassica – dovremmo dire non ‘Dio salvi la regina’ ma … Dio salvi la regia!».
Effettivamente non era facile mettere insieme tante diversità, anzi «non è facile proprio oggi fare cinema –hanno ammesso i produttori Luigi e Aurelio De Laurentis -: il pubblico è cambiato e le esigenze fra le varie generazioni sono differenti, come lo sono i linguaggi».
Eppure con “Natale a Londra” la Filmauro è riuscita a realizzare un prodotto che soddisferà i gusti di varie generazioni di spettatori: magari realizzerà il miracolo di portare i genitori, con i loro figli e figlie adolescenti, e con i loro bambini tutti assieme in una delle oltre 500 sale in cui verrà proiettata la pellicola…
E ci starebbero bene anche i nonni! Perché, fra tentate rapine, sgangherate fughe, cucine con severi chef urlanti, quella che emerge nel film è proprio la famiglia: figli che ricercano la propria identità nel riconquistare la stima paterna, fratelli che si ritrovano «come ai vecchi tempi», genitori che lasciano strade storte e si mettono in gioco per salvare i figli (e i cani, diciamolo, i veri protagonisti della storia). «Con film come questo, il cinema può essere come quei centri benessere oggi molto di moda – ha affermato Paolo Ruffini – perché può far bene allo spirito, al cuore, all’anima».
Il tutto con l’umorismo intelligente che contraddistingue gli interpreti: le facce stralunate e gli ‘sfondoni’ di Lillo, l’ingenuità fanciullesca di Ruffini, cuoco alla “Ratatouille”, la personalità schizoide di Greg, che gioca col tema del doppio come Jerry Lewis nelle sue folli notti (ma questo è un pezzo forte di Greg, lo ricordiamo già così in alcuni brani dello storico gruppo musicale che aveva con Lillo, i “Latte e i Suoi Derivati”); non va dimenticata la ricchezza che deriva dall’apporto di ognuno degli altri artisti (non li cito solo per motivi di battute, e non intendo le loro, sempre perfette, ma quelle che io ho a disposizione per questo pezzo) e soprattutto gli esilaranti funambolismi verbali di un Frassica veramente ispirato.
«È un film autentico e sincero – ha dichiarato Lillo -» E prende come un complimento chi ha paragonato le loro ultime pellicole (Natale col boss e Natale a Londra) ai film dell’amato Bud Spencer: «Sono cresciuto con quei film, erano i punti di forza del cinema di intrattenimento degli anni ’70 e ’80, con quelle risse da cartoon mai veramente violente». (Dopo questa affermazione, alla conferenza stampa si è diffusa virale l’agenzia che nelle scene delle scazzottate erano gli stessi stuntmen che imparavano le più innovative arti marziali da Lillo, all’urlo di “chi mena per primo mena due volte”. La notizia è stata messa subito a tacere come una diceria. Il dubbio resta).
Unica stonatura è nella sigla finale. No, la musica è perfetta, come tutti gli oltre 90 punti musicali, alcuni dei quali in perfetto stile Henry Mancini (vedi Elda – scusate… messaggio per quella criticona di mia suocera – che ho fatto bene a indossare la cravatta con la Pantera Rosa?). Non poteva essere diversamente visto che le musiche sono curate da Attilio Di Giovanni e dallo stesso Greg, del quale, a proposito, è appena uscito un nuovo CD col suo gruppo, “The Frigidaires”.
La stonatura è perché …quella sigla finale ti sembra che arrivi troppo presto: Natale a Londra è una gran bella favola e vorresti dire al regista: «No, dai, non finire qui… lasciaci sognare ancora!».

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"Con-Nessi" si vive veramente https://it.zenit.org/2016/11/17/con-nessi-si-vive-veramente/ Thu, 17 Nov 2016 06:55:02 +0000 https://it.zenit.org/?p=92542 Continua la tournee teatrale dell'artista Alessandro Bergonzoni, a Roma fino al 20 novembre

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È in scena a Roma al teatro Vittoria, fino al 20 novembre, «Nessi», scritto e interpretato da Alessandro Bergonzoni, diretto insieme a Riccardo Rodolfi.
Chi conosce lo stile unico del grande artista, maestro del calembour, sa quanto sia difficile descrivere la trama dei suoi spettacoli. Eppure in questo caso, in un’opera che parla di nessi, cioè di connessioni, ci accorgiamo al termine che l’andamento apparentemente disordinato delle parole (che ci trascinano dalla Russia al Giappone, dall’Honduras a Malpensa, da dove arrivano i “malpensanti”) ha costruito sotto i nostri occhi una trama, nel più genuino senso della parola: fili che si intrecciano per ridisegnare un tessuto, quello umano.
Un occhio al microscopio vede bene la pelle, i muscoli, i tessuti dell’uomo. Ma è l’artista a volte che vede il tessuto più profondo della natura umana: l’etica è veicolata dalla poetica. Ed ecco che Bergonzoni traccia uno spettacolo che non solo ha una trama, ma ha persino un ordito, perché il fili orizzontali del racconto si raccordano invisibilmente a fili verticali che ci portano verso l’altezza e la profondità della realtà umana.
La sua inconfondibile voce calda rende duttile ogni parola, e così la può plasmare, trasformare, consentendole nuovi modi per veicolare concetti e temi importanti, seppur sempre fra tante risate: la paternità, la morte, l’a-socialità delle insufficienti connessioni virtuali dei moderni social network. «Commemoriamo come moriamo, e non pensiamo a come viviamo … si può morire di colpo, si può morire di colpe, si può morire senza accorgersene, e chi glielo dice allora ai tanti che credono di essere vivi e invece sono già morti?».
Per questo è tempo, per l’artista, di celebrare «un funerale ai vivi», è arrivato il momento non già di prepararsi alla morte, ma alla vita; non per caso, Bergonzoni è accompagnato in scena da tre incubatrici: è tempo di prepararsi a nascere, non da un uovo ma di nuovo.
Bergonzoni ci rende Bergon-nessi. Ci uniamo a lui, e a fine spettacolo (quando finalmente ci decidiamo ad andar via, dopo lunghi ed esilaranti ‘bis’) ci ritroviamo a pensare come lui: il surreale ci porta sul reale. E ci convinciamo che dovremmo aver paura non della morte apparente né di un morto tra i parenti, ma di una vita apparente, di un vivo tra parentesi: viviamo in una bolla, ma non una bolla di accompagnamento, piuttosto una bolla di isolamento. Viviamo così quando pensiamo di esser soli e invece dobbiamo essere ‘sole’, che illumina e dà energia.
Viviamo così, tornando allo spettacolo, quando celebriamo in lontananza l’eroismo di chi compie il dovere che gli spetta e dimentichiamo che l’eroismo è piuttosto fare il dovere che non ci spetta: «Siamo tutti, o dovremmo essere tutti, Falcone».
Viviamo così, quando pensiamo con orrore ai danni della bomba atomica, e non a quelli che provochiamo con la nostra «bomba anatomica», col nostro vivere isolati, dimentichi dei fili che ci legano gli uni agli altri, ieri e oggi. Non è una questioni di emozioni, ma di emanazioni, non è questione di feeling, ma questione di fili, come disse un altro maestro della parola (Frankie Hi-NRG). Viviamo d’istanti, moriamo distanti.
Bergonzoni non fa semplice retorica, lui che per primo ha ricostruito connessioni dove esistono pesanti apparenti separazioni: disconnessioni sociali, avendo a cura la situazione dei carcerati, o disconnessioni vitali, occupandosi di persone in coma, o con la sindrome locked-in.
Come entrare in relazione con questi stati di coscienza minima? Bergonzoni ha trovato che per entrare in questi stati, come per entrare in tutti gli stati,  occorre il passaporto: il passaporto dell’amore, il documento di riconoscimento di ogni Uomo, dove nei segni particolari si deve indicare non tanto il fatto di essere leali, quanto quello di avere le-ali.

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Un viaggio nel Cinema con Lorenzo Jovanotti https://it.zenit.org/2016/10/18/un-viaggio-nel-cinema-con-lorenzo-jovanotti/ Tue, 18 Oct 2016 06:25:15 +0000 https://it.zenit.org/?p=89321 Nell'Auditorium di Roma, una serata con il celebre cantautore per la Festa del Cinema

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L’incontro con Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, alla Festa del Cinema di Roma lo scorso lunedì è un viaggio nel cinema. Nel ‘suo’ cinema: quello che ha contribuito alla sua formazione, alla sua crescita, a farlo diventare la persona e l’artista così tanto amato dal pubblico. Ma allo stesso tempo è un viaggio per fare amare quel cinema ai tanti, più di mille persone, intervenuti alla Sala Sinopoli dell’Auditorium di Roma e a quanti tramite loro si appassioneranno alle proposte del cantante.
Un viaggio fatto di 15 spezzoni di film scelti da Lorenzo, che si presenta non definendosi come un cinefilo, ma semplicemente come “un ragazzo del ’66 cresciuto coi film”. Dal percorso che facciamo con lui, però, ci accorgiamo che c’è molto di più: nel dialogo con Antonio Monda, perfetto padrone di casa, vero ambasciatore della cultura italiana, il “ragazzo fortunato” mostra di conoscere registi, attori e linguaggi propri della comunicazione filmica come un grande esperto.
Si scusa fin dall’inizio per aver escluso dalla sua breve rassegna film o registi di grande spessore che pure ha molto amato, quali Sergio Leone, Roberto Benigni, Robert Lee Zemeckis, Alejandro González Iñárritu.
Il racconto per immagini parte da The Blues Brothers, di cui apprezza la gioia che trasmette, gioia che era evidentemente presente sul set, e continua con la trascinante camminata de La febbre del sabato sera, definita come una vera epifania musicale: una “improponibile macedonia” che però dà il via a qualcosa di nuovo e che solo lo spirito umano può percepire.
Di Quentin Tarantino, che apprezza tutto, mostra Kill Bill, che, al di là di tutti i piani di lettura tipici del regista e della giostra visiva che è in grado di creare, è «la storia dell’amore più grande del mondo, la storia di una madre alla conquista della figlia».
De I 400 colpi (François Truffaut), ricorda l’assonanza con la sua vita: il racconto dell’immensa solitudine di un bambino, che lo aiutava a sentirsi meno solo, e a trasformare la solitudine in una apertura a tutti i possibili: solitudine come libertà di un inizio.
Toccanti sono i passaggi a dedicati al recentemente scomparso Bud Spencer (Altrimenti ci arrabbiamo: la semplicità e la bellezza dei valori umani quali l’amicizia) e alla dolorosa vicenda di Francesco Nuti (Io, Chiara e lo Scuro: una delicata poesia). Attraverso questo breve viaggio troviamo dunque l’idea che il cantautore ha di sé, del mondo, dell’uomo, di Dio.
Come nella dolorosa vicenda di Stand by me (Rob Reiner, 1986) che ripropone con forza il dramma dell’uomo, la cui vita è apparentemente sottomessa al caso: perché non sembra esserci giustizia nel mondo? e come poter vivere di fronte a tale drammaticità? Ma la risposta che Lorenzo trova attraverso questa pellicola “non è rinunciare a vivere ma vivere il doppio”.
Stranamente, del grande Francis Ford Coppola Jovanotti propone un flop, Un sogno lungo un giorno; in realtà, nella lettura di Lorenzo, questo film prosegue il percorso del regista dopo Apocalypse Now. Infatti nello spezzone di film proposto, nel buio che sembra avvolgere la vita di un uomo, si accende una luce, ed “è solo la donna in grado di accendere una luce nella vita dell’uomo”;  e infatti non sarà più come in Apocalipse Now la parola “orrore” ad essere l’ultima parola, bensì è la parola “amore” ad avere la vittoria.
Cita poi Yuppi Du, il recente Timbuktu, Taxi driver, Mad Max. Unica animazione (ma Lorenzo testimonia pure grande amore per i capolavori Pixar) è La città incantata di Hayao Miyazaki; un racconto di formazione, la crescita di una ragazzina, che passa attraverso il dramma della scoperta della fallace umanità dei genitori, per accedere alla umana maturità proprio mediante questo disincanto: un film che Lorenzo non ha avuto remore di guardare e far amare proprio a sua figlia.
Del Rublëv di Andrej Tarkovskij, vera “poesia per immagini”, Jovanotti apprezza il disegno dell’umano che ne emerge, l’uomo come “potenziale inespresso”, che ricorda quell’uomo che è “sempre qualcosa in meno di un uomo”, e allo stesso tempo è sempre “qualcosa più di un uomo”, come lui stesso canta in un suo testo.
Il viaggio si conclude con Amarcord di Federico Fellini, «da cui ho preso l’ispirazione per la canzone Le tasche piene di sassi».
Il matto del film, lo zio Teo (Ciccio Ingrassia), afferma Lorenzo «come dice il nome, è una rappresentazione di Dio», il cui pensare non è il nostro pensare, le cui vie – potremmo dire –  non sono le nostre vie. E con molta confidenza racconta della presenza nella sua famiglia di una zia diversa, non autosufficiente,  rimasta bambina anche da adulta: un elemento di «destabilizzazione amorevole cui tutti volevamo molto bene, sorprendente come era. Vedendo Amarcord ho capito che la presenza dell’irragionevole in una famiglia è un dono che Dio ci fa».
Non a caso il percorso del cantante si ferma qui. Un viaggio nella sua vita ma anche il viaggio che ogni uomo deve fare verso le profondità di sé per poi proseguire verso l’altro, verso l’oltre, verso l’Alto.
 

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Mamma sei sempre nei miei pensieri. Spostati! https://it.zenit.org/2016/09/25/mamma-sei-sempre-nei-miei-pensieri-spostati/ Sun, 25 Sep 2016 05:29:42 +0000 https://it.zenit.org/?p=86818 Un divertentissimo monologo di Cinzia Leone sul distacco dalla ‘mammità’

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«Ecco sono arrivata, mi lasci pure qui». Non si presenta sul palco, Cinzia Leone, ma arriva prendendoci alle spalle: sorprendendoci, fin dall’inizio dello spettacolo da lei scritto (insieme a Fabio Mureddu), dal titolo «Mamma sei sempre nei miei pensieri, spostati!», in scena a Roma al Teatro degli Audaci fino a domenica 25 settembre.
Non arriva in auto, né in taxi… «Perché, voi viaggiate ancora in macchina a Roma? Io mi faccio portare da un’ambulanza! Niente traffico, niente stress da parcheggio…un’ambulanza: è l’unico modo, dice, per minimizzare la gastrite!».
E nello spettacolo ci porta lungo un percorso nella storia e nella preistoria proprio della gastrite e della colite, che infatti non sono, secondo la nota attrice, un male moderno. Sono mali antichissimi perché antichissima ne è la fonte primordiale… la ‘mammità’: quella presenza indispensabile ma a volte ingombrante della mamma nella vita di ogni figlia. O meglio la trasmissione inevitabile di tutte le ansie e le paure della mamma che diventano le ansie e le paure della figlia, che a sua volta diventerà mamma, e trasmetterà le ansie e le paure a sua figlia e così via.
Come rappresentare efficacemente tutto questo, in modo ironico e brillante, in un’opera teatrale? In un modo geniale: impedendo alla stessa opera di svolgersi, interrotta in continuazione dalle ripetute telefonate ansiogene e lievemente ricattatorie della mamma di Cinzia, che poi è impersonata dalla stessa attrice che dialoga ‘con se stessa’ mediante esilaranti contributi video.
Sono molti i temi che vengono trattati durante lo spettacolo, ma tutti conducono alla imprescindibilità del taglio di quel cordone ombelicale che rischia di limitare la vita di ognuno di noi, lasciando in circolo nel nostro sangue, nella nostra mente le paure paralizzanti di tutte le generazioni precedenti.
La conclusione è spiazzante e regala un finale commovente, dopo ininterrotte risate. Cinzia, figlia ormai matura, urla le sue necessità di libertà alla madre, pur chiedendole perdono. Non rinnega affatto le origini: a ben vedere, infatti, è anche l’amore della madre, che diventa l’amore della figlia, e la figlia poi diventerà anche lei una madre che trasmetterà amore, in una ininterrotta catena di vita.
Così l’attrice, e lo spettatore con lui, arriva a comprendere che quello “spostati” del titolo della commedia rivolto alla mamma è una richiesta sbagliata. È proprio lei, Cinzia figlia, a doversi spostare dalle ombre della madre per vivere in pienezza. E lo farà, regalandoci un’ultima risata: «Mi sposto io mamma, ma stai serena, tanto lo sai che ogni volta che mi sposto…ti chiamo!».

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Cinzia, un Leone nella vita e sul palcoscenico https://it.zenit.org/2016/09/21/cinzia-un-leone-nella-vita-e-sul-palcoscenico/ Wed, 21 Sep 2016 04:40:04 +0000 https://it.zenit.org/?p=86420 Dal 22 al 25 settembre,  si esibisce a Roma al Teatro degli Audaci, con «Mamma sei sempre nei miei pensieri. Spostati!». Uno spettacolo che fa “ammazza’ da ride’!!”

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Alla fine degli anni ’80 era al culmine del successo e della celebrità. Poi nel 1991 arriva l’imprevedibile: la malattia, la temporanea paralisi, lo smarrimento di sé. Ma Cinzia Leone non si è arresa, per l’amore alla vita e alle cose che faceva.
Riprende con successo a calcare le scene, anzi dal 1995 concepisce un genere personale incentrato sulla traduzione in chiave comica della realtà, mettendo in scena spettacoli da lei scritti ed interpretati. In questi giorni, dal 22 al 25 settembre, si esibisce a Roma al Teatro degli Audaci, con «Mamma sei sempre nei miei pensieri. Spostati!»
ZENIT l’ha intervistata.
Partiamo dalla fine? Da questo «Mamma…»
Scritto con Fabio Mureddu, è uno spettacolo molto divertente sulla “mammità”. Tutti, senza rendercene conto, ereditiamo atteggiamenti, convinzioni, pensieri non per trasmissione genetica, ma per assimilazione di comportamenti. Questo non riguarda solo l’eredità materna, ma metaforicamente è la trasmissione culturale che ognuno ottiene da chi lo ha preceduto, società, costumi. E nel mio spettacolo non dico che tutto questo vada buttato, che ogni generazione debba cioè ricominciare da zero; dico che per crescere dobbiamo esaminare con capacità di giudizio critico quanto abbiamo ricevuto e ‘masticarlo’, adattarlo a ciò che realmente siamo o vogliamo essere. Altrimenti rischiamo di rimanere bloccati da paure e ansie che magari non sono nemmeno le nostre!
Hai scelto un teatro nella periferia romana, direi in linea con l’invito di Papa Francesco!
Sì, ho voluto farlo con forza, perché invece ad esempio la politica non ci aiuta ad uscire verso le periferie. Una politica, una società narcisistica, sensazionalistica che vive offrendo e cibandosi di immagini. In parte questo dipende dalla “esplosione democratica”, ad esempio consentita dal web. Viva la democrazia, certo: ma non eravamo preparati. Così quello che è accaduto è che ognuno è preoccupato solo dell’immagine che trasmette all’altro. Ma l’immagine è bidimensionale, abbiamo perso la dimensione più importante dell’umano che è la profondità. Andare in profondità significa cercare nelle cose orizzonti di senso, andare al significato. Se questa ricerca viene a mancare, se mi limito a vivere in superficie, sarò costretto a difendere solo la mia immagine. Così paradossalmente proprio la democrazia, dove ognuno può dire la sua, diventa un pericolo: la tua parola, se diversa dalla mia, diventa qualcosa che mi ferisce, come chiodi sulla pelle, finisce per incrinare la mia immagine, e dunque arriva a distruggermi. Nella società liquida, frammentata, perdere la dimensione dell’interiorità e la capacità di entrare in sé equivale a rinchiudersi in una volontà narcisistica che conduce ad una esteriorizzazione dei valori e dunque alla loro perdita. Eppure il problema profondo dell’umanità è proprio avere un valore, con quell’insopprimibile desiderio di ricevere uno sguardo di amore, di essere guardato da Dio.
…Ma tu non eri una attrice comica??
Certo, infatti nello spettacolo non si parla in questi termini ‘alti’, ma si ride di una situazione pretestuosa molto comica che è il rapporto con mamma; adoro quello che faccio, quando sono in scena è il momento migliore della mia vita. E oggi servono proprio i comici a far riflettere su temi importanti. Siamo in un momento tragico, di cambiamento, di crisi, ma l’errore è quello di pensare di risolvere sempre e tutto solo col mercato. Occorre invece un grande lavoro culturale e soprattutto occorre grande coraggio.
Col tema del coraggio torniamo dunque al distacco dalla ‘mammità’, dalle sue paure. In fondo qui sembra di sentire l’eco del versetto biblico «l’uomo lascerà suo padre e sua madre».
Io sono arrivata a capire questo analizzando la vita: la cosa che faccio di più è pensare.  Il pensare, riflettere mi aiuta a non perdermi nella banalità della volgarità.
La tua comicità infatti non è né banale, né volgare, né cattiva.
La risata non è necessariamente collegata con la cattiveria, semmai talvolta può avere a che fare col cinismo. In fondo oggi è facile far ridere: la gente ha un tale bisogno di serenità che se la compra anche finta.  Il mondo, infatti, è cambiato radicalmente da quegli anni ’80 quando cominciò la mia carriera –  e pensa che mi accorsi tardi che volevo e sapevo far ridere -. Ma, sebbene non ci sia una formula per la risata, quella più vera e liberatoria e quella che nasce dallo spiazzamento, da un impedimento, da una contraddizione che il comico ha solamente colto: è la vita stessa la madre delle contraddizioni. Questa è la mia esperienza in teatro e la chiave della mia espressione drammaturgica: un’inclinazione che mi aiuta a spostare l’angolatura nel modo di vedere e raccontare la realtà. Ma il momento creativo può essere difficile e frustrante, nell’incapacità di trovare una soluzione comica efficace. La vera creatività è nel saper affrontare le frustrazioni. Così come la vera abilità nei “tempi comici” non è in una regola matematica, ma nell’essere connessi ai pensieri di chi ti ascolta.
Questo ‘ guardar dentro’ sembra qualcosa che tu hai fatto e fai non solo con l’altro ma soprattutto con te stessa. È frutto anche dell’esperienza tragica della malattia? (Cinzia a causa di un aneurisma congenito ha avuto due emorragie cerebrali ,ndr)
Certo. Era il ’91, e io ero al massimo della celebrità, sia in TV che al cinema, basti pensare a registi come Monicelli e Verdone. Io ho negato quella malattia. Ma poi sono dovuta passare attraverso il mio dolore, in quell’inconscio ferito che non ritrovava in sé più nulla di quello che ero stata prima.  La perdita dell’identità è una delle più profonde tragicità dell’essere malato. Ma poi questa è diventata per me una grande opportunità per scoprire chi ero veramente. Ho capito che per non perdersi occorre continuare a cercarsi. Noi siamo esseri dinamici, liquidi -per tornare a Bauman- e allora il nostro essere umani consiste proprio nel metterci alla continua ricerca di noi stessi. Con coraggio.
Non a caso sarai al Teatro degli Audaci!
Mo’ basta però con le riflessioni profonde … guarda che lo spettacolo fa “ammazza’ da ride’!!”.
 

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Il sogno di un audace, nella periferia di Roma https://it.zenit.org/2016/09/16/il-sogno-di-un-audace-nella-periferia-di-roma/ Fri, 16 Sep 2016 05:15:42 +0000 https://it.zenit.org/?p=85838 Inaugurata la stagione teatrale 2016/2017 al Teatro degli Audaci di Roma

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Un ‘audace’ è , secondo l’etimologia latina, colui che osa. E osa perché desidera intensamente, fosse anche inseguire un sogno. Questo sogno lo ha inseguito e realizzato Flavio De Paola, costruendo e avviando nel 2012 un teatro a Montesacro,  quartiere periferico di Roma con oltre 200.000 persone, dove lo stesso De Paola ha vissuto.
Il bel teatro, che dispone di un foyer con angolo bar e una sala con 244 poltrone di velluto rosso, prende per l’appunto il nome di «Teatro degli Audaci» e ha inaugurato il 12 settembre scorso la nuova stagione.
Questa si preannuncia molto ricca di eventi, consultabili sul sito www.teatrodegliaudaci.it, che vanno da divertentissime commedie (basti citare fra gli altri Cinzia Leone, Tiziano Lepone, Gianfranco Phino, Stefano Antonucci, Cinzia Berni, Milena Miconi, Emanuela Aureli, Laura Freddi, Grazia Scuccimarra, Enrico Vanzina) , a sorprendenti performance di improvvisazione (gli “Apiccicatticci” di Tiziano Storti), passando per il teatro canzone del “cantattore” Emiliano Ottaviani, fino a opere più impegnative e adatte a riflessioni e dibattiti, come la messa in scena, in prima nazionale de «Il nome della Rosa» o le collaborazioni con la compagnia siciliana dei Saitta.
La sfida  e l’urgenza sono proprio quelle di portare il potere curativo e culturale dell’arte nelle periferie, come ricordava Cinzia Leone e lo stesso De Paola nella conferenza stampa di presentazione, sottolineando che il Teatro degli Audaci è l’unico teatro a fare una programmazione in questa zona di Roma, tra le periferie di Montesacro, Nuovo Salario, Tufello, diventando anche un importante luogo di aggregazione: oltre agli spettacoli in cartellone, si fanno infatti attività di laboratorio, si tengono corsi di recitazione e si ospitano gratuitamente attività extracurriculari scolastiche.
Per i tanti giovani è di sicuro una valida alternativa,  ha commentato con un sorriso il direttore artistico, «all’enorme centro commerciale presente a due passi da qui».
Un grazie dunque all’audacia culturale di Flavio De Paola, perché, come dice lo slogan della nuova stagione, «condividere il Teatro è un bene per l’umanità».
 

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Ambra Jovinelli: un teatro dove si ride sul serio https://it.zenit.org/2016/07/06/ambra-jovinelli-un-teatro-dove-si-ride-sul-serio/ Wed, 06 Jul 2016 07:03:36 +0000 https://it.zenit.org/?p=79511 Elio, Valerio Mastrandrea, Raoul Bova, Laura Morante, Alessandro Haber, Rocco Papaleo, Sergio Rubini e Giovanni Veronesi tra le star della stagione teatrale 2016/17

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Il teatro è luogo di intrattenimento e di cultura. Ma nel caso dell’Ambra Jovinelli di Roma, la crescita culturale si propaga anche all’esterno del teatro, come i cerchi concentrici dell’acqua dopo aver gettato un sasso in uno stagno. La struttura infatti è posta vicino alla Stazione Termini, un territorio difficile, ma che proprio la presenza del teatro sta riqualificando. Ci ha tenuto a sottolinearlo la direttrice artistica, Fabrizia Pompilio, durante la presentazione della nuova e ricca stagione teatrale programmata per il 2016/17. Ed effettivamente è un elemento di merito, visto che il teatro quest’anno ha richiamato quasi centomila spettatori, con numerosi sold out.
La prossima stagione, raccolta sotto il titolo Commedie all’italiana… e non solo, si profila altrettanto promettente, visto la rosa di spettacoli variegati, originali e divertenti, che raccolgono le realtà più interessanti del panorama teatrale nazionale e artisti fra i più popolari. E ‘popolarità’ – ha evidenziato ancora la direttrice – non è in contrasto con ‘qualità’, anzi si dimostra proprio un veicolo per avvicinare produzioni di grande spessore ad un pubblico sempre più vasto.
La stagione vedrà: Largo al factotum di Elio (delle Storie Tese) e Roberto Prosseda, un percorso divertente e raffinato attraverso la  musica classica. Bello di papà, con un mix che assicura risate: Biagio Izzo sotto la direzione di Vincenzo Salemme, in uno spettacolo che, sottolinea il regista, proporrà, pur divertendo, la centralità della persona umana, al di là di ogni discriminazione.
Antonio Catania, Gianluca Ramazzotti, Gigio Alberti saranno i protagonisti della commedia Hollywood, che svela la storia vera, perciò ancora più affascinante, del capolavoro Via col Vento. Valerio Mastandrea sarà il protagonista del testo di Mattia Torre Migliore, elemento di una nuova partnership, che promette grande qualità, fra l’autore, l’Ambra Jovinelli e il Teatro Nuovo.
Sabrina Impacciatore e Valter Malosti saranno i protagonisti di Venere in pelliccia, la pluripremiata e acclamata pièce di Ives, da cui Roman Polanski ha tratto l’omonimo film. Laura Morante sarà una Mirandolina contemporanea in Locandiera B&B, di Edoardo Erba. Raul Bova e Chiara Francini in Due, ci racconteranno le emozioni, le speranze e le paure di una giovane coppia, in cui tanti contemporanei potranno specchiarsi. Alessandro Haber, Rocco Papaleo, Sergio Rubini, Giovanni Veronesi, amici oltre il palcoscenico, saranno un quartetto d’eccellenza con ospiti a sorpresa per A ruota libera, una chiacchierata musicale sul cinema, sullo spettacolo e sulla vita.
Infine, Paola Minaccioni propone i suoi esilaranti personaggi, nati in teatro e resi noti dalla televisione e insieme a Michele Santeramo li inserisce in una struttura drammaturgica fortemente teatrale con Voi siete qui, dove, afferma la travolgente e simpatica artista, ognuno potrà porsi, pur sorridendo, la domanda profonda sul proprio posto nel mondo.
Non ci resta che prendere posto in sala. Al teatro Ambra Jovinelli non si scherza… si ride sul serio!

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Lillo : il supereroe della comicità https://it.zenit.org/2016/03/16/lillo-il-supereroe-della-comicita/ Wed, 16 Mar 2016 06:15:50 +0000 https://it.zenit.org/?p=69346 L’umorismo “d’autore” viene generato spesso quando si è di cattivo umore.

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Oggi più che mai abbiamo bisogno, come dice un salmo, di chiudere gli occhi per non vedere il male sempre e dovunque. Abbiamo bisogno di ottimismo, abbiamo bisogno di sorridere. Il sorriso infatti è unicamente umano e profondamente umanizzante.
Tra i personaggi italiani che riescono meglio a farci ridere c’è indubbiamente “Lillo” Petrolo. ZENIT  lo ha intervistato.
Buongiorno. Il Lillo istrionico, surreale, comico, è ben conosciuto dal pubblico. Ma con questa intervista volevamo far conoscere un Lillo diverso, diciamo pure un altro Lillo.
Beh, grazie, è bello che vogliate far emergere  le mie qualità umane…
No, no, intendevamo proprio intervistare un ALTRO Lillo.  Il problema è che non lo abbiamo trovato, e alla fine siamo stati costretti a venire da lei… Scherzi a parte, Pasquale Petrolo e Lillo sono la stessa persona,  oppure lei custodisce nascoste alcune cose, come un supereroe nella sua identità segreta?
Diciamo, per usare la stessa metafora, che posso sicuramente paragonarmi a Superman. Non per la sua forza sovrumana, Non  per la vista a raggi x, ma solo per il fatto che si vede spudoratamente che Superman in realtà è Clark Kent: identici, se non fosse per gli occhiali. Questo per dire che non c’è molta differenza fra l’attore e l’uomo. 
È obiettivo: lei fa ridere. Ma la sua comicità fa anche pensare. Ad esempio la gente pensa: «ma chi me lo fa fare di faticare così tanto col mio lavoro? Guarda quello lì!». In realtà vogliamo sottolineare che il successo di oggi ha radici che vanno lontane nel tempo: la sua carriera inizia (come fumettista) già negli anni ‘80 ed è fatta di serate, locali e tanto impegno. Quanto c’è di dono innato nella sua comicità e quanti ‘colpi di scalpello’ dietro ogni personaggio?
Credo di essere fortunato perché lavoro sempre su progetti miei condivisi con Greg  (Claudio Gregori, ndr.) ed ho l’opportunità di scegliere quando i progetti non partono da una mia idea. Questo mi fa amare il mio lavoro caricandomi di energia necessaria per creare quell’empatia con il pubblico che si verifica solo quando l’impegno dell’artista è sincero e appassionato. La gavetta è dura come in tutti i lavori, ma credo che sia fondamentale per qualsiasi crescita professionale.
Seppure c’è una parte di ‘dono ricevuto’, in modo quasi evangelico lei fa fruttare questo talento, amplificandolo: dai sorrisi e le risate che lei dona con la sua attività, a doni concreti, come tante iniziative di beneficenza che sono collegate con gli spettacoli che fa col suo eterno-altro che è Greg. Le persone sembra che stiano sinceramente bene con lei, che ricevano qualcosa: forse quelle radici di Lillo di cui parlavamo prima non vanno solo lontano nel tempo, ma vanno anche nel profondo dell’umano…
Ci interessa la beneficenza così come dovrebbe interessare tutti, chiunque dovrebbe nei limiti del proprio tempo e delle proprie disponibilità aiutare chi ha bisogno; a volte basta veramente poco. La cosa meravigliosa del nostro lavoro è che alcune volte ha un valore terapeutico. Una risata, in certi casi, può curare più di un medicinale.
Disegnatore, cantante, attore di cinema e teatro, regista, doppiatore, conduttore e creatore di programmi per la tv e per la radio, adesso anche animatore di pupazzi per una web-serie … Manca qualcosa?  E tutto è fatto con stile, simpatia e senza cinismo. Qual è la fonte di tanta creatività e originalità?
In realtà la cosa che facciamo è una sola: esprimere il nostro umorismo. Il fatto di farlo con molti mezzi è semplicemente stimolante, diventa per noi interessante ogni volta capire il linguaggio di un mezzo mediatico ed usarlo ai fini umoristici che ci appartengono.
Il suo cammino cinematografico da ‘solista’, sorprendentemente, inizia con un ruolo serio nel toccante “Per non dimenticarti” (di Mariantonia Avati), per proseguire, poi, con il film “Mi rifaccio vivo” (di Sergio Rubini) e “Tempo Instabile con Probabili Schiarite” (di Marco Pontecorvo). Quanto conta in questo percorso la grande bellezza?
Beh effettivamente non è il primo che la nota in me…
No, mi scusi, io mi riferivo al film premio Oscar “La grande bellezza”, che la vede fra gli attori.
Diciamo che ho semplicemente avuto la fortuna di capitare nel cast di Sorrentino. Sono sicuro che, se il personaggio che ho interpretato io fosse stato affidato ad un altro attore, l’Oscar, il film, l’avrebbe vinto lo stesso…
È appena uscito nelle sale il film “Forever Young” di Fausto Brizzi nel quale si dissezionano vizi e vezzi italiani: una vita di successo si misurerebbe su una impari caccia all’eterna giovinezza:  forma fisica, numeri di “mi piace” sui social. Ma, come nel racconto della torre di Babele, cercare di toccare da soli il cielo, mattone dopo mattone, significa inseguire un miraggio che si sposta sempre più in là. Cosa è che espone la vita al successo pieno o al fallimento?
La mia filosofia a riguardo è da sempre non inseguire con ansia mete o obiettivi precisi. L’importante è fare bene, giorno dopo giorno, quello che si ama. I risultati poi, se devono arrivare, arrivano da soli, spesso sorprendendoti.
Ma lei è sempre dell’umore giusto per fare umorismo?
L’umorismo interessante, diciamo quello “d’autore” viene generato spesso quando si è di cattivo umore.
Tra i suoi tanti personaggi, uno dei più amati è Piermaria Carletti, alias “Normalman”, il Normal- Supereroe meno Super che ci sia: con tanta buona volontà e un costume colorato cucito alla buona (da lui stesso) si trova a intervenire per risolvere liti di condominio, aiutare a parcheggiare oppure a portare le buste della spesa, indicare strade a persone smarrite… insomma aiuta nei problemi della vita quotidiana che abbiamo tutti; c’è un eroismo nascosto nella vita di tutti i giorni?
I rapporti tra le persone, secondo me, rispetto al passato si sono notevolmente “raffreddati” per cui anche cedere il posto in autobus ad una persona anziana assume il sapore di un atto eroico. Ma per questo c’è Normalman!!!
Chiedendo in giro , dicono di lei:  «Lillo è una persona solare», «Lillo è particolarmente sensibile»,  «Lillo mi deve ancora 50 € dal mese scorso» , «…Ma Lillo chi?». Lei come si definirebbe?
Un cialtrone. Devo a me stesso 500 euro da più di due anni e non me li sono mai ridati.
Cos’ è che la fa ridere? E cos’ è invece che fa piangere Pasquale Petrolo?
Lillo: Tutti gli eventi dell’esistenza umana. Per questo amo le commedie dei grandi autori come Scola, Monicelli e molti altri di quella generazione. Facevano spesso una riuscita fotografia della vita con i suoi lati tragici e comici.
Dunque per la sua arte, lei è andato a scuola coi più grandi. Sia sincero… la maltrattavano con atti di bullismo?
La mia scuola è stata la strada (per strada intendo localetti fumosi dove si provava ad intrattenere un pubblico rumoroso e distratto) per cui gli unici atti di bullismo che alcune volte ho dovuto sopportare provenivano dal pubblico, tipo: «Ahoo! Facce ride!!!».
A proposito: io e mia moglie eravamo parte di quel suo pubblico, già da quegli albori, anzi abbiamo iniziato la nostra storia con le sue canzoni (col gruppo Latte e i suoi Derivati), con i vostri spettacoli; ora anche i nostri figli sono appassionati…
Quindi vuole un autografo?
No, vorrei una mano a mantenerli, in parte sono pure figli suoi… Lillo?… Lillo, scusi ma dove va?
Mi scusi è che mi sono ricordato di una visita medica, sa com’è con questi anni bisestili…
Niente da fare, è sparito. Sono bastati poche decine di minuti, l’autobus giusto… e si è dileguato. Forse era veramente Normalman, il Normal-Supereroe. Ed ora…
Là dove ci sarà una persona in grave pericolo o in grande bisogno, non troverete nessuno. Per tutti gli altri ci sarà lui, Lillo, a regalare sorrisi e umanità.

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