Lorenzo Leuzzi, Author at ZENIT - Italiano https://it.zenit.org/author/lorenzoleuzzi/ Il mondo visto da Roma Wed, 07 Jun 2017 09:26:07 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.6.2 https://it.zenit.org/wp-content/uploads/sites/2/2020/07/02e50587-cropped-9c512312-favicon_1.png Lorenzo Leuzzi, Author at ZENIT - Italiano https://it.zenit.org/author/lorenzoleuzzi/ 32 32 “Farsi amare o amare?” https://it.zenit.org/2017/06/07/farsi-amare-o-amare/ Wed, 07 Jun 2017 09:26:07 +0000 https://it.zenit.org/?p=102763 Lettera del Vescovo Lorenzo agli studenti universitari di Roma -- giugno 2017

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Riportiamo la lettera di monsignor Lorenzo Leuzzi, direttore dell’Ufficio della Pastorale Universitaria della diocesi di Roma, indirizzata agli studenti romani per il mese di giugno 2017. Si tratta dell’ultima lettera prima della pausa estiva. La prossima lettera sarà quella per il mese di settembre.
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Cari studenti universitari,
rileggendo la biografia di S. Giustino, martire, la cui memoria ricorre il 1 giugno, mi ha molto colpito la motivazione della sua condanna: “perché era ateo”. Siamo a Roma nel periodo di Marco Aurelio (163-165 d.C.).
La motivazione fa sorridere. In realtà non è così. E’ un invito a riflettere e a prendere decisioni importanti per la nostra vita.
Siamo immersi in una società che voleva essere atea, ma in realtà è diventata “religiosa”, più “religiosa” che mai!
Pensiamo alla rete: siamo di fronte ad una vera dipendenza.
Essere religiosi significa essere dipendenti. L’uomo di oggi vuole essere dipendente perché non vuole problemi, difficoltà, imprevisti. L’unica soluzione è trovare qualcuno o qualcosa che mi renda dipendente: così tutto è garantito!
Se a ciò si aggiunge la certezza delle opere, il quadro è completo. La dipendenza è piena: non solo sei buono, ma sei anche un uomo superiore!
E’ la religiosità che ci garantisce sicurezza nella vita e tranquillità dopo la morte.
Giustino, pertanto, poteva definirsi un ateo! Era un sovversivo, non un religioso. Per Lui, Dio in Gesù Cristo, non voleva più farsi amare, ma voleva amare.
Aveva ragione Sartre: se l’uomo vuole farsi amare a che serve la fede cristiana? Per essere atei? E’ davvero una sovrastruttura, direbbero i maestri del sospetto.
Cari amici,
la società contemporanea non solo produce uomini religiosi, ma li reclama. Senza di essi non può esistere. Questa è la falsa modernità: quella religiosa!
Ma la religiosità non doveva scomparire?
Se oggi ci fosse Giustino avrebbe fatto la stessa fine: avrebbe messo in crisi la società contemporanea per liberarla dalla morsa della dipendenza del farsi amare. E lo avrebbero definito ateo, anzi intollerante!
Cari amici,
davanti a noi c’è la grande scelta della vita: farsi amare o amare?
E’ una scelta difficile, ma non impossibile!
Se anche tu rispondessi al Signore Gesù, come ha fatto Pietro (cf. Gv. 21,15-19), che gli chiedeva se lo amasse, la tua vita cambierebbe: da dipendente, in libero. Libero di amare e di non strumentalizzare nessuno, neanche Dio!
La domanda di Gesù, “mi ami?” è l’unica che può trasformare la nostra vita, perché è la domanda che nasconde un amore disinteressato.
Pensate: Dio non vuole farsi amare, ma vuole solo amare!
Nell’Antico Testamento Javhè aveva amato Israele chiedendo una promessa di fedeltà. Sulla Croce chiede solo di amarlo!
Giustino era pertanto un ateo!
Immaginate una società dove le relazioni tra di noi non siano cercate per crescere, cercate per formarsi, come direbbero i pedagogisti, ma per donare. Oggi tutti cercano relazioni perché sentono il bisogno di farsi amare. Una corsa senza limite, fino alla violenza di sottomettere l’altro per sé. E’ il masochismo di Sartre. Anche religioso!
Tu cerca il Signore Gesù. Amalo con tutto il cuore.
Con Pietro rispondigli: Signore tu lo sai che ti amo!
Anch’io domani, nel giorno del mio anniversario di sacerdozio, mi impegnerò a dirGli: Signore tu lo sai che ti amo!
Non avere paura!
Il mondo ha bisogno di atei, come Giustino, capaci di cambiare la cultura del proprio tempo, aprendo orizzonti nuovi, come ci invita a fare papa Francesco.
Non preoccuparti di essere considerato non moderno. Ciò che conta è la vera modernità: quella di chi ama senza interesse.
Se ti diranno che sei ateo, ricordati di Giustino: ha donato la sua vita per annunciare che il Risorto ti ama! E’ lo scandalo della Croce!
È l’augurio che rivolgo a tutti voi, augurandovi un grande in bocca al lupo per gli esami.
Durante l’estate saremo a Fatima, poi a Salerno e, infine, a Lourdes. Se sei interessato puoi chiedere informazioni ai cappellani o all’ufficio per la pastorale universitaria in Vicariato.
A chi raggiungerà il traguardo della Laurea l’invito a non dimenticare questi anni vissuti insieme, invitandovi a conservare ciò che il Signore vi ha donato per servire i fratelli.
Buon tempo di riposo e… arrivederci a settembre.

Vostro
Lorenzo Leuzzi

Per informazioni: ufficiopastoraleuniversitaria@vicariatusurbis.org www.uniurbe.org

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L’uomo frettoloso conquistato dalla “lentezza di Dio” https://it.zenit.org/2016/09/30/luomo-frettoloso-conquistato-dalla-lentezza-di-dio/ Fri, 30 Sep 2016 08:15:10 +0000 https://it.zenit.org/?p=87351 Nella sua lettera di ottobre agli universitari romani, monsignor Lorenzo Leuzzi, porge agli studenti i suoi auguri di buon anno accademico

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Riportiamo di seguito la lettera di ottobre, indirizzata agli studenti romani da monsignor Lorenzo Leuzzi, direttore dell’Ufficio per la Pastorale Universitaria della Diocesi di Roma.
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Cari studenti universitari,
riprendiamo il nostro cammino accademico e pastorale, conservando nel cuore la gioia del Vangelo della Misericordia che insieme abbiamo ascoltato e vissuto in tanti momenti dell’anno giubilare che volge al tramonto.
Desidero rivolgere un particolare e caloroso saluto a tutte le matricole che per la prima volta varcheranno la soglia delle aule universitarie. Sarà un’esperienza emozionante: sarete colleghi e non semplici studenti.
Ricordo il mio stupore quando il professore di istologia ed embriologia mi chiamò collega nella prima esercitazione: non avrei mai pensato che chiamasse me!
Anche oggi troverete tanti docenti della grande comunità accademica romana che sono in Università per voi e con voi per camminare insieme in quella faticosa e affascinante esperienza della carità intellettuale.
Forse leggerai per la prima volta questa nuova formula: carità intellettuale! Ma che cos’è?
Vorrei descriverla ricordando le parole di papa Francesco rivolte ai giovani nella veglia in occasione della Giornata mondiale della Gioventù: “Lanciatevi nell’avventura della misericordia”.
La carità intellettuale è la via di colui che ha incontrato il Vangelo della Misericordia. È l’eredità che siamo chiamati a custodire gelosamente nel nostro cuore.
Dobbiamo tutti riconoscere, matricole e non, che facciamo fatica a coniugare insieme lo studio e la carità. Infatti, siamo in un momento della storia dove le emergenze sono all’ordine del giorno: dall’immigrazione alla fragilità, dalla povertà al terremoto.
Tutto sembra emergenza!
Come vivere nell’emergenza, evitando che la nostra vita passi senza lasciare un’impronta? A cominciare dallo studio, dalla preparazione intellettuale?
Vorrei affidarvi un suggerimento: scoprire la lentezza di Dio. Di fronte all’emergenza il segreto è la lentezza di Dio.
Nella storia si confrontano due possibilità: la fretta dell’uomo e la lentezza di Dio.
La prima distrugge l’uomo, la seconda lo responsabilizza.
La carità intellettuale può nascere e svilupparsi solo nella seconda possibilità, mentre nella prima c’è il grande pericolo di distruggere tutto, pur senza accorgersene. Molti pensano di fare del bene, ma in realtà hanno risolto distruggendo, senza porre le basi per ricostruire.
Cari amici,
il “dio misericordioso” appartiene alla prima possibilità; il Vangelo della Misericordia alla seconda.
Noi cerchiamo la soluzione immediata, chiara e distinta, sia nel bene che nel male. Ma la storia è un’altra cosa!
Essere protagonisti nella storia, come ci invita papa Francesco, è fare i conti con la lentezza di Dio, che non ci rivela né l’ora e né il luogo (cf. Mt 24,36)!
L’evangelista Matteo, il cui Vangelo leggeremo nel prossimo anno liturgico, ce lo ricorderà più volte, con lo sconcerto dei suoi lettori. Ma perché tutto questo?
Cari amici,
Il Vangelo della Misericordia ci ricorda che Dio non ha voluto chiudere la partita con l’uomo, con nuove leggi e nuove promesse! Ha lasciato aperta la porta della storia: della mia, della tua, dell’umanità. È la porta della sua lentezza!
Ho visto tanti amici che avevano raggiunto rapidamente tanti traguardi. Ma poi la delusione, come avviene nel sabato del villaggio di Leopardi. Siamo spettatori di tanti uomini e donne che confondono l’urgenza con l’emergenza, la rapidità con l’efficienza. Anche la carità non è solo emergenza o efficienza! Il rischio è di cadere nell’effimero, come ricordava Aldo Moro!
La carità intellettuale è la via per non cadere nell’effimero e di costruire la storia con tutti e per tutti. Ma ciò vale anche per la vita di coppia: il tutto e subito scambiato come vero amore!
Il Vangelo della Misericordia è il grande annuncio per l’uomo contemporaneo: la lentezza di Dio non è la sua lontananza, ma è l’invito a conoscere bene la storia, a non evaderla ma soprattutto ad amarla e servila. È lo spazio della libertà!
La lentezza di Dio è il Crocifisso-Risorto: il centro del cosmo e della storia (RH, n. 1), forza e speranza per tutti gli uomini.
Insieme vogliamo vivere l’esperienza della fatica dello studio per essere protagonisti nella storia, umili e coraggiosi, aiutando la società a superare la tentazione dell’effimero che talvolta assume il volto dell’efficienza.
La lentezza di Dio è il tempo di saper aspettare e rispettare i tempi della mia esistenza e di quella degli altri.
Vi aspetto il 17 ottobre alle ore 20.00 al Teatro Brancaccio per accogliere le nuove matricole e manifestare la nostra amicizia ai colleghi dei paesi del terremoto. Sarà con noi il Cardinale Vicario Agostino Vallini.
Buon anno accademico.

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Leuzzi: "Vivere senza libertà è un grave pericolo per la nostra esistenza" https://it.zenit.org/2016/06/01/leuzzi-vivere-senza-liberta-e-un-grave-pericolo-per-la-nostra-esistenza/ Wed, 01 Jun 2016 08:00:53 +0000 https://it.zenit.org/?p=76555 Nella sua lettera di giugno, il direttore della Pastorale Universitaria romana invita i giovani a non nascondersi ma a godere della bellezza di stare insieme

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Riportiamo di seguito il testo integrale della lettera di giugno di monsignor Lorenzo Leuzzi, direttore della Pastorale Universitaria della Diocesi di Roma, agli studenti romani.
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Cari studenti universitari,
siamo ormai giunti al termine dell’anno accademico. Inizia il tempo degli esami e poi il tempo di riposo. Molti di voi saranno a Cracovia per la Giornata Mondiale della Gioventù o a Lourdes in pellegrinaggio. Due occasioni per intensificare il cammino giubilare che concluderemo a Siena il 12 novembre.
Vorrei affidare a tutti voi un consiglio che per me è stato molto importante: quello di essere liberi, di non dover difendere mai qualcosa per non perdere la presunta serenità o per non aver paura di stare con gli altri.
Nella vita è molto bello avere il proprio gruppo, la propria cerchia di amici. È importante la loro presenza nei momenti difficili e di bisogno. Ma mai fondare la propria vita su di loro. Non perché non dobbiamo avere fiducia di loro. Tutt’altro!. Ma dobbiamo sempre verificare se siamo capaci di vivere anche senza di loro. Non è una questione di autosufficienza, ma di libertà!
Vivere sempre insieme, senza crescere nella libertà è un grave pericolo per la nostra esistenza.
Gli altri non devono essere la nostra difesa, ma gli amici da servire, da sostenere, da incoraggiare. E’ un impegno non da poco, specialmente in una società sempre più spersonalizzante. Molti pensano di essere ormai liberi dagli altri perché possono entrare in relazione via “rete”, e quindi possono fare da soli e rendersi autonomi. In realtà è solo una forma nuova per nascondersi.
Cari amici,
ecco il segreto della vita: non aver bisogno di nascondersi. Se ti nascondi vuol dire che hai qualcosa di cui ti vergogni o che ti crea qualche difficoltà nel presentarti così come sei. Allora cerchi un gruppo, anche religioso per difenderti. Sono cattolico perché ho scoperto che dovevo essere libero!
L’appartenenza alla Chiesa cattolica non è mai adesione ad un gruppo, ma è camminare verso la libertà. Nessuna difesa! Devi camminare da solo, aiutato dalla comunità di cui sei costruttore, anzi di cui sei parte. Ma libero! È la libertà non di fare quello che si vuole, ma di non dover nascondere niente. Nella Chiesa non è possibile la doppia vita, di appartenenza e di nascondimento; di aggregazione e di strumentalizzazione. Sei un tu!
Ho voluto affidarvi questa riflessione nel giorno della visitazione di Maria a sua cugina Elisabetta, ambedue in attesa della nascita dei loro figli (cf. Lc 1,5-23; 26-38). È un’immagine che mi ha sempre guidato nella vita. Dio visita la casa di Elisabetta!
Sì cari amici,
Dio ci ha visitati e si è impegnato a visitarci sempre! E ci visita perché Lui desidera che nessuno si nasconda più, che non abbia più nulla di cui vergognarsi, neanche del peccato, perché la sua visita ci libera da ogni vergogna.
Questo è il grande annuncio della misericordia: Dio è disponibile a visitarmi per farmi uscire allo scoperto, per vivere nella storia con una personalità che solo Lui può darmi.
Negli anni della mia vita ha visto tante proposte di liberazione dell’uomo: ma tutte si sono manifestate fallimentari! Ricordo le tante proposte del novecento sull’uomo nuovo: nessuna di esse è riuscita a rendere l’uomo libero.
Molti hanno confuso la libertà con la rivendicazione dei diritti individuali. In realtà è solo la difesa dal bisogno di nascondersi.
Ti auguro di non aver mai bisogno di nasconderti, perché non hai nulla da nascondere. Chiedi ai tuoi amici di aiutarti ad essere libero, non di essere loro complice. Insieme sì, ma per costruire il bene.
In questo anno giubilare impara a verificare sempre le tue scelte, se sono finalizzate a nasconderti o se invece sono per la tua crescita. Anche a te capiterà di essere sorpreso dal Signore: “A che cosa devo che la madre del mio Signore venga a me?” (Lc 1,43). Attraverso tanti modi il Signore ti visiterà e sarà l’esperienza più bella della tua vita.
E tu, a tua volta, non impedire che, attraverso la tua persona, il Signore voglia visitare i tuoi amici. Allora, da complici, saranno compagni di viaggio: il viaggio della libertà dei discepoli. Non aver paura e anche se ti nascondessi, ricordarti che il Signore non ti ha dimenticato, Ti cercherà finché non ti avrà sedotto, come è avvenuto per Agostino.
È la vera seduzione della vita, che da oppresso ti rende libero. Non più complice ma collaboratore di Dio e dei fratelli. Non sedurre più il fratello con l’inganno, ma seducilo con la tua libertà. Dovunque andrai, sarai ricordato per l’amore con cui hai amato e servito gli amici.
Vi auguro di cuore un grande successo accademico e Vi aspetto per riprendere insieme il cammino a settembre.
Con amicizia
+ Lorenzo, vescovo
 

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L’Avvento non è il tempo per le situazioni tristi! https://it.zenit.org/2015/12/02/l-avvento-non-e-il-tempo-per-le-situazioni-tristi/ https://it.zenit.org/2015/12/02/l-avvento-non-e-il-tempo-per-le-situazioni-tristi/#respond Wed, 02 Dec 2015 01:00:00 +0000 https://it.zenit.org/l-avvento-non-e-il-tempo-per-le-situazioni-tristi/ La lettera del vescovo, direttore dell’Ufficio della Pastorale Universitaria della diocesi di Roma, indirizzata agli studenti romani per il mese di dicembre

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Cari studenti universitari,

domenica scorsa è iniziato il nuovo anno liturgico, con il tempo dell’Avvento. Tra pochi giorni inizierà il Giubileo straordinario della Misericordia.

Fin da ragazzo ho sempre desiderato il tempo di Avvento che certamente ci prepara al Santo Natale, ma in realtà rivela la dinamica della nostra esistenza.

Io non sono un maestro di preghiera, ma mi permetto di suggerirVi questa piccola invocazione: “Ti cerco, Signore, non tardare!”.

Nel cammino della mia vita ho compreso che questa invocazione, che nella cultura contemporanea è additata come la preghiera dell’uomo debole, è l’invocazione di chi vede con realismo che – nonostante tutto, nonostante i successi e le certezze umane – c’è sempre lo spazio per ripartire, per ricominciare.

Può sembrare strano che non abbia fatto riferimento alle situazioni di difficoltà che tutti incontriamo, come la malattia, gli insuccessi affettivi e lavorativi. In realtà non è difficile invocare Dio in queste situazioni.

L’Avvento non è il tempo per le situazioni tristi! Il tempo dell’Avvento, invece, è una sfida per il nostro appagamento: sono soddisfatto di tutto, talvolta anche delle situazioni tristi, anche della povertà. In altri termini non c’è più novità nella mia esistenza.

L’appagamento della vita è la morte dell’esistenza, è la fine della nostalgia di Dio.

Ricordo sempre, con commozione, una bellissima espressione in una delle preghiere del Venerdì Santo: “tu hai messo nel cuore degli uomini una così profonda nostalgia di te”.

Scoprire la profonda nostalgia di Dio che è in noi! Come fare? Nei momenti più belli della tua vita, quando hai preso 30 e lode all’esame, quando le tue amicizie vanno bene, quando sei tentato di dire: sono bravo, sono felice!

È questa l’ora della tentazione. L’ora di ringraziare certamente il Signore, ma di non sentire la nostalgia di Lui, perché sei appagato!

Il Signore deve fermarsi, non può chiederti più nulla, perché ti senti di essere un arrivato. Lo ricercherai ancora di nuovo, quando ti troverai di fronte a nuove difficoltà.

Ho sempre sorriso quando mi raccontavano episodi di conversione avvenute dopo situazioni difficili. È certamente la testimonianza che il Signore è sempre con noi, non ci abbandona. Ma non è ancora la nostalgia di Lui!

Vivere la nostalgia di Dio è fondare in Lui la novità della mia esistenza.

Israele aveva vissuto grandi eventi nella sua storia: la liberazione dall’Egitto, l’alleanza sul Sinai, la costruzione del Tempio di Gerusalemme; ma tutto pian piano si rivelò insufficiente. La nostalgia di Javhè bruciava nel cuore del pio ebreo.

Sarà quel Bambino, nella grotta di Betlemme, a rivelare che la nostalgia di Javhè del pio ebreo, aveva un suo corrispettivo anche nel cuore stesso di Dio!

Dio ha “nostalgia” dell’uomo, di te, di me! Solo questa nostalgia potrà cambiare il mondo! Negli ultimi tempi ho preso atto che anche nei cristiani non c’è più la nostalgia di Dio, ma solo il possesso di Dio, per lottizzarlo e per usarlo nei proclami spirituali o sociali.

Cari amici, il tempo di Avvento richiede tanto silenzio e tanta sobrietà. Lui ti cerca, sente la nostalgia di te, ma non può donarsi a te senza di te.

Un consiglio! Al mattino, rivolgi il primo pensiero a Lui e invocalo: “Ti cerco, Signore, non tardare”.

Vivere con la certezza di essere nella nostalgia di Dio è la forza che ti permetterà di vivere la tua esistenza nella novità: non ti stancherai mai di vivere, di amare, di servire, di gioire. Sarai il segno della nostalgia di Dio!

Far scomparire la nostalgia di Dio nel mondo è il desiderio degli uomini potenti, come il re Erode, che ha visto in quel Bambino che era nella Grotta, tra Giuseppe e Maria, il suo antagonista.

Il mondo crede di soddisfare la sua nostalgia di Dio proponendo dei potenti. Ma Dio ha scelto la via dell’impotenza perché la nostalgia di Lui non fosse mai appagata: il suo amore è sempre nuovo!

Non lasciarti mai affascinare dagli dei appaganti, che non parlano e non ascoltano! Preparati a prendere tra le tue braccia quel Bambino che piange e sorride e conosce la tua nostalgia di Lui!

Il papa ci ha indicato un grande segno: la Porta Santa del Giubileo. Sarà un segno visibile della nostalgia di Dio.

Vi auguro di conservare gelosamente nel vostro cuore il tesoro della nostalgia di Dio! Buon Avvento!

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"La potenza del male può essere vinta solo dall’impotenza dell’amore" https://it.zenit.org/2015/11/03/la-potenza-del-male-puo-essere-vinta-solo-dall-impotenza-dell-amore/ https://it.zenit.org/2015/11/03/la-potenza-del-male-puo-essere-vinta-solo-dall-impotenza-dell-amore/#respond Tue, 03 Nov 2015 07:30:00 +0000 https://it.zenit.org/la-potenza-del-male-puo-essere-vinta-solo-dall-impotenza-dell-amore/ Lettera di novembre del vescovo Leuzzi agli universitari di Roma, in vista del XIII Pellegrinaggio di Assisi del 7 novembre

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Pubblichiamo di seguito la consueta lettera mensile che il vescovo ausiliare Lorenzo Leuzzi, delegato per la Pastorale Universitaria diocesana, rivolge agli studenti delle università romane. La missiva di novembre vuole essere anche un occasione di preparazione, a quello che sarà il XIII Pellegrinaggio degli universitari ed accoglienza delle matricole organizzato dall’ Ufficio per la Pastorale Universitaria del Vicariato di Roma, ad Assisi il prossimo 7 novembre,  per il quale sono già prenotati oltre 40 bus e un treno speciale, di 1000 posti, messo a disposizione da Trenitalia.

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Cari studenti universitari,

tra pochi giorni saremo ad Assisi per il nostro ormai tradizionale pellegrinaggio di inizio del nuovo anno accademico. Sarà un pellegrinaggio speciale perché si svolge nell’imminente apertura del Giubileo straordinario della Misericordia. Ho messo mano alla lettera dopo aver vissuto due esperienze di grande significato umano e cristiano che possono illuminare il nostro cammino verso il Giubileo. Ieri mattina ho fatto visita ad un bambino, di quattro anni, ricoverato in un reparto di Neurochirurgia infantile. Era stato operato pochi giorni fa a causa di una neoformazione in una zona delicata del cervello.

Il Bambino alternava momenti di gioia per la presenza dei genitori e amici a momenti di pianto a causa di un non precisato dolore. Era nel suo lettino e si offriva senza alcun timore all’amore degli altri. Nel pomeriggio dello stesso giorno, nella Basilica di S. Giovanni in Laterano, dieci giovani venivano ordinati diaconi. Anche loro pronti ad offrirsi senza timore all’amore per gli altri! Uno per volta avevano risposto: Eccomi. Che cosa unisce queste due esperienze? La presenza nella storia dell’Innocente che ha preso su di sé la condizione umana! Certamente quel bambino non lo sa; i dieci giovani Lo hanno incontrato. L’Innocente che soffre è il Crocifisso! È l’Innocente che si offre, impotente, all’amore degli altri e chiama a collaborare uomini e donne ad offrirsi all’amore per gli altri confidando nell’impotenza della Croce che Paolo non ebbe vergogna di definirla “stoltezza” (1Cor 1,18).

Ricordo sempre quando mi insegnavano che il Cristianesimo – invitando a guardare l’Innocente, il Crocifisso – avrebbe condizionato l’uomo ad essere impotente, succube delle forze sociali e culturali del proprio tempo. A questa proposta bisognava invece rispondere con la “potenza”. Chi non ricorda il pensiero di Nietzsche! Cari amici, è questa la proposta che Francesco ci inviterà ad affrontare nella sua Città: fidarsi della “potenza” dell’uomo o dell’impotenza dell’Innocente? Molti si illudono di risolvere i dilemmi dell’esistenza umana affrontando problemi, certamente, importanti ma non decisivi: psicologici, culturali, sociali, politici. Ma nulla accade nella vita dell’uomo! Negli ultimi anni Assisi è diventata la casa della pace, dell’ambiente, del dialogo, della solidarietà. Ma i problemi sono tutti davanti a noi, con risvolti drammatici. Pensiamo alla tragedia dei fratelli immigrati! Cari amici, voi sarete i responsabili della storia nei prossimi anni.

Bisogna cambiare pagina: fissare lo sguardo sull’Innocente! È l’Innocente che conosce la mia vita, la mia condizione umana, la dinamica della storia, perché Lui è entrato nella storia per restarci sempre, fino alla fine dei tempi. Ma si presenta nell’impotenza! Sì perché nella sua impotenza si rivela la grandezza di Dio e dell’uomo. Come quel bambino impotente che rivela la grandezza di Dio e dell’uomo. Come quei dieci giovani che rivelano il vero significato dell’esistenza umana. Dio non ha lasciato l’uomo nell’impotenza, ma lo ha liberato dalla maledizione del peccato che provoca morte in noi e intorno a noi!

È la potenza del male che può essere vinta solo dall’impotenza dell’amore, che è l’amore-dono e non possesso. Fissa lo sguardo sull’Innocente e la tua vita risplenderà di una bellezza incomparabile. È questo l’augurio che rivolgo a tutti voi. Quando sarete ad Assisi ricordatevi che qui il Crocifisso, l’Innocente, ha chiamato Francesco non per fondare un’associazione sociale, assistenziale o politica! Lo ha chiamato per annunciare al mondo che l’impotenza di Dio è più grande della potenza dell’uomo! Non aver paura di rispondere anche tu: Eccomi! Non sarai solo.

Ci accompagnerà Maria, Sede della Sapienza, che con umiltà ha risposto all’annuncio dell’angelo: Eccomi, sono la serva del Signore.! Ci sono la tua cappellania, la tua parrocchia, il tuo collegio, il tuo gruppo: lì troverai amici per approfondire e sperimentare la bellezza della fede. Anche in Università non sarai solo: oltre ai tuoi colleghi incontrerai docenti capaci di illuminare i percorsi della ricerca per realizzare quella sintesi tra fede e ragione che è la principale via per vivere la carità intellettuale. Fai della tua vita un dono per gli altri, come quel bambino e quei dieci diaconi!

A presto, ad Assisi!

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"Il tuo debito per gli altri è solo quello dell’amare" https://it.zenit.org/2015/09/30/il-tuo-debito-per-gli-altri-e-solo-quello-dell-amare/ https://it.zenit.org/2015/09/30/il-tuo-debito-per-gli-altri-e-solo-quello-dell-amare/#respond Wed, 30 Sep 2015 16:15:46 +0000 https://it.zenit.org/il-tuo-debito-per-gli-altri-e-solo-quello-dell-amare/ La lettera del vescovo Leuzzi agli universitari di Roma per il mese di ottobre e in vista del Giubileo della Misericordia

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Cari giovani universitari, buon anno accademico.

Un particolare saluto desidero rivolgere alle matricole che per la prima volta varcheranno la soglia delle Aule universitarie. Questo anno accademico è davvero particolare. È l’Anno giubilare della Misericordia indetto da papa Francesco e che inizierà martedì 8 dicembre, giorno della Solennità dell’Immacolata Concezione, a cinquant’anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II. Il nostro cammino, che potrete seguire con il vademecum distribuito nelle cappellanie, nelle Parrocchie, nei collegi e nelle associazioni e movimenti ecclesiali, mira al cuore dell’esperienza cristiana: siamo discepoli di un Dio misericordioso o del Vangelo della Misericordia?

L’icona mariana descritta da Luca, il vangelo che ascolteremo ogni domenica nel prossimo anno liturgico, è per tutti noi significativa: “Maria serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc. 2,19). In silenzio Maria serbava e meditava: due verbi che ci fanno capire che Maria stava vivendo qualcosa di impensato per la sua esistenza. Non tanto per la nascita “straordinaria” di Gesù. Quanto piuttosto per il mistero che nascondeva in sé quel Bambino. Il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, che Maria invocava godendo per le grandi opere che aveva realizzato nella vita del popolo di Israele, stava compiendo qualcosa di grande per la sua vita: facendosi bambino rinunciava alla sua onnipotenza e optava per la collaborazione.

Collaborare con Javhè, il Dio forte e potente! Maria era stupita: aveva bisogno di ritornare continuamente riflettendo su ciò che stava accendendo. Cari amici, in questo anno giubilare siamo chiamati a fermarci e a interrogarci: può esistere un Dio che possa rinunciare alle sue prerogative? O meglio: sono disponibile ad accogliere la proposta di un Dio che mi chiede di collaborare e non semplicemente di obbedire? Maria aveva intuito che la potenza di Javhè si stava manifestando in qualcosa di più semplice ma più potente della liberazione dalla schiavitù d’Egitto: era la potenza della misericordia. La liberazione dall’Egitto non era un’esperienza di misericordia? Sì, ma non ancora il Vangelo della Misericordia. Alla liberazione è seguita la legge.

È la libertà fondata sulla legge: sarai libero se obbedirai. È la via dell’imperativo. Maria conosceva questa via. E Lei, pia ebrea, l’ha percorsa con fiducia e fedeltà. Ma quel Gesù… Sì, quel Gesù che aveva portato in grembo l’aveva insospettita, non sorpresa. Javhè è grande, è potente, è misericordioso. Poteva fermarsi all’imperativo? Cari amici, il Vangelo della Misericordia è il dono del passaggio dall’imperativo all’indicativo. È il Vangelo della liberazione dal bisogno di dover essere riconosciuto. Tu sei, non devi! Tu sei il collaboratore di quel Dio che ti dona e garantisce la tua piena dignità e non hai bisogno di lottare per essere riconosciuto.

Il tuo debito per gli altri è solo quello dell’amare. Ricordo sempre quando studiavo filosofia il grande tentativo di Kant di fondare una morale privata e pubblica fondata sul rispetto dell’altro. Il tentativo è stato vano. L’uomo ha bisogno di essere liberato dal cammino verso la morte che lo costringe al bisogno di essere riconosciuto. La morale del tu devi non è in grado di bloccare questo bisogno inarrestabile. Solo il Vangelo della Misericordia può invertire la rotta della nostra esistenza. Tu sei grande! Non è vero che sei nessuno, che sei un oggetto, un numero. Tu sei qualcuno!

Ecco perché abbiamo bisogno di fermarci per fare la stessa esperienza di Maria: serbare e riflettere. Lo faremo insieme in tante tappe del nostro percorso, vivendo pienamente il cammino dello studio universitario che sarà un grande alleato nel sostenere il vostro desiderio di essere pienamente sé stessi per fare non solo della vostra preparazione, ma di tutta la vostra vita, un dono per i fratelli. Tu sei, non devi! È il Vangelo della Misericordia che scopriremo e vivremo insieme.

Buon anno accademico.

Vostro,

Lorenzo Leuzzi

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Una cultura per un nuovo umanesimo https://it.zenit.org/2015/06/28/una-cultura-per-un-nuovo-umanesimo/ https://it.zenit.org/2015/06/28/una-cultura-per-un-nuovo-umanesimo/#respond Sun, 28 Jun 2015 14:45:24 +0000 https://it.zenit.org/una-cultura-per-un-nuovo-umanesimo/ Le conclusioni del XII Simposio Internazionale dei Docenti

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Il tema ha richiamato l’evento giubilare dell’Anno 2000: “L’Università per un nuovo umanesimo”. Nello stesso tempo il Simposio si è posto a servizio del cammino preparatorio del Convegno ecclesiale della Chiesa italiana che si svolgerà a Firenze nel prossimo mese di novembre, sul tema: “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”.

Il primo invito della Chiesa a prendere consapevolezza di essere di fronte al sorgere di un nuovo umanesimo lo si trova nel documento conciliare Gaudium et Spes, e precisamente al paragrafo 55: “…siamo testimoni della nascita d’un nuovo umanesimo, in cui l’uomo si definisce anzitutto per la sua responsabilità verso i suoi fratelli e verso la storia”.

Con parole efficaci papa Francesco ha parafrasato la riflessione conciliare ribadendo di essere “in un cambiamento d’epoca e non in un’epoca di cambiamento” (22 settembre 2013).

Le parole di papa Francesco ci ha indicato il percorso di ricerca: è l’aggettivo “nuovo” il centro della riflessione. Perché l’umanesimo in atto è “nuovo”?

L’aggettivo “nuovo”

Non si tratta di una novità sociologica, ma storica (meglio ancora, ontologica): siamo in un’cambiamento d’epoca, ossia c’è davvero qualcosa che segna, nella continuità, una profonda diversità tra quest’epoca e quelle precedenti.

In che cosa consiste questa novità? La novità consiste che l’uomo può realmente essere di più (PP. n. 19, CV n. 29), può farsi nella storia (faciendum), può sperimentare il superamento dei suoi limiti “naturali” fino a correre il rischio di  “immanentizzarsi nella storia”, come ricorda papa Francesco nella EvangeliiGaudium (cf. n. 94 ).

Tutte le attese e le aspirazioni dell’umano in atto nella società sono manifestazione di questo desiderio dell’uomo di essere di più, che era già nel progetto originario di Dio: l’uomo è soggetto storico e non nella storia (cf. Gen 2-3).

Il discernimento di questo cambiamento d’epoca è molto più impegnativo di quanto avviene nella vita della comunità cristiana o che viene proposto dalle analisi socio-culturali.

Primo: perché dietro l’umano, c’è la realtà storica.

Secondo: perché senza conoscere il cambiamento d’epoca si rischia di non comprendere le attese dell’uomo contemporaneo.

Terzo: perché c’è il grande rischio che la fede cristiana perda la sua specificità, riproponendo un’antropologia astratta e anti-realistica, sia a livello filosofico, ma anche teologico. Papa Francesco ad Aparecida (28 luglio 2013) ha messo in evidenza le tentazioni anti-realistiche della filosofia e della teologia con gravi ripercussioni sulla vita cristiana e sull’azione evangelizzatrice della Chiesa.

Punti fermi per il “nuovo”:

E’ nuovo perché la società è nuova, ossia la società vive il passaggio dalla staticità alla dinamicità;

E’ nuovo perché l’esistenza umana non è più animata dall’etica

E’ nuovo perché l’identità, la stabilità e l’eternità dell’uomo non è più garantita, ma deve essere promossa.

Il contributo della fede cristiana:

La vita in Cristo è fin dalle origini un essere di più

La vita in Cristo è garanzia dell’identità, della stabilità e dell’eternità dell’uomo

La vita in Cristo è partecipazione alla costruzione della realtà storica ecclesiale

E’ opportuno rileggere il paragrafo  22 della Gaudium et Spes  non solo in senso personalistico, ma storico nel senso della presenza nella storia del Verbo-Logos, prima nella persona di Gesù di Nazaret, poi nella realtà storica che è la nuova creazione, cioè la Chiesa

Perché non emerge questa novità della vita cristiana? Perché la società statico-sacrale ha oscurato la novità del Cristianesimo. Il Cristianesimo ha servito per secoli la società rischiando di perdere la sua identità.

La nuova creazione

La novità cristiana è nella nuova creazione, senza della quale oggi il Cristianesimo diventerebbe un fenomeno religioso in fase di estinzione. Di qui la distinzione tra generazione, manifestazione della maternità della Chiesa, e aggregazione (manifestazione di un fenomeno religioso).

Scoprire la nuova creazione è la conditio sine qua non solo per promuovere il “nuovo umanesimo”, che nella Chiesa non è (o non dovrebbe essere) nuovo, ma è “nuovo” in senso temporale nella società per il cambiamento d’epoca. In altri termini è la società che segue la Chiesa e non viceversa, perché già prima della rivoluzione industriale quest’ultima è sempre stata storico-dinamica. E’ la società  che vive il cambiamento d’epoca e chiede al Cristianesimo se è in grado di aiutarla a capire se stessa. La novità è nella società. Nella chiesa, infatti, la novità è permanente.

Il battezzato “uomo nuovo”

Il battezzato è colui che ha un’esistenza reale nuova, che lo rende capace di costruire la Chiesa promuovendo la sua identità, la sua stabilità e l’eternità.

La vita nuova è vita di partecipazione per costruire la realtà storica che è la Chiesa. Costruendo la Chiesa il battezzato costruire se stesso e realizza la sua pienezza storica.

Il Cristianesimo conosce (o dovrebbe conoscere) la società contemporanea perché la nuova creazione è vita storico-dinamica, come quella che dalla rivoluzione industriale va emergendo nella società.

Non si tratta di compiere nuove “profezie”, ma di offrire quanto già il Cristianesimo ha in sé, che non è un patrimonio religioso o culturale ma è la presenza del Verbo-Logos nella storia, sia come Salvatore che come forma sociale della società.

Il Cristianesimo deve offrire questa forma sociale alla società che può garantire all’uomo la sua identità, la sua stabilità e l’eternità.

E’ il primo e decisivo gesto di carità all’umanità.

Dopo gli eventi del 1989, del 2001, del 2008 la questione del nuovo umanesimo è diventata decisiva: i tre pilastri dell’umanesimo sono animati da prassi sociali che non sono in grado di garantirli. E’ ciò che nell’Evangelii Gaudium papa Francesco definisce come “immanentismo antropocentrico” (Cf. EG 94). E’ un umanesimo che si presenta nuovo, perché capace di permeare la società diventata dinamica, ma distruttivo dell’umana convivenza. E’ l’immanentismo antropocentrico a promuovere l’orfananza nella società e nella Chiesa.

Nuovo umanesimo e cultura: dalla cultura-civiltà alla cultura conoscenza

Per elaborare un umanesimo che sappia rispondere alle attese del “nuovo”, ossia di quel cambiamento d’epoca, bisogna comprendere il passaggio da una cultura fondata sulla civiltà, ad una cultura fondata sulla conoscenza. Ciò non significa che nella cultura-civiltà non ci fosse la conoscenza. Anzi. Ciò che la diversifica rispetto al presente è che la cultura-conoscenza è a servizio non della conservazione, ma della progettualità.

Senza la cultura-conoscenza non è possibile costruire la società.

E’ il tempo della sintesi e non dell’analisi.

Il ruolo dell’Università

Per sua vocazione l’Università è luogo della sintesi dove le diverse discipline convergono nella ricerca della realtà. Il riferimento al tema del nuovo umanesimo è una grande occasione non solo per riscoprire l’originalità dell’esperienza universitaria ma anche per finalizzare il convergere delle discipline accademiche per elaborare una progettualità capace di promuovere tutto l’uomo e tutti gli uomini.

E’ stata questa la grande scommessa del XII Simposio internazionale dei docenti.

Proseguire verso il Giubileo della misericordia

La conoscenza non è marginale rispetto al tema della misericordia. Anzi ne rappresenta la chiave interpretativa della novità del Vangelo della misericordia. Senza la conoscenza e il servizio ad essa, mediante l’esercizio della carità intellettua
le, ma misericordia supera la pura interpretazione assistenzialistica e la proietta verso la progettualità.

Il cammino che attende i docenti universitari è l’impegno di attuare il passaggio dalla misericordia assistenziale alla misericordia progettuale.

La collana che raccoglierà agli atti del Simposio sarà il segno che i docenti delle Università di Roma, che hanno organizzato l’evento, sono pronti a proseguire nel cammino e dare vita ad una nuova tappa  di servizio per la società e la chiesa.

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Lo "scandalo" della Giornata per la Vita https://it.zenit.org/2015/02/01/lo-scandalo-della-giornata-per-la-vita/ https://it.zenit.org/2015/02/01/lo-scandalo-della-giornata-per-la-vita/#respond Sun, 01 Feb 2015 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/lo-scandalo-della-giornata-per-la-vita/ Piacere al marito, piacere alla moglie: è questa la vocazione che rende degna dell'uomo la nascita di un figlio

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Riportiamo di seguito il testo integrale dell’omelia pronunciata stamattina da monsignor Lorenzo Leuzzi, vescovo ausiliare di Roma, Incaricato per la Pastorale Universitaria e Sanitaria.

***

Cari amici,

siamo qui riuniti per celebrare la 37° giornata per la vita promossa dalla

Conferenza Italiana.

La Parola che è stata proclamata in questa IV domenica del tempo ordinario ci indica la strada del nostro convenire in questa parrocchia mariana e del nostro incamminarci verso Piazza S. Pietro per pregare con papa Francesco.

La stessa indizione di una Giornata per la Vita l’occasione per scoprire quando sia frequente in noi, nel nostro cuore e sulle nostre labbra, la stessa domanda dello spirito impuro rivolta a Gesù: “Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci?”. Si, nel nostro cuore e sulle nostre labbra quante volte ci siamo lamentati con il Signore pur avendo professato la nostra fede in lui: “Tu sei il santo di Dio”.

È questa profonda contraddizione il dramma della nostra esistenza, di fronte alla quale vogliamo chiedere al Signore di liberarci da ogni tentazione per essere sempre fedeli a Lui, come ci ha inviato l’Apostolo Paolo.

Non è facile restare fedeli al Signore, fedeli alla vocazione alla quale ci ha chiamati. Molte volte la mia vocazione è quella che ho scelto per mio desiderio, per interesse, ma non quella che Lui ha pensato per me dall’eternità. È la vocazione suggerita dal successo, dal mio realizzarmi anche in esperienze religiose o sociali.

Quante volte abbiamo professa la nostra fiducia in Gesù, ma poi lo abbiamo abbandonato quando la strada volgeva verso traguardi diversi rispetto ai miei progetti: “Gesù Nazareno, sei venuto a rovinarmi?”. Apriamo a Gesù il nostro cuore, con umiltà e semplicità e chiediamogli perdono per la nostra poca fede.

Ma il Signore non ci abbandona nel nostro cammino di discernimento vocazionale. Per ben due Domeniche tutta la Chiesa si è lasciata plasmare dalla presenza del Signore che, come quando passeggiava sulle vie della Galilea, continua a chiamare alla sua sequela, affidandoci compiti ben precisi nella sua opera evangelizzatrice.

Già Mosè, come ci ricorda la pagina del Deuteronomio, aveva consolato il suo popolo che Dio non lo avrebbe abbandonato. Dopo di lui Dio avrebbe suscitato altri profeti, fedeli al comando di Javhè. Oggi siamo noi i profeti, chiamati a proseguire con la parola e la testimonianza l’azione di Gesù Nazareno, la vera novità presente nella storia.

È questa novità la sorgente delle nostre contraddizioni. Gesù Nazareno non è un qualsiasi profeta, un fondatore di una religione. Gesù Nazareno è Colui che insegna con autorità. Ed è un’autorità che gli deriva dal fatto che Lui è il “santo di Dio”. Anche lo spirito impuro lo riconosce. Ma lo rifiuta perché gli rivela la sua verità, quello di essere spirito impuro.

Anche noi ci comportiamo così. La nostra fede va bene, funziona è efficace finché il Signore non ci rivela la mia verità, chi sono io! Ecco perché celebrare la Giornata per la vita è impegnativo per ciascuno di noi. Perché oggi il Signore ci rivela la mia verità. E lo fa con le parole di Paolo: “se sei sposato devi piacere alla tua sposa”; “se non sei sposato, devi preoccuparti delle cose del Signore”.

Cari amici, queste parole di Paolo sono sconcertanti per la nostra esistenza, soprattutto di battezzati. La vocazione cristiana non è anzitutto fare esperienza di Dio, non è vivere nel servire i fratelli? Sì, ma prima bisogna partire da questa distinzione: chi è sposato e chi non lo è! Sono due vocazioni non opzionali, ma fondative per la vita di ciascuno di noi, del nostro essere fedeli al Signore.

Non si può progettare la nostra vita cristiana a prescindere da queste due fondamentali chiamate: al matrimonio e alla consacrazione nelle sue diverse forme. La prima si preoccupa delle cose del mondo; la seconda delle cose del Signore. Ma ambedue sono vie per essere fedeli al Signore. È questa la verità che talvolta ci porta a dire al Signore: “Sei venuto per rovinarci”. Sì, Signore, sei venuto a rovinarci perché pensiamo che preoccuparci delle cose del mondo fosse qualcosa che non ti interessa. È questo lo scandalo della Giornata per la vita: a Gesù Nazareno interessa che l’uomo e la donna si preoccupino delle cose del mondo.

Ma c’è di più: preoccuparsi delle cose del mondo significa che il coniuge deve piacere all’altro coniuge. È come dire che l’amore coniugale è la vocazione attraverso cui l’uomo e la donna si preoccupano delle cose del mondo. È questo l’insegnamento nuovo, dato con autorità. È la vera profezia per il mondo. Com’è e continua ad essere l’Enciclica Humanae vitae del Beato Paolo VI. Quante volte nella teologia contemporanea si è percepito il grido, il lamento: “Gesù Nazareno, sei venuto a rovinarci?”. Quante volte abbiamo rifiutato l’amore coniugale anche a vantaggio del figlio. Piacere al marito; piacere alla moglie: è questa la vocazione che rende degna dell’uomo la nascita di un figlio. È questa la vera fonte della generazione di una nuova esistenza. “Sei venuto a rovinarci?”.

Cari amici,

è la cultura dello scarto che tante volte abita in noi e ci fa rimproverare il Signore perché abbiamo preferito la strumentalizzazione dell’altro e non il donarci all’altro. Non è avviene così nell’amore coniugale? Paolo ci ricorda che il coniuge deve piacere all’altro, perché in questa esperienza di profonda comunione si vive la prima e più alta preoccupazione delle cose del mondo.

L’amore coniugale non è un fatto privato, ma è la partecipazione dell’uomo e della donna alla stessa preoccupazione di Dio, che in questa esperienza vede realizzarsi il luogo dove l’uomo, ogni uomo, può venire all’esistenza. È l’incontro dell’amore disinteressato e gratuito: ti amo perché ti amo. Piacere all’altro significa volere il suo bene, la sua crescita, le sue attese.

Senza questo amore verrà meno la preoccupazione per le cose di questo mondo. Se oggi prevale – come ci ricorda papa Francesco – la cultura dello scarto, è perché sta venendo meno l’amore coniugale.

Cari amici,

di fronte a noi c’è un cammino da percorrere un po’ in salita. Non siamo soli. Con noi ci sono tanti docenti universitari che in preparazione a questa Giornata si sono riuniti per riflettere e per individuare progetti per promuovere la cultura della solidarietà alla vita. Per questo li ringraziamo di cuore, a nome di tutta la Chiesa di Roma.

A tutti voi vorrei suggervi un impegno. Tornando a casa prendete fra le vostre mani l’Enciclica Humanae vitae del Beato Paolo VI. Voi ragazzi chiedete al vostri genitori e ai vostri insegnanti di essere istruiti su questo testo. È questa la vera profezia che il mondo attende.

Insieme in questa celebrazione eucaristica promettiamo al Signore di non rivolgerGli mai più la domanda “Sei venuto a rovinarci?”, ma riaffidiamoGli la nostra esistenza con il fermo proposito di restarGli fedeli per sempre, ripetendo sempre nel nostro cuore e sulle nostre labbra: “Tu sei il Santo di Dio”.

Così sia!

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L'unico Pane che sazia il cuore dell'uomo https://it.zenit.org/2014/11/03/l-unico-pane-che-sazia-il-cuore-dell-uomo/ https://it.zenit.org/2014/11/03/l-unico-pane-che-sazia-il-cuore-dell-uomo/#respond Mon, 03 Nov 2014 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/l-unico-pane-che-sazia-il-cuore-dell-uomo/ Lettera di mons. Lorenzo Leuzzi agli universitari a pochi giorni dal pellegrinaggio di Orvieto

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Cari studenti universitari,
tra pochi giorni saremo ad Orvieto per il tradizionale pellegrinaggio degli universitari all’inizio del nuovo anno accademico. La scelta è legata anzitutto alla celebrazione del 750° anniversario del miracolo eucaristico di Bolsena – di cui il Duomo di Orvieto è segno non solo di fede ma anche di arte affidato alla storia dell’umanità – e poi al tema di riflessione del cammino pastorale: eucarestia e nuovo umanesimo.

Ci guiderà il capitolo 8 del vangelo di Marco, e in particolate il versetto 14, nel quale l’evangelista descrive la situazione dei discepoli: “non avevano che un solo pane”. Infatti avevano dimenticato i pani.
Dai pani al pane!

La dimenticanza dei pani sollecita Gesù ad intervenire nella discussione tra i discepoli, i quali si lamentavano dicendo: “non abbiamo pane”(Mc. 8,16). C’è un pane, ma non ci sono i pani!
Precedentemente Marco aveva inserito la richiesta di un segno da parte dei farisei (cf. Mc. 8,11-13). La discussione rivela il cuore dei discepoli: non ci sono i pani, a che serve un pane? Aspettiamo un secondo miracolo! Il capitolo 8, infatti, inizia proprio con il miracolo della moltiplicazione dei pani: Gesù dà da mangiare a oltre 4 mila persone e avanzano oltre sette sporte di pezzi (cf. Mc. 8,1-10).
Dai pani al pane!

Cari amici,
la questione del pane è la questione della vita. Portare il pane a casa, è la gioia del papà, della mamma. Vedere i propri figli riuniti a tavola e condividere il companatico, quale frutto dell’impegno fisico e intellettuale: è la vera storia di ogni uomo!
Ricordo anch’io la gioia di essere a pranzo e a cena con i genitori e i fratelli. Era il momento più bello della giornata. Ero atteso per condividere il pane! Era il dono del pane la forza per impegnarmi, per non perdere tempo, per offrire il mio tempo ai miei amici in Parrocchia, in Università.

Era il pane del lavoro dei miei genitori!
Quando si rompe questo rapporto, dal pane si va ai pani!
I pani del miracolo, non il pane del lavoro. I pani pretesi, ma mai conquistati! Insomma i pani che mi fanno crescere, ma non amare! Quanti pani sono perduti ed
eliminati nella nostra società! In questi anni forse un po’ meno per la crisi economico- finanziaria! Ma lo spreco continua!

Ma ciò che più deve preoccuparci è che ci sono ancora pani, i resti delle sporte, ma non c’è il pane, quell’unico pane che i discepoli avevano sulla barca. Le risorse per dar da mangiare a tutti ci sono ancora! Manca il pane dell’amore!

L’umanità ha cercato più volte di pianificare la distruzione dei pani, ma con scarso successo. Si pensi alla pianificazione del progetto marxista, o a quella più fantasiosa della mano invisibile del capitalismo. Non ci sarà vera distribuzione dei pani senza il pane! I pani delle moltiplicazioni non possono saziare la vita dell’uomo. Solo Gesù di Nazaret si è fatto interprete di questa aspirazione dell’uomo, perché solo Lui conosce l’uomo. Sì, i pani delle moltiplicazioni possono rispondere ad un bisogno immediato, ma non potranno costruire l’esistenza umana.
Non ci si può fidare dei pani dei miracoli, ma solo del pane dell’amore!
“Non capite ancora?” (Mc, 8,21).

Cari amici,
andiamo a Orvieto per rispondere insieme alla domanda di Gesù. Una domanda davvero decisiva per la mia vita e quella della società, nella quale ritorna la nostalgia del miracolo della moltiplicazione dei pani. Ma non ci sarà più alcuna moltiplicazione. C’è un solo pane e questo è sufficiente!

Quante volte abbiamo fatto la comunione e non c’è ne siamo accorti!
Se cerchi ancora miracoli e non ti sei preoccupato di contribuire alla condivisone dei pani è perché non Lo hai incontrato, come i discepoli. Era sulla barca, ma non avevano capito chi fosse: forse speravano che fosse qualcuno che conta nel mondo economico-finanziario!
Il Pane, l’unico pane, chi cui c’è bisogno è Gesù di Nazaret! Ed era lì, accanto a loro: ma loro pensavano ancora al miracolo. Oggi diremmo pensavano alle leggi di stabilità che, nel nostro tempo, davvero assumono il segno di un miracolo!

C’è bisogno dell’unico Pane!
Ma io, tu, non ci crediamo! Dobbiamo confessarlo con umiltà. Penso che non ci fidiamo che il dono di quell’unico Pane sia sufficiente per sfamare tutti gli uomini! Quante volte abbiamo preferito anteporre la nostra azione di carità verso i fratelli alla Sua presenza. Prima i pani, poi il pane, quell’unico Pane.

Cari amici,
la vera rivoluzione culturale è il passaggio dai pani all’unico Pane. Pensare il contrario è entrare nell’utopia, l’utopia di chi non conosce il cuore dell’uomo e le dinamiche della storia.
Tu cerchi l’unico Pane, saziati di questo Pane e sarai promotore della dignità dell’uomo. Perché quel Pane è frutto dell’amore e tu ti scoprirai trasformato nell’amore. I pani, forse, non li vedrai ma sono già in azione, hanno già iniziato a sfamare i fratelli, perché sono i pani dell’amore e non del miracolo. E l’amore ha vie più ampie rispetto a quelle delle programmazioni economiche!

Invita i tuoi amici a mangiare l’unico Pane e vivrai la gioia di costruire una comunità di uomini e donne che non credono alle moltiplicazioni, ma diventano lievito per far fermentare la pasta e dare il pane a tutti!

A te futuro economista, giurista, tecnologo delle aziende, operatore finanziario, a tutti voi cari studenti, vorrei affidarvi questa mia confidenza: dal 1977 non ho mai trascorso un giorno senza fare la comunione. Prima l’Eucarestia, poi tutto il resto! Non importa se non sarò ricordato per la distribuzioni dei pani. E’ per me già un vanto aver scoperto la presenza di quell’unico Pane nella barca! Tutto il resto è bene che resti nel segreto!

Vi auguro di vivere l’esperienza di Orvieto scoprendo, anche in questo tempo di gravi difficoltà economiche, che quell’unico Pane non verrà mai a mancare; neanche i pani. Ma per preparali c’è bisogno di un lievito fertile. E questo lievito sei tu!

A presto ad Orvieto!

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La profezia dell'Humanae vitae https://it.zenit.org/2014/10/18/la-profezia-dell-humanae-vitae/ https://it.zenit.org/2014/10/18/la-profezia-dell-humanae-vitae/#respond Sat, 18 Oct 2014 00:00:00 +0000 https://it.zenit.org/la-profezia-dell-humanae-vitae/ L'enciclica di Paolo VI mette in luce come la famiglia sia il luogo dove si manifesta il desiderio dell'uomo di farsi nella storia, di essere di più

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Riportiamo di seguito il discorso di monsignor Lorenzo Leuzzi, direttore della Pastorale Universitaria della Diocesi di Roma, al convegno La costante umanità dell’Humanae Vitae, in corso all’Auditorium Antonianum.

***

La imminente beatificazione di papa Paolo VI ci sollecita a riaprire la sua Enciclica Humanae vitae. La sua Enciclica. È ormai noto a tutti la sua solitudine vissuta nella fedeltà a Dio e all’uomo.

La sua solitudine è la forza della profezia dell’Humanae vitae.

Nessuno avrebbe mai pensato che l’atto coniugale (l’”una caro”, Gen. 2,24), strutturato sulla inscindibilità connessione del significato unitivo e procreativo (HV n. 12), si sarebbe rivelato come la fonte e la sorgente della vera modernità. Ma questo non è così chiaro per tutti.

La cultura contemporanea, originata dall’illuminismo in poi, ha sempre indicato nella libertà e nella ragione le due radici della modernità. In realtà non è così. La modernità è la nuova condizione storica dell’uomo contemporaneo che si è manifestata con la rivoluzione industriale, dopo lunghi secoli in cui la condizione umana era simile a quella del mondo della “natura”. Certamente l’uomo era dotato di liberta e di ragione, ma ciò non era sufficiente per superare i limiti della condizione naturale.

Dunque la libertà e la ragione di per sé non sono sinonimo di modernità, perché sempre l’uomo è stato libero e ha sviluppato la sua ragione, si pensi alla filosofia aristotelica o scolastica.

In questo contesto storico-culturale la sessualità, e quindi la dualità maschio-femmina, aveva un valore di secondo piano. La stessa differenza rispetto alla condizione animale, ossia la non coincidenza tra libido e fertilità, come avviene nel mondo animale, era facilmente dominata dalla norma etica o giuridica (ad. esempio: il matrimonio come remedium concupiscentiae).

Paolo VI intuisce che la storia dell’umanità è entrata in una nuova fase, che papa Francesco ha definito come “cambiamento d’epoca” (FRANCESCO, Cagliari 22 settembre 2013). Cioè la società non è più fondata sulla storicità naturale, ma è diventata luogo in cui l’uomo può “essere di più”, ossia può liberarsi dai limiti della condizione naturale e aprirsi al nuovo, alla novità dell’essere. È questa la vera modernità, la storicità dinamica, e non può essere identificata con la capacità dell’uomo di essere libero o razionale che ha sempre accompagnato l’esistenza storica dell’uomo. È il grande equivoco della cultura contemporanea.

È la rivoluzione industriale a generare nella storia il cambio d’epoca, aprendo all’uomo la via del suo farsi nella storia. L’uomo può farsi nella storia, ossia essere davvero nuovo, ma non perché è diventato libero e razionale, ma perché nella società si sono realizzate le condizioni di poter realizzare ciò che l’uomo desidera da sempre: essere di più (Paolo VI, Populorum Progressio n. 19; Benedetto XVI, Caritas in veritate 29).)

Dove si nasconde questo desiderio dell’uomo di essere di più, di arricchirsi, o meglio, di “farsi nella storia”: nell’“una caro”.

L’atto coniugale è rimasto criptico nella società fino a perdere la sua specificità “storica”, riducendosi ad atto “neutro , un atto tra gli altri, così come avviene nel mondo animale dove, per l’identità di fertilità e libido, la generazione avviene in un atto neutro, ossia nella storia ma non storico.

Ecco la novità dell’atto coniugale: atto storico e non solo nella storia. Cosa significa storico e non solo nella storia? Significa che l’atto coniugale è l’evento che pone in essere un nuovo organismo storico, che è la famiglia. Non è un atto generativo semplicemente naturale, ma un atto generativo eminentemente storico.

Paolo VI ha profetizzato che sarebbe giunto il momento in cui la società avrebbe scoperto che la famiglia non è una struttura appartenente al mondo della natura, con la sua consistenza giuridico-culturale, ma il luogo dove si manifesta il desiderio dell’uomo di farsi nella storia, di essere di più.

È stata la rivoluzione industriale a liberare dalla cripticità naturale l’atto coniugale, perché divenendo dinamica la società la famiglia si rivela nella sua natura più profonda: quella di organismo storico da costruire. La società preindustriale, infatti, ha per secoli impedito di comprendere la vera natura della famiglia.

Paolo VI ha guardato a questa famiglia, che era già nel progetto di Dio: non più semplice società naturale, ma “organismo storico” da cui dipende la stessa comprensione della società. Infatti è nell’organismo dinamico “famiglia” che si gioca la possibilità dell’uomo di farsi nella storia, come costruttore o come distruttore della convivenza umana.

La sorgente di questa nuova possibilità data all’uomo di farsi nella storia come costruttore, aiutando la società a non camminare verso la morte, ma verso la vita e quindi a vivere la modernità è l’atto coniugale. Infatti l’atto coniugale, superando l’identità tra libido e fertilità, propria del mondo animale, possiede i due significati, unitivo e procreativo, che lo rendono luogo in cui l’uomo vive la sua pienezza storica ponendo in essere una nuova realtà storica, qual è la famiglia.

Questa pienezza storica si realizza nel generare i componenti della famiglia con la stessa dignità dei generanti, costruendo un organismo storico e non naturale nella quale i generanti e i generati sono chiamati alla costruzione: la vera dignità dell’uomo è nel nascere come con-costruttore della famiglia e non come “generato da” (nel mondo della natura animale la generazione è prolungamento della specie, nel mondo della storicità umana la generazione è procreazione).

Il nuovo ruolo della famiglia, come organismo storico, non può essere più garantito da una prospettiva puramente giuridico-naturalistica, ma deve aprirsi alla società da costruire. In questa prospettiva la generazione non è neutra, ossia indifferente rispetto alla progettualità sociale. Se viene a mancare l’atto coniugale, non c’è più famiglia, ma non c’è società, perché l’uomo non è posto in essere come costruttore, ma solo come individuo o classe: è la nascita delle discriminazioni sociali (è qui la convergenza tra marxismo e liberal-capitalismo!)

Garantire i due significati dell’atto coniugale, quello unitivo e quello procreativo, non significa ritornare al naturalismo ma, al contrario, affermare la nuova storicità dell’uomo, che è la modernità, nella quale l’uomo è chiamato ad essere costruttore.

La contraccezione, riproponendo una nuova identità, quella tra libido e sterilità, svuota l’atto coniugale della storicità e lo riporta alla sua condizione naturale, nella quale è già in atto un’altra forma di identità, quella tra libido e fertilità. Pertanto operare una tale identità tra libido e sterilità non significa liberare la sessualità dalla condizione naturale. Anzi la riafferma e la rilancia. L’atto coniugale torna nel mondo “della natura” impedendo alla modernità di svilupparsi. È ciò che sta accadendo: dal farsi dell’uomo nella storia al suo annullarsi nella storia. L’uomo è gettato nella storia attraverso il ritorno della sessualità del mondo della natura animale, senza origine e senza identità (come avviene nella riproduzione assistita e nella sessualità neutra).

Questa è la profezia dell’Humanae vitae: aiutare l’uomo a comprendere che la modernità non è un’astrazione culturale, ma è la manifestazione di quel desiderio dell’uomo di essere di più, che si nasconde nella dualità maschio-femmina.

La separazione dei due significati, oggi, non è solo un questione etico-morale, ma sociale. È dalla comprensione dell’atto coniugale, come indicato dall’Humanae vitae, che dipende non solo la
dignità del generato, ma la stessa possibilità di costruire una società animata da una prassi sociale capace di garantire l’identità, la stabilità e l’eternità di ogni essere umano.

Solo salvando e servendo l’atto coniugale, l’”una caro” si salva e si serve l’uomo evitando che cammini verso la morte.

Per capire la profezia dell’Humanae vitae bisogna conoscere la società in cui viviamo: solo allora potremmo capire se stiamo costruendo la storia e se la storia sta costruendo noi.

Il dilemma della modernità è tutta qui: vuoi costruire o vuoi essere costruito?

Ai ginecologi e a tutti gli operatori culturali la grande scelta!

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