Volontà di verità o di potenza? La crisi d'identità delle Università

Solo quando l’Università ricerca la verità in sè e per sé può contribuire alla salvaguardia della dignità della persona umana e della sua propria identità

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È sempre più evidente l’attuale crisi dell’Università. Essa non si riferisce solo a fattori economici, né al fatto che i giovani giungono all’insegnamento superiore con un background culturale e di preparazione sempre più insufficiente. Piuttosto si tratta di una vera e propria crisi di identità. La domanda cruciale da porsi, ma che molti desiderano evitare, è semplice: “A che serve l’Università?”.

Sarebbe già di estremo interesse approfondire il senso che dovrebbe ispirare un’Università: qualcosa che non risale ad oggi, ma che fu oggetto di discussione già durante il secolo scorso da parte di diversi pensatori. Diamo qui una risposta, partendo dalle riflessioni del filosofo, teologo e pedagogo tedesco Romano Guardini, il quale si dedicò all’insegnamento universitario per più di 60 anni, a partire dall’inizio del secolo XX [I].

Per Guardini l’Università è il luogo d’eccellenza in cui è possibile dire e ascoltare la verità. In tal modo, questa istituzione “si ammala appena la verità cessa di essere il punto di riferimento del sapere universitario” (p. 40). Quando Guardini pose questa tesi, portava con sé nella sua propria memoria le esperienze patite durante la tirannide nazista, nella quale molti intellettuali si erano compromessi con un’ideologia che solo apparentemente desiderava applicare la verità, ma che in realtà, come ogni dittatura, viveva della menzogna e della violenza. Per Guardini la causa del tradimento dei vari intellettuali di quel periodo, risaliva alla questione secondo cui la verità esisterebbe per servire la vita. La filosofia vitalista di Friedrich Nietzsche, peraltro, garantiva e tutelava l’assunto secondo cui la verità altro non sarebbe che un insieme di metafore, un’invenzione dei deboli per dominare i più forti.

Questa posizione evidenziava come la verità servirebbe alla vita, alla produzione, al successo (anche allo Stato), insomma a tutto quanto utile alla vita. Ma, ci si chiede, cosa sarebbe utile alla vita? Ciò verrebbe deciso dalla stessa volontà. In questo modo, però, si produce la tirannide della “volontà di potenza”, una volontà forte che si colloca al di fuori del contesto a favore della verità e a favore del bene di tutti. In tale ambito, l’Università non sarebbe stata altro che un pezzo di un ingranaggio della macchina statale indispensabile a trasmettere “nuovi valori” al popolo tedesco. Lo Stato sarebbe così divenuto l’unico detentore di una filosofia superiore in grado di affermare la supremazia della vita del nuovo uomo.

Per Guardini, tuttavia, questa dottrina oltre che falsa era distruttiva. Ciò può essere dimostrato non soltanto filosoficamente, ma anche mediante la storia. L’uomo infatti vive di quanto al di sopra di lui, proprio un albero al rovescio, che mantiene le sue radici in Cielo, come ben stigmatizzò Platone [II]. La vita non può essere, quindi, il valore supremo, poiché essa rivela in sé aspetti contraddittori: “Accanto alla volontà di vivere, c’è sempre all’opera la volontà di morire” (p. 26).

Gli animali, ad esempio, sono governati dall’istinto; l’uomo invece può benissimo dominare agli istinti. E’ un essere libero e può desiderare anche quanto andrebbe a dispetto della sua vita o a quella del prossimo. Nell’essere umano non esiste unicamente la volontà di vivere, ma anche la pulsione di morte. Come potrebbe, perciò, la verità servire alla vita, rivelando quest’ultima un carattere contraddittorio?

Storicamente si è visto che quando la vita è posta al di sopra della verità, paradossalmente, sorgono tutti i tipi più cruenti di atrocità. Quando una vita ideale – l’ideologia della sicureza e del benessere ad ogni costo – è ricercata indipendentemente dalla verità, gli uomini concretamente corrono il rischio di soffrire qualsiasi tipo di brutalità. La ricerca di un “super-uomo” è stata un’illusione bella e buona, causando lo sterminio di milioni di essere umani.

Pertanto, l’unico modo di difendere la vita, per assurdo che possa sembrare, è affermare il primato della verità su di essa. Soltanto in relazione con la verità la vita umana torna ad essere giusta e corretta. “Al di sopra della vita deve esserci qualche cosa, che non ne dipende, che non la serve, ma che ha in sé altezza: questo è la verità. Sapere questo, amici miei, scoprire questo in modo sempre nuovo, sperimentarlo, annunciarlo: ecco lo scuopo dell’Università. In ciò riposa il suo éthos più profondo. Appena essa lo trascura, perde il suo senso. Essa diventa una scuola professionale, che ha certamente un significato pratico, ma non ha più uno spiritualmente essenziale” (p. 27).

L’Università deve portare alla ricerca della verità in sé e per sé. La ragione della crisi di identità delle Università attuali consiste nel fatto che le scienze ricercano la verità, ma culturalmente si è spesso indotti a credere che la verità non esista per nulla. Sovente il dogma dell’inesistenza della verità è “propinato” dalle stesse cattedre universitarie, che invece dovrebbero alimentare negli studenti il desiderio di scoprire e servire la verità. Si rivela da tutto ciò una tensione e un profondo distacco nella comunità accademica: tra coloro che sono alla ricerca della verità in sé e per sé, e coloro che invece si lasciano sedurre dallo scetticismo, che si rivela in quella tipica forma di “volontà di potenza” nietzschiana.

Di certo solo quando l’Università ricerca la verità in sè e per sé può contribuire efficacemente alla salvaguardia della dignità inalienabile della persona umana e alla tutela della sua propria identità. Il rischio dell’Università è di porsi al servizio di qualcosa di inferiore alla stessa verità: da un lato lo Stato e dall’altro lato gli interessi di mercato. Una Università degna di tale nome deve lasciarsi condurre dalla volontà sincera di ricerca della verità e non dalla volontà di potenza, cioè solo successo politico o di mero lucro. Sarà in questo modo che le sfide attuali saranno risolvibili in un contesto vero di tutela della persona umana, continuando un cammino concreto verso qualcosa di unico, cioè quella verità che assurge a garanzia della dignità della persona umana e, dunque, a difesa della sua stessa vita.

Anderson Alves è sacerdote della diocesi di Petrópolis – Brasile e dottorando in Filosofia presso la Pontificia Università della Santa Croce a Roma.

*

NOTE

[i] R. Guardini, Tre scritti sull’Università, Morcelliana, Brescia 1999. Il terzo esto del libro è una delle ultime conferenze di Guardini dal titolo: “Volontà di potenza” o “volontà di verità”? Un interrogativo per l’Università.

[ii] Platone, Timeo, 90a. Il filosofo francese Rémi Brague (1947), vincitore del premio Ratzinger 2012, è ritornato recentemente su questo tema platonico, sostenendo che l’uomo è ben ancorato al cielo. Cfr. R. Brague, Ancore nel cielo. L’infrastruttura metafisica, Vita e Pensiero, Milano 2011.

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Anderson Alves

Sacerdote della diocesi di Petrópolis – Brasile. Dottore in Filosofia presso alla Pontificia Università della Santa Croce a Roma.

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