Visita alla Roma cristiana

Culti pagani nei sotterranei della Basilica di S. Nicola in Carcere

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di Paolo Lorizzo*

ROMA, sabato, 10 marzo 2012 (ZENIT.org).- Pochi sono a conoscenza del fatto che la Basilica di S. Nicola in Carcere a Roma è stata edificata sui resti di una delle aree sacre più antiche e più rilevanti dal punto di vista storico-artistico dell’antica Roma.

L’area è quella del Foro Olitorio (Forum Holitorium), compresa tra le pendici del Campidoglio, il teatro di Marcello e il Tevere, in origine destinata a mercato dei legumi e delle verdure. L’antica area sacra era formata da tre templi: quello più settentrionale, attiguo al teatro di Marcello, era il tempio di Janus (Giano), quello più meridionale attribuito a Spes (Speranza) e infine quello centrale, completamente inglobato nei sotterranei della Basilica, attribuito a Iuno Sospita (Giunone Sospita).

Quest’ultimo, costruito tra il 197 e il 194 a.C. da C. Cornelio Cetego, era il più grande con una lunghezza di circa 35 metri (compresa la scalinata, i cui resti sono ancora visibili di fronte al portone d’ingresso della chiesa) e una larghezza di 15 metri. Era un maestoso tempio di tipo greco, periptero ionico, ovverosia con capitelli di stile ionico sormontanti colonne che ruotavano intorno alla cella funeraria, creando un corridoio calpestabile lungo tutti e quattro i lati dell’edificio. I resti degli altri due templi sono visibili soprattutto dall’esterno, mentre le fondazioni dei loro podi sono in parte visibili lungo il percorso sotterraneo della chiesa.

Superato il portone d’ingresso, incorniciato dalla facciata di Giacomo della Porta che la realizzò nel 1599, tutelando una torre medievale poi trasformata in campanile e due delle sei colonne che originariamente appartenevano al tempio romano, ci si trova all’interno suddiviso da una triplice navata che utilizza colonne di reimpiego provenienti da edifici più antichi.

La Basilica infatti ha origine tardo-antica (VI-VII secolo) anche se ciò che è attualmente visibile è il risultato di una radicale ricostruzione avvenuta nel 1128. Poco prima di giungere di fronte all’Altare Maggiore, che accoglie tra l’altro un’urna antica posta al di sotto di un ciborio del 1856, inizia una doppia scalinata semi-anulare di pochi gradini che conduce ad un ambiente di passaggio dove ha inizio il percorso sotterraneo.

Un plastico ricostruttivo dà l’idea di come doveva essere l’antica area sacra di età Repubblicana, con i tre templi allineati ed esposti ad est, proprio di fronte ad un’altra zona templare, quella attualmente in parte occupata dalla Chiesa di S. Omobono. Superati piccoli passaggi e attraversati angusti corridoi si giunge, ad una quota ancora più bassa, alle strutture del tempio di Giunone, ormai sommerse da un intricato sistema di muri pertinenti alle fondazioni della soprastante Basilica. Il podio del tempio era in calcestruzzo cosi come quello dell’attiguo tempio di Giano, ancora visibile lungo la parete di sinistra perché inglobato nel muro laterale della chiesa.

Quest’ultimo, probabilmente dei tre il tempio più antico, era realizzato con colonne di peperino (sette del lato meridionale e due del lato settentrionale sono ancora in piedi e visibili lungo il lato destro della Basilica), ma presentava alcune parti architettoniche in travertino come le architravi e il rivestimento del podio.

Superando la cella del tempio di Giunone si giunge lungo il lato sinistro del tempio, corrispondente al lato destro del tempio della Speranza, i cui unici resti visibili sono interamente inglobati all’interno della parete di sinistra della chiesa e di un vano-magazzino. Si tratta di una struttura molto più piccola delle altre costruita in travertino grezzo (in origine era probabilmente rivestito di stucchi) che venne edificata nel corso della prima guerra punica da A. Atilio Calatino. Nel sotterraneo è visibile soltanto una porzione del podio che sorreggeva il tempio.

In seguito alla costruzione della basilica, una parte del sotterraneo venne utilizzato come cripta. Gli scavi misero in luce un notevole quantitativo di ossa rinvenute in corrispondenza di alcuni fori sul soffitto, da cui venivano gettati i corpi. In questo settore venne anche rinvenuto un frammento pittorico di Madonna col Bambino datato al 1470 ed attribuito ad Antoniazzo Romano.

L’affresco, in origine collocato all’interno di una piccola edicola, allo scopo di preservarlo dall’alto tasso di umidità presente negli ambienti, venne ‘strappato’ e collocato lungo la navata di destra della Basilica. Ripercorrendo a ritroso i corridoi d’entrata, si possono notare murati alle pareti frammenti marmorei pertinenti a lapidi con iscrizioni e ceramiche riconducibili ad anfore e contenitori, flebili tracce di un contesto archeologico che ci racconta una storia ininterrotta da oltre duemila anni.

Una piccola offerta di due euro, che andranno a beneficio del luogo, vi permetterà di trascorrere del tempo in compagnia di un pezzo di storia romana e capire quanto sia stato importante riutilizzare una parte delle strutture dei tempi per la loro tutela e preservazione.

* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali  e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.

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ZENIT Staff

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