Verso una Comunità internazionale fondata sul Principio di sussidiarietà (Seconda parte)

Rosario Sitari prova a indicare la strada per una comunità internazionale regolata dal diritto e ordinata al bene comune

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

di Rosario Sitari
Segretario Nazionale Associazione Italiana Docenti Universitari

ROMA, giovedì, 21 giugno 2012 (ZENIT.org).- La prima parte è stata pubblicata giovedì 14 giugno.

***

Il paradosso dei nipoti di Keynes

E’ singolare che nel 1930, in una conferenza sulle “Prospettive economiche per i nostri nipoti”, Keynes affermava che la disoccupazione tecnologica avrebbe avuto carattere transitorio e che l’unico problema per l’avvenire sarebbe stato, piuttosto, quello di come impiegare la libertà derivata da una tecnologia che avrebbe affrancato l’uomo dalla fatica necessaria per soddisfare i bisogni più pressanti.

Negli anni trascorsi da allora la crescita della disoccupazione è diventata il dato permanente di un contesto pieno di contraddizioni e di bisogni sociali insoddisfatti.

I paesi sviluppati hanno accresciuto il loro reddito pro-capite, ma hanno accresciuto anche le disuguaglianze. Sostanzialmente per tre ragioni:

1. l’arretramento dello Stato Sociale ha avuto come conseguenza il ridimensionamento della politica redistributiva;

2. un ammortizzatore sociale come la famiglia, istituzione intrinsecamente idonea ad apprestare servizi di assistenza e di sostegno, ha perduto efficacia;

3. l’aumento del livello di disoccupazione si è accentuato nella componente giovanile e nelle tipologie di lunga durata.

La disoccupazione non è un fenomeno naturale; essa esprime la misura dello spreco e rappresenta l’impotenza dell’economia di fronte alle esigenze della società.

Quando la domanda globale è inferiore al reddito potenziale per il crollo della capacità di spesa indotta dalla perdita dei posti di lavoro, ci troviamo di fronte al paradosso della povertà nell’abbondanza.

Il quadro di riferimento

Il paradosso dei nipoti di Keynes è ancora più pericoloso dato che si esprime in una combinazione di sovrapproduzioni di beni, di bisogni sociali insoddisfatti e di una disoccupazione crescente a carattere strutturale. Tutto ciò avviene in un quadro di riferimento in cui:

l’economia mondiale è percorsa da tendenze neoprotezionistiche che regionalizzano gli scambi e convivono con tratti di globalizzazione dei mercati. La concorrenza non avviene tra una moltitudine di operatori individuali, così come sta scritto sui manuali di economia, ma avviene, quando avviene, solo tra enormi mastodonti che hanno posizioni dominanti sul mercato mondiale. Non c’è paese poi che non declami la volontà del libero scambio, ma tutti praticano una politica opposta: emblematiche al riguardo le barriere erette da Europa e Stati Uniti per impedire la concorrenza nei propri mercati delle produzioni agricole provenienti dai paesi poveri1;

le tecnologie utilizzate sono tutte labor saving e molti lavoratori dei paesi ricchi pagano gli effetti del dumping sociale e del dumping ambientale dei paesi poveri in termini di disoccupazione aggiuntiva. Da questo contesto emerge un problema molto delicato. La tutela del lavoro e la tutela dell’ambiente vengono vissute dai paesi in via di sviluppo come nuove forme di colonialismo: i paesi emergenti diffidano dei paesi industrializzati perché ritengono che questi ultimi per salvaguardare aziende e posti di lavoro non competitivi si ergono a paladini della difesa delle donne, dei minori e della tutela dell’ambiente dei paesi in via di sviluppo;

le imprese sono strette in una morsa per cui, da una parte, devono render conto ad un azionariato ossessionato da guadagni di borsa a breve (15/30 giorni) e, dall’altra, non possono prescindere dal destinare risorse a immobilizzazioni tecniche;

il rapporto tra economia finanziaria ed economia reale è molto illuminante sui guasti prodotti dall’economia cartacea. I movimenti internazionali di capitali finanziari correlati a un effettivo scambio di merci sono una piccolissima parte rispetto ai movimenti di capitali finanziari che avvengono nel mondo. Negli anni ’90 del XX secolo il commercio internazionale è cresciuto del 63%, il movimento di capitali è cresciuto del 300%, senza nessun rapporto con l’aumento di ricchezza reale (il PIL mondiale è cresciuto nello stesso periodo del 26%)2. Alla massimizzazione del profitto in borsa nel breve periodo non corrisponde l’incremento del reddito reale, esprime invece il proprio carattere di gioco a somma zero. Un gioco dove ai guadagni di qualcuno corrispondono le perdite di qualche altro. La massimizzazione del profitto di medio periodo nell’economia reale sarebbe invece un gioco a somma positiva, dato che consentirebbe vantaggi commisurati al surplus ottenuto;

da qualche tempo la borsa premia i titoli di quelle aziende che tagliano posti di lavoro. Ma una razionalizzazione produttiva, che abbatte i costi di produzione espellendo manodopera, crea “esternalità” negative dato che eleva i costi sociali. In primo luogo perché l’esercito industriale di riserva è anche esercito politico di riserva. Dice, infatti, Rifkin nel suo libro “La fine del lavoro” che un numero crescente di politici e di partiti “tenta di canalizzare le preoccupazioni della classe operaia e delle comunità più povere verso la xenofobia, facendo identificare gli immigrati come ladri di lavoro”3. In secondo luogo perché sussiste una correlazione tra crescita della disoccupazione, crescita della disuguaglianza e crescita dell’attività criminale4.

È utopia in un quadro di riferimento di questo tipo immaginare una polis che inglobi al suo interno la globalizzazione per renderla eticamente accettabile e politicamente sostenibile?

Il villaggio globale

Abbiamo già constatato come la globalizzazione sia una realtà che inizia nelle nostre case e ci coinvolge personalmente. Ma la globalizzazione non riguarda solo l’economia e la tecnologia, essa permea di sé tutte le attività umane. È dunquel’intero pianeta l’elemento costitutivo dell’ unico villaggio di cui siamo cittadini: il Villaggio Globale.

La salvaguardia dell’ambiente e i cambiamenti climatici, la tutela delle minoranze etniche, la lotta contro l’aids, la tutela della pace, i flussi migratori, i mercati della droga e la criminalità organizzata sono tutti problemi planetari.

La mondializzazione, peraltro, non è priva di assurdità: in essa operano agenzie private in perenne conflitto di interessi – come Moody’s, Standard and Poor’s e Fitch – che, in condizioni di quasi monopolio5, con le loro valutazioni in tema di affidabilità pongono in essere vincoli sempre più stretti all’azione dei Governi nazionali. Il fatto più singolare, che rasenta il grottesco, è che la stessa cultura politica configura le valutazioni di queste agenzie private, regolarmente quotate in borsa, come vero e proprio servizio pubblico. Governi, investitori istituzionali e la comunità internazionale fanno infatti riferimento a queste valutazioni e mostrano tutta la loro incapacità a dar vita ad agenzie pubbliche indipendenti.

La mondializzazione, infine, ha acquisito consapevolezza che la crisi dello Stato si estende alla sua capacità di produttore monopolista del diritto. Il diritto, infatti, è statico, ha bisogno di sedimentare per mettere ordine. L’economia è dinamica e, perciò, la prassi economica ha bisogno di strumenti nuovi. Il lessico forbito e l’esegèsi tradizionale del diritto e della stessa scienza giuridica dilatano i tempi procedurali che vengono travolti e finiscono per subire le istanze egemoni di chi considera il tempo risorsa scarsa e, dunque, indotto a tutelarsi producendo da sé stesso diritto. Si moltiplicano i soggetti produttori del diritto e se ne privatizzano le fonti
.

Nella scienza giuridica tradizionale, invece, il diritto privato è in qualche modo pubblico e anche il diritto commerciale, dove emergono tratti di accentuata considerazione per la figura del privato imprenditore, è ricondotto nel pubblico dalla normativa penale. Nel diritto si fa distinzione tra modelli e fatti, nell’economia globalizzata non c’è spazio per modelli, esiste solo la prassi, cioè fatti che producono diritto.

Al paradigma Stato, leggi, giudici si sostituisce il paradigma grandi imprese, grandi studi legali, decisioni rapide di arbitrato.

Dalla concezione della rigidità verticale si sta passando alla concezione della flessibilità dell’ interconnessione funzionale delle reti. Ecco allora che in concomitanza del declino dello Stato produttore monopolista del diritto cresce l’incidenza del diritto anglosassone rispetto al diritto europeo.

Tendenze evolutive nella cultura politica nel mondo globalizzato

Se non è giustificato un atteggiamento di condanna sommaria e aprioristica del mercato globalizzato rimane in tutta la sua interezza il problema di dominare i tre paradossi sociali della globalizzazione:

l’aumento delle disuguaglianze che avviene in un contesto generalizzato di aumento della ricchezza e del reddito medio;

la crescita senza occupazione che procede in parallelo con lo sviluppo del processo di mondializzazione dei mercati;

l’andamento del reddito pro-capite che non solo non garantisce l’accesso al sapere, ma ne esclude un numero elevato di persone.

Si tratta allora di passare da una globalizzazione egemonizzata dagli aspetti finanziari ad una globalizzazione altra: capace, cioè, di superare concetti parziali e riduttivi dell’uomo in modo da recuperare un’etica della responsabilità e della reciprocità all’interno della stessa visione economica.

La questione è molto seria tanto più che essa si colloca in un contesto in cui il peso egemone dei fondamentalisti del mercato è riuscito a frustrare, e talvolta a demonizzare, ogni tentativo di governo della situazione. Il buonsenso stenta a farsi strada per constatare che la concorrenza senza regole distrugge se stessa6 e che un’economia senza guida ha effetti devastanti.

Forse ciò è dovuto al fatto che le ideologie sociali che sono oggi alla base della convivenza civile sono incorse in due errori di riduzionismo antropologico:

l’ideologia collettivistica ha ridotto la persona a un insieme di rapporti sociali negandone l’individualità;

l’ideologia liberistica, al contrario, interpreta la persona in termini individualistici negandone la dimensione sociale.

I tempi sembrano maturi per affermare un nuovo tipo di razionalità in cui la persona è sempre fine e mai mezzo, è individuale e, insieme, comunitaria.

Le linee di pensiero che emergono in tema di globalizzazione sono tre:

il fondamentalismo del mercato: “I fondamentalisti del mercato vorrebbero abolire i processi decisionali collettivi e imporre la supremazia dei valori del mercato su tutti i valori politici e sociali”7. Gli inconvenienti che da questa concezione derivano non vengono negati, sono considerati incidenti di percorso che si risolvono col decorso del tempo, automaticamente, con la mano invisibile del mercato.

Il globalismo vissuto come minaccia alle specificità comunitarie ed etniche: si erigono barriere che fanno leva sul sociale, sulle religioni e sulle culture. Queste barriere sono spesso fonte di instabilità e perciò le etnie, le religioni e le culture vengono identificate col pericolo che incombe sul nuovo ordine mondiale.

Il globalismo riformista punta sul fattore istituzionale e su regole comuni condivise per il governo di una globalizzazione rispettosa delle diverse identità.

Nel globalismo riformista trova spazio un nuovo stile di razionalità fondato su tre principi:

il principio della destinazione universale dei beni che dà una dimensione etica all’attività economica e al lavoro produttivo;

il principio di solidarietà che esprime l’inscindibilità e la reciprocità tra l’io individuale e l’io sociale;

il principio di sussidiarietà8 che sostiene un tipo di organizzazione sociale nel quale è possibile coniugare solidarietà e libertà. La sussidiarietà, quella orizzontale – dove le diverse articolazioni sociali concorrono in autonomia a far fronte alle esigenze del bene comune così come si manifesta nei vari punti del sistema – evoca un modo di “fare economia” all’interno del mercato e identifica l’«economia civile»9.

Economia ed etica nella concezione moderna dello sviluppo

E’ sorprendente “il contrasto tra il carattere consapevolmente non etico dell’economia moderna” e la sua evoluzione storica in cui l’economia è considerata parte dell’etica o, comunque, associata a quest’ultima.L’economia trae origine dalla politica: poiché la politica deve utilizzare le altre scienze pratiche, come l’economia, il fine della politica finisce col comprendere quello delle altre. Il “bene umano” riguarda perciò, al tempo stesso, l’economia e la politica. L’economia è poi collegata all’arte di governo: qui è di tipo “ingegneristico”, più che sui fini pone l’accento sull’impegno di trovare i mezzi adeguati per raggiungere quei fini.

Le caratteristiche legate all’etica e quelle legate alla concezione ingegneristica sono entrambe presenti negli scritti degli economisti, ma se può parlarsi, per un certo periodo, di equilibrio tra i due approcci dell’economia, l’importanza dell’approccio etico si è andata via via attenuando man mano che l’economia si affermava come scienza autonoma10. Tuttavia è da circa un ventennio che si registra un mutato clima di attenzione sul confine tra economia e etica11.

Eppure, nonostante sia stato trascurato l’approccio etico, la teoria dell’equilibrio economico generale12 ha portato alla luce il concetto di interdipendenza. Da un approccio ingegneristico è venuto forse il più grande contributo alla comprensione della natura dell’interdipendenza sociale .

È straordinario come la concezione “stretta” della razionalità, che sulla scia di Walras e Pareto vede soltanto l’aspetto quantitativo dei fenomeni economici, abbia avuto una conseguenza impensata: la solidarietà da categoria morale si è trasformata in categoria logica all’interno dell’interdipendenza economica, assumendo perciò una connotazione e un’incidenza assai più significative sia nel sociale, sia nel politico.

Ed è altrettanto straordinario che laconcezione moderna dello sviluppo postula l’integrazione di tre dimensioni: la dimensione ecologica (biodiversità, resilienza, inquinamento), la dimensione sociale (povertà, equità intra e intergenerazionale, cultura) e la dimensione economica (efficienza, crescita stabile).

Non potendosi massimizzare contemporaneamente gli obiettivi di ognuna, vanno compiute scelte per armonizzare le tre esigenze a un livello ottimale. Ed è proprio dalla mediazione di queste tre esigenze che è nata la politica dello «sviluppo sostenibile»13.

Il significato e la portata della dottrina sociale della Chiesa

Come cattolico forse un pò naif, privo di innocenza e di virtù profetiche, nelle contraddizioni del “terribile quotidiano” vedo con chiarezza l’incarnazione di valori appresi negli anni giovanili della mia formazione religiosa. Ma questi “segni dei tempi”, diluiti come sono in una sorta di biblioteca virtuale, vanno analizzati, selezionati e sintetizzati in un sistema coerente fino a produrre cultura capace di incidere sulla costruzione del presente e del futuro.

In questo contesto occorre prendere atto con soddisfazione che la teoria economica non si è limitata a trattare i
temi dell’efficienza, ha anche affrontato problemi, quali il bene comune, la giustizia, l’equità, e ne ha individuato gli strumenti per poterli affrontare14.

Una comunità che intenda individuare “cosa fare” in un determinato contesto storico non può rinunciare agli apporti della ragione. Una ragione che affronti i temi dell’invecchiamento della popolazione, della disoccupazione strutturale, e di quella giovanile in particolare, delle privatizzazioni, del risparmio da far fluire verso gli investimenti nell’economia reale, problemi fiscali e politica della famiglia, governo delle società multirazziali e dei servizi sociali compatibili con le risorse disponibili. E ancora: problemi della giustizia e dell’attuazione dello stato di diritto, delle manipolazioni genetiche e delle biotecnologie. Tutti problemi sui quali vale la pena misurarsi e sui quali si può imparare di nuovo a fare politica15.

È pertanto indispensabile, scrive il vescovo mons. Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, assumere un “impegno corale”dei soggetti ecclesiali e civili sul piano culturale e formativo. Occorre un impegno che si riconosca in Codici programmatici per “il rinnovamento dei partiti” o per la “creazione di nuove istituzioni di partecipazione e di rappresentanza.” Esiste già qualcosa di simile a un codice di ampio respiro: è il Compendio della dottrina sociale della Chiesa 16. Si tratta di “uno strumento culturale motivato” in termini teologici, ecclesiologici e antropologici. “Il Compendio, articolato sulle ragioni della fede, su una sapienza riflessiva, offre all’impegno sociale un fondamento razionale e sovrarazionale, abilita a render conto della speranza” e “indica le vie concrete secondo cui la fede si fa cultura”17.

Le indicazioni sociali del Magistero, quale che sia la forma che assumono, sono intrinseche al quadro storico in cui si esprimono. Un’ enciclica, in quanto partecipe alle varie culture che si susseguono nel tempo, si pone come lettura attualizzante nella continuità delle encicliche precedenti e, dunque, in sintonia con le trasformazioni socio-economiche che ne costituiscono il terreno di coltura.

Ogni enciclica, come scrisse Agazzi in occasione della pubblicazione della Mater et magistra (= MM) di Giovanni XXIII18, esprime “principi, realtà umana e storico-sociale, direttive”.

Questi i fondamenti delle Encicliche e, in generale, della Dottrina Sociale della Chiesa: la persona umana come cardine, cioè come soggetto e come fine; la società come realtà, ordine umano e ordinamento giuridico, partecipe, come la persona, di compiti e di responsabilità; l’ordine morale come ispirazione da tradursi nella subordinazione al bene comune e nei principi di giustizia e di equità; l’amore caritas riguardo alla paternità di Dio e alla fratellanza tra gli uomini19.

Il concetto volontaristico è una costante delle indicazioni sociali e si contrappone alla concezione naturalistica e meccanicistica del mondo economico (MM n. 7). La socializzazione non può essere considerata come il prodotto di forze naturali operanti deterministicamente; la socializzazione è creazione degli uomini, esseri liberi, consapevoli e portati per natura ad operare in attitudine di responsabilità (MM n. 49).

Ne consegue che i lavoratori della terra, come tutti gli altri lavoratori, “devono muoversi nell’ambito dell’ordine morale-giuridico: devono cioè conciliare i loro diritti e i loro interessi con i diritti e gli interessi delle altre categorie economico-professionali e subordinare gli uni e gli altri alle esigenze del bene comune.” (MM n. 133).

L’attuale Pontefice con la Caritas in Veritate (= CV)20 ha còlto i tratti dinamici della Mater et Magistra e ne ha assunto i principi per ricavarne norme di vita adeguate al periodo storico che stiamo vivendo. Oggi è necessario “un nuovo equilibrio tra agricoltura, industria e servizi, perché lo sviluppo sia sostenibile, a nessuno manchino il pane e il lavoro, e l’aria, l’acqua e le altre risorse primarie siano preservate come beni universali”.21

Nello specifico della mia sensibilità credo utile riprendere un tema che, al di là della sua intrinseca validità, offre significative opportunità per l’affinamento di strategie formative. Intendo riferirmi al solidarismo.

Il problema, oggi, non è tanto quello di sensibilizzare la coscienza comune verso la solidarietà, quanto piuttosto di acquisire consapevolezza che la categoria morale della solidarietà si esprime scientificamente nella categoria logica dell’interdipendenza. Ed è quanto meno singolare che l’economia, scienza triste, rozza e basata sull’egoismo, consenta di affermare che nel governo dell’ interdipendenza la razionalità verso scopi, cioè la più efficiente allocazione delle risorse, diventa razionalità verso valori quando assume tra i suoi obiettivi la solidarietà, la giustizia e l’equità.

Quando la solidarietà non viene intesa come assistenzialismo, ma come forma equa e, insieme, efficiente di allocazione delle risorse, il destino dell’albanese così come quello dell’indio è problema che riguarda tutti. L’alternativa, d’altra parte, sarebbe l’invasione dei paesi ricchi da parte di eserciti disarmati di persone affamate e la conseguente squilibrata pressione sulla carrying capacity nelle aree del Pianeta.

La parabola dei talenti va continuamente meditata: da essa emerge il dovere alla capitalizzazione così come quello dell’assunzione del rischio. E nei segni del nostro tempo sta il dovere alla responsabilità dei laici di collegare le proprie convinzioni a esplicite scelte di cittadini impegnati nella polis assumendone i relativi rishi.

Per quel che mi riguarda vedo il frammento delle mie possibilità completamente ordinato a storicizzare un obiettivo di fondo: quello di contribuire a rispondere a una domanda di senso.

La mia convinzione è che non si può lasciare al fondamentalismo di élite radical-scic e al mondo degli affari il governo dello sviluppo. Non intervenire in questa materia significa impedire un corretto processo di formazione delle decisioni che finirebbe per essere egemonizzato dal solo mondo degli affari all’interno del quale si esaurirebbe la dialettica tra portatori di interessi diversi, spesso coperti in modo maldestro da ideologie, senza alcuna mediazione (il conflitto che nel passato ha visto fronteggiarsi petrolieri e nuclearisti è assai istruttivo in proposito).

Ritengo quindi giunto il momento di rispondere con un’offerta adeguata alla domanda di senso. In termini di adeguatezza, credo debba affinarsi l’offerta formativa a ispirazione cattolica che sembra puntare, a monte, su determinanti filosofiche e, a valle, su aspetti applicativi. Lascia però in ombra il livello intermedio che ha influenza fondamentale, sia sull’elaborazione delle strategie della società, sia sulla gestione quotidiana. Questo livello, dove le conoscenze sono immediatamente socializzabili, contiene in sé due caratteristiche di fondo che lo rendono impermeabile rispetto al livello superiore ed egemone sul livello inferiore. Per il fatto che sa sempre cosa produrre, quali tecnologie utilizzare, quali mercati aggredire e con quali strategie commerciali, questo livello si autoalimenta attraverso un sistema di autoreferenzialità e autoorganizzazione riuscendo perfino a trasformare gli interessi in valori.

Trascurare questo livello significa rifiutare un ruolo in un momento decisivo della modernizzazione contemporanea e collocarsi perciò sulla via dell’impotenza che porta inevitabilmente alla subalternità civile. La trattazione sistematica dei temi del villaggi
o globale si colloca proprio in questo importante crocevia dove l’interdipendenza può essere interpretata come risposta razionale alla complessità contemporanea e come incarnazione del principio di solidarietà.

Lo sviluppo sostenibile non identificato nella sola dimensione ecologica, ma concepito come sintesi di questa con la dimensione sociale e quella economica è, infatti, espressione politicamente compiuta del solidarismo esteso non soltanto a tutti i popoli oggi viventi sulla Terra ma anche a quelli delle future generazioni22.

Nello stesso impianto concettuale sta il no profit. Questo, per dispiegare tutta la sua efficacia, non può avere carattere residuale e intervenire ex post per contenere le inefficienze del sistema. Se così fosse contribuirebbe al mantenimento dello status quo. Il no profit è invece un modo di “fare economia” all’interno del mercato e qualifica il nuovo promettente capitolo della teoria economica: l’ «economia civile»23.

Il mercato, d’altra parte, è un mezzo e, come tale, va continuamente valutato in rapporto alla sua capacità di essere funzionale al bene comune. Se ciò è vero in linea di principio, lo è, in particolare, in un momento come questo in cui si sono attuate le privatizzazioni al di fuori della benché minima politica di liberalizzazioni. Anzi, la confusione tra politica delle privatizzazioni e politica delle liberalizzazioni può essere considerata la causa prima della Babele della crisi attuale.

Mai prima d’ora si era verificato un ricorso così massiccio alle privatizzazioni e mai prima d’ora la desertificazione dell’area pubblica, specie nella finanza, era stata così pervasiva. Ma le istituzioni intermedie della società civile vanno sorgendo ovunque e sono già in grado, di per sé stesse, di contrastare la desertificazione dell’area pubblica. Si pensi agli esempi di organizzazioni economiche, le cooperative, che, con 800 milioni di soci in tutto il mondo agiscono sulla base della fiducia e della responsabilità. Si pensi a imprenditori che utilizzano l’iniziativa individuale all’interno della logica dei mercati per raggiungere obiettivi sociali in Bangladesh, India, Sudafrica, Kosovo e Albania.

Questi sono eventi di grande portata antropologica che, nei fatti, sono la risposta a interrogativi tanto impegnativi quanto ineludibili. Quale posto occupa l’uomo nella globalizzazione? Cosa è il bene comune mondiale? Qual è il modello di società in cui storicizzare la parola di Dio e la tradizione cristiana? Cosa possono fare le istituzioni cattoliche per la promozione della giustizia e della solidarietà?

Ora, in particolare, vorrei soffermarmi sul ruolo delle istituzioni cattoliche.

In via preliminare occorre però rispondere a una domanda ineludibile: perché diamo tanto credito al mercato di libera concorrenza?

La teoria del mercato di libera concorrenza. Aspetti metodologici

Innanzitutto il libero commercio costruisce legami economici tra i vari Paesi e agevola il processo di crescita delle società. È necessario però considerare che la concorrenza si riferisce per sua natura al breve periodo e ignora l’avvenire. “L’ottimo di lungo periodo può essere così compromesso dalla concorrenza che può distruggere oggi capacità domani necessarie e vantaggiose”24. Inoltre, come dice Paolo VI nella Populorum Progressio (1967), n. 58, “i prezzi che si formano «liberamente» sul mercato possono portare risultati iniqui” quando le condizioni di potenza economica sono troppo disuguali da paese a paese. Giovanni Paolo II con la Centesimus annus (1991) ‘apre’ al mercato quando afferma, al n. 34, “Sembra che … il libero mercato sia lo strumento più efficace per collocare le risorse e rispondere efficacemente ai bisogni” e aggiunge, al n. 35, la Chiesa “non si oppone al mercato, ma chiede che sia opportunamente controllato dalle forze sociali e dallo Stato, in modo da garantire la soddisfazione delle esigenze fondamentali di tutta la società.”

Ma la richiesta di controllo delle forze sociali e dello Stato sul mercato non risponde solo a esigenze di equità e di giustizia. Essa risponde anche a esigenze che attengono a lacune logiche dello stesso impianto concettuale della libera concorrenza.

Quella del libero commercio è una teoria molto elegante e algebricamente rigorosa, ma è solo l’esercizio di una costruzione razionale fondata su ipotesi di una realtà che non è tale25.

Vale dunque la pena interrogarsi sulle ragioni per cui il regime di libera concorrenza perfetta goda ugualmente di tanto sostegno.

Il sostegno al mercato di libera concorrenza si giustifica perché offre, attraverso i suoi indicatori automatici (prezzi, costi, ricavi), un metodo efficiente e impersonale che consente la mobilità delle risorse al cambiare della situazione.

Gli indicatori esprimono la scarsità o l’eccedenza delle risorse e inducono imprenditori e proprietari dei fattori della produzione a spostarsi da un’area economica a un’altra secondo l’andamento della domanda e dell’offerta26. Ne consegue che il funzionamento di un sistema economico a decisioni decentrate in regime di libera concorrenza perfetta da luogo a un insieme di risultati coerenti, efficienti e ottimali. Ma non sempre è così dato che non sono infrequenti i casi di inefficienza del meccanismo di mercato27.

Le cause di inefficienza del meccanismo di mercato

Le cause di inefficienza del meccanismo di mercato sono dovute alle sue stesse imperfezioni, alle sue carenze in determinate situazioni e ai suoi metodi di valutazione. Esaminiamole una ad una dato che per ognuna non si può fare altro che ricorrere a valutazioni esterne al mercato.

a – Imperfezioni del mercato:

situazioni nelle quali non sussistono alcune ipotesi che caratterizzano il mercato perfetto per la presenza di distorsioni (comportamenti monopolistici, oligopolistici e collusivi, imposte e sussidi, pratiche protezionistiche).

L’intervento consiste nel rimuovere le distorsioni ristabilendo le condizioni di concorrenza;

informazioni incomplete e costose: il sistema dei prezzi non comprende i prezzi futuri di tutti i beni e servizi (si supplisce col ricorso alle ricerche di mercato, ai prezzi ombra, ai programmi dei partiti), non si conoscono le preferenze delle generazioni future.

L’intervento, caratterizzato in ogni caso da incertezza residuale ineliminabile, non potrà prescindere da scelte esterne al mercato;

presenza di squilibri non assorbibili spontaneamente (disoccupazione involontaria).

L’intervento comporterà il ricorso a valutazioni esterne al mercato e richiederà scelte tra interessi contrastanti.

L’intervento è richiesto non tanto perché il mercatonon funziona ma perché, purfunzionando, porta a risultati non efficienti.

b -Insufficienze del mercato in determinate situazioni

presenza di esternalità (per affrontare il problema ci si serve dell’Analisi Costi-Benefici (=ACB). Poiché l’ACB si serve di espedienti spesso arbitrari, tali espedienti vanno resi espliciti)

per i beni pubblici per i quali si verifica la condizione di non escludibilità dal consumo, si pone il problema della scelta tra risultati non soddisfacenti (del mercato) e quelli di un procedimento politico.

Il procedimento politico sostitutivo consiste nel determinare la quantità e la qualità dei beni pubblici da fornire e la ripartizione dei costi tra i componenti della collettività.

c -Insufficienza degli stessi criteri di valutazione

l’assunzione del consumo individuale come base di giudizio va vista in modo diverso se si tratta di soddisfazione di bisogni originari o di bisogni indotti dallo stesso sistema. In quali condizioni ciascun
individuo può essere considerato il miglior giudice dei propri interessi?

La scelta delle condizioni non può che essere esterna e non può prescindere dagli assetti distributivi.

Ma certe grandezze tipiche nella materia ambientale, come lascomparsa di specie, l’aumento del rumore, la perdita di un paesaggio, rimangono incommensurabili. In tutti i casi di imperfezione dei mercati l’intervento pubblico può attenuarne la portata.

I termini del problema

E’ innegabile che la logica autonoma della ratio economica è una causa molto significativa della crisi più generale della società.

L’umanità si trova stretta tra l’inderogabile esigenza di crescita e il potere distruttivo che la crescita porta con sé. “L’impresa è l’epicentro di queste contraddizioni considerata com’è, in un’alternanza di concezioni, generatrice di benessere, crocevia di meccanismi di distribuzione della ricchezza, origine di … impatti negativi con l’ambiente”28. L’impresa costruisce le sue fortune rispondendo a una domanda gran parte espressione di bisogni reali di quella stessa società civile che vuole il rispetto di altri valori. Senza l’impresa, senza l’enorme efficienza propria di un agire economico razionalizzatosi sotto la spinta di ragioni egoistiche è difficile portare a termine grandi compiti come la sostenibilità dello sviluppo.

Chi è responsabile dei destini della polis si trova di fronte a questo dilemma:

può reprimere l’egoismo economico, ma si priva di una formidabile fonte di energia;

può lasciare libera questa energia, ma non ha alcuna garanzia che il suo dispiegarsi contribuisca al bene comune; anzi, una razionalità meramente economica è perfettamente compatibile con la distruzione dell’umanità29.

Dipende allora dalle condizioni al contorno se il perseguimento dell’interesse personale porti a una catastrofe o se invece contribuisca al bene comune. Il problema è esclusivamente etico e politico e consiste nella volontà di regolare un mercato senza frontiere per renderlo funzionale al progresso economico globale, tanto più che il fine dell’economia non è ad essa endogeno e quella economica non è l’area in cui si pongono questioni neutrali rispetto all’etica.

Per costruire le condizioni al contorno bisogna avere consapevolezza che la razionalità dei fatti umani non può essere gestita da una oscura «mano invisibile» suscettibile solo di regolazioni tecniche, ma mette sempre in gioco regolazioni etiche e progetti di libertà” 30.

L’economia del benessere

La convinzione che “il meccanismo di mercato non porta a una razionale scelta sociale”31 ha spinto molti studiosi a impegnarsi nella ricerca di principi da assumere come guida nelle decisioni di politica economica. Si è quindi arricchito quel filone di pensiero noto come “economia del benessere”.

Questo importante capitolo della scienza economica poggia su due fondamenti:

– su una concezione di un obiettivo economico ritenuto socialmente desiderabile e individuato nella massimizzazione delbenessere economico per la collettivitànel suo complesso;

– sulla deduzione che sono socialmente desiderabili forme di intervento nella vita economica in modo che il mercato, integrato da un’azione correttiva del regime delle convenienze, possa essere reso funzionale all’interesse generale.

Ovviamente la concezione del benessere assume connotazioni diverse tra paese e paese e all’interno dello stesso paese considerato in tempi diversi32.

L’economia del benessere pone due problemi: quello della costruzione concreta della funzione del benessere e quello della scelta dei criteri per la sua ottimizzazione.

1) – La costruzione concreta della funzione del benessere socialeconsente:

a – una conoscenza chiara degli obiettivi

b – l’evidenziazione di eventuali incompatibilità

c – l’individuazione di un quadro di riferimento

e cioè coerenza e unitarietà a decisioni di politica economica.

La funzione si potrebbe ricavare attraverso conoscenze intuitive dei politici, raccolta diretta delle informazioni con le tecniche di ricerche di mercato (se i riferimenti fossero la salvaguardia ambientale, i livelli di occupazione, l’equilibrio della b. d. p., il livello dei prezzi,…).

Si tratterebbe di capirela disponibilità a pagare per il raggiungimento degli obiettivi individuati.

2) – L’individuazionedei criteri di ottimizzazione per la ricerca del max per una collettività. Il significato di ottimo è legato a Pareto: «ottimo paretiano» è una situazione nella quale è impossibile, attraverso una diversa utilizzazione delle risorse produttive e dei beni finali, rendere “migliore” la posizione di un componente della collettività senza rendere nel contempo “peggiore” quella di qualche altro della stessa collettività, data la distribuzione iniziale della ricchezza. Per posizione migliore si intende maggiore disponibilità di beni e servizi.

L’efficienza produttiva è condizione necessaria ma non sufficiente per l’ottimo paretiano: è possibile infatti, attraverso lo scambio, distribuire i beni in modo che alcuni si trovino in posizione migliore senza che qualche altro venga a trovarsi in posizione peggiore.

Le situazioni in cui sono possibili questi cambiamenti sono dunque “inefficienti” anche se la combinazione dei fattori nel momento produttivo è avvenuta con efficienza.

A titolo di esempio immaginiamo una comunità costituita da un certo numero di persone; l’insieme delle combinazioni tra i livelli di benessere che le persone possono raggiungere è delimitato da una curva, la frontiera delle utilità possibili (=FUP). In ogni punto all’interno di questa curva è possibile migliorare il benessere di ognuno via via che ci avviciniamo alla FUP. Giunti però alla frontiera, ad ogni spostamento lungo di essa è possibile accrescere il benessere di uno solo diminuendo il benessere di qualche altro. Ciò perché la FUP è il luogo dei punti dell’ottimo paretiano. Le situazioni dentro la curva non sono ottime.

La teoria dell’ottimo economico (teoria del benessere) tenta di individuare le condizioni di ottimalità33.

I contenuti della funzione del benessere sociale

Nella funzione del benessere sociale si esplicitano le relazioni tra il benessere della collettività e quello delle persone che ne fanno parte.

1 – l’obiettivo dell’ efficienza viene composto con l’obiettivo dell ’equità, della salvaguardia dell’ambiente, della piena occupazione, della stabilità dei prezzi, dell’equilibrio dei conti con l’estero,…e di altri obiettivi. Quando si intende comporre l’obiettivo di efficienza con quello di equità (Trade-off efficienza/equità) si fa riferimento alle due proposizioni di Pigou34 che costituiscono condizioni sufficienti per l’incremento del benessere economico. Pigou, aggiungendo alle ipotesi di cardinalità e comparabilità dei redditi il principio della decrescenza dell’utilità marginale del reddito, afferma:

a.- il benessere economico cresce se il volume del reddito nazionale aumenta senza che peggiori la distribuzione a danno dei meno abbienti (condizione di efficienza);

b.- il benessere economico cresce se migliora la distribuzione del reddito a favore dei meno abbienti e non si riduce il volume del reddito nazionale (condizione di equità).

Le conseguenze pratiche dell’analisi pigouviana sono due. La condizione di efficienza apre la strada alla massimizzazione del reddito nazionale e impone la rimozione della divergenza tra prodotto privato e prodotto sociale dato che le esternalità sono uno specifico dell’inefficienza del sistema;

la condizione di equità costitui
sce il fondamento teorico delle politiche di redistribuzione del reddito35.

2 – Diventa necessaria la conoscenza dei Trade off tra i diversi obiettivi in modo da pervenire alla misura di quanto costi il raggiungimento di una unità di un obiettivo in termini di rinuncia di una stessa unità di un altro obiettivo (costo-opportunità).

Delicati sono i modi di definizione della funzione del benessere sociale: cioè i pesi di ciascun obiettivo e i pesi da dare ai diversi interessi in conflitto, tenendo conto anche dell’interdipendenza tra scelte a diversi livelli di governo.

Considerazioni conclusive: i campi d’azione della cultura cattolica

Il Welfare State nacque dal fallimento di un mito che ora si ripresenta con la globalizzazione: il mito del mercato capace di autogovernarsi.

La questione che allora fu risolta a livello nazionale col solidarismo del Welfare State, si ripropone oggi a livello di sistema globale.

Il sistema globale esiste, ed esiste sostanzialmente come area di competizione capitalistica nella sua versione più devastante: quella finanziaria. Ora si tratta di costruire una Comunità internazionale fondata sul principio di sussidiarietà, regolata dal diritto e ordinata al bene comune.

Per passare dalla Babele della crisi attuale allo spirito della Pentecoste è necessario che la società civile faccia propri sistemi educativi che si spingano nel mare aperto di tutte le forme del sapere in modo da fruire degli apporti di filosofi, teologi e scienziati per una ricerca comune di significato. Un’educazione alla cittadinanza democratica planetaria, dunque, che postula approcci interculturali per la conquista di un’identità solidale.

Questi sistemi educativi possono diventare i vettori di una cultura per passare da una globalizzazione egemonizzata dagli aspetti finanziari ad una globalizzazione capace di superare concetti parziali e riduttivi dell’uomo: occorre recuperare un’etica della responsabilità e della reciprocità all’interno della riflessione economica. Ma non si può avere coscienza di sé senza educazione alla coscienza comunitaria e senza accogliere la diversità, il pluralismo e la reciprocità, né si può valorizzare il riferimento locale senza una valorizzazione all’appartenenza planetaria, così come non si fa educazione ai valori nazionali senza apertura all’interdipendenza tra le nazioni e le varie istituzioni.

Si tratta di dare risalto al momento della problematicità storica in un‘ottica post-conciliare e prendere coscienza che il campo di azione della cultura cattolica è quello proprio dei corpi intermedi dove si può marcare una presenza significativa e articolata non solo nella dimensione individuale, ma anche nella dimensione collettiva e in quella istituzionale.

In questa sussidiarietà orizzontale si schiudono opportunità di negoziazione e di testimonianza e occasioni per collocare tutti gli elementi di modernità, come il volontariato e il no profit, proprio nel momento in cui la globalizzazione e la desertificazione dell’area pubblica cancellano il territorio che diventa virtuale e dove, invece, i diritti fondamentali della dimensione locale preesistono anche rispetto al diritto positivo della società politicamente organizzata in Stato sovrano. La dimensione territoriale, dove i diritti umani sono tutelabili nella solidarietà in chiave locale, costituisce l’humus dove il messaggio sociale evangelico può radicarsi a rete e, perciò, esprimersi nel villaggio globale. Nella dimensione locale si concilia economia e politica, ricchezza e distribuzione, concorrenza e cooperazione. Il contributo che la Chiesa può offrire all’applicazione del Principio di sussidiarietà è insostituibile perché essa è diffusa capillarmente e ha una forte capacità di incidere sulla coscienza dei credenti per orientarli nel mondo in cui vivono, potendo agire sia localmente che globalmente36.

Orbene, per evitare che l’umanesimo si banalizzi nella filantropia va proposta come filosofia pubblica moderna la dottrina sociale della Chiesa che può trovare espressione anche nel pluralismo teorico e metodologico della scienza economica.

Una scienza, cioè, in grado di consentire l’individuazione di criteri per formulare giudizi sulla proporzione dei mezzi rispetto ai fini, sulla scelta dei mezzi più adatti nelle circostanze storiche date, sulla equa ripartizione dei costi e benefici sociali dello sviluppo e, infine, sulla distribuzione delle risorse tra impieghi a breve, medio e lungo termine.

La speranza, dunque, non va annoverata tra le buone intenzioni perché essa non si affida, deus ex machina, a un’oscura ‘mano invisibile’ liberistico-capitalistica; poggia invece sulla relazionalità fraterna e sul realismo della tensione progettuale della ‘mano visibile’ e consapevole del politico, dell’economista, dell’operatore e di tutti gli uomini di buona volontà.

In questa tensione progettuale l’economia si fa politica economica che persegue obiettivi comuni e condivisi. Nella politica economica incentrata sui valori della persona umana trova posto la collaborazione tra credenti e non credenti e tra credenti di altre religioni nella prospettiva di lavorare per la giustizia e la pace della famiglia umana.

*

NOTE

1 Cfr. E. Pierrot, Le attuali deformazioni del commercio mondiale, LA CIVILTA’ CATTOLICA, 18 dicembre 2004.

2 Cfr. P. Palazzi, La finanza e l’economia reale. Un rapporto perverso?, Volontari e Terzo Mondo, n. 1-2, 2010. Cfr. anche la nota del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, cit., che afferma “Negli ultimi decenni sono state le banche ad estendere il credito, il quale ha generato moneta, che a sua volta ha sollecitato un’ulteriore espansione del credito. Per una conoscenza approfondita sull’argomento si consiglia la lettura del volume di C. Gnesutta, G. M. Rey, G. C. Romagnoli, Capitale industriale e capitale finanziario nell’economia mondiale, il Mulino, Bologna, 2008. Si consiglia altresì la lettura del recente volume già citato di G. Tremonti, Uscita di sicurezza, cap. II, Il capitale «dominante», e cap. III, Il capitale finanziario tra geografia e alchimia.

3 Cfr. J. Rifkin, La fine del lavoro, Baldini &Castoldi, Milano 1995, pag. 345.

4 Cfr. J. Rifkin, op. cit. pag. 336

5 Le tre agenzie controllano il 95% del mercato dei servizi di rating (Moody’s il 40%, Standard & Poor’s il 39% e Fitch Ratings il 16%).

6 La storia dell’economia dimostra che la concorrenza non è stata tutelata dal mercato, ma dalle leggi anti-trust.

7 Cfr. G. Soros, La crisi del capitalismo globale, Ponte alle Grazie, Milano, 1999.

8 Lo scopo del Principio è di permettere che i cittadini rivitalizzino i corpi intermedi e che diventino protagonisti dello sviluppo e del governo del loro territorio. Per una sintetica e chiara descrizione della situazione sull’applicazione del Principio di Sussidiarietà in Italia è consigliabile la lettura dello scritto di F. Occhetta, La sussidiarietà: da principio a prassi, La Civiltà Cattolica 2012 I 126-139.

9 Cfr. R. Sitari, La solidarietà nel mondo globalizzato, STUDIUM, fascicolo n.4-2009.

10 Cfr. A. Sen, On Ethics and Economics, Basil Blackwell, Oxford 1987, cap. I.

Dalla ripresa di interesse sui rapporti tra economia ed etica emerge una problematica di rilievo sia per la teoria economica, sia per la riflessione filosofica. Cfr. F. Marzano, Economia ed etica, Rivista di teologia morale, fascicolo n. 107, 1995
.

11 Cfr. S. Zamagni, Economia e Etica – saggi sul fondamento etico del discorso economico, Ave, 1994.

12 Per un’esposizione della teoria dell’equilibrio economico generale di L. Walras, è consigliabile la lettura del volume di C. Napoleoni, L’equilibrio economico generale, Boringhieri, 1965, cap.1, “La formulazione generale della teoria walrasiana dell’equilibrio nella produzione e nello scambio”.

13 Cfr. R. Sitari, Lo sviluppo delle Biotecnologie tra etica, scienza e politica, LUMSA, Università, Supplemento a Lumsa News mensile, n. 11-12 novembre-dicembre 2007, Ristampa a cura dell’APVE, Roma, 27 ottobre 2008.

14 Tra la letteratura ormai copiosa su tali problemi, vanno segnalate quattro opere a carattere generale: F. Caffè, Elementi di Politica Economica, K libreria editrice, Roma, 1976, seconda edizione; N. Acocella, Fondamenti di Politica Economica, La Nuova Italia Scientifica , Carocci editore, Roma, novembre 1999, III ed.; G. C. Romagnoli, la voce “Mercato” e la voce “Economia Politica” entrambe contenute nel Lessico Sturziano, a cura di M. Cappellano, Caltagirone, 2011; G. Tremonti, Uscita di sicurezza, op. cit.

15 Cfr. R. Sitari, I presupposti dell’azione politica: una riflessione sul ruolo educativo della dottrina sociale della Chiesa, LIONS, Roma Capitolium, 27 ottobre 2011.

16 Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Libreria Editrice Vaticana, 2004.

17 Cfr. M. Toso, Come formare una nuova generazione di politici cattolici, La Società, n. 4/2011:

18 Cfr. Giovanni XXIII, Mater et Magistra, 20 maggio 1961.

19 Cfr. A. Agazzi, L’educazione al senso e all’azione sociale, in “I nuovi termini della questione sociale e l’enciclica Mater et Magistra”, ed. Vita e Pensiero, Milano, 1961, pagg. 187 e 189.

20 Cfr. Benedetto XVI, Caritas in Veritate, 29 giugno 2009, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2009

21 Cfr. Benedetto XVI, Recita dell’Angelus, in Piazza San Pietro, 14 novembre 2010.

22 Cfr. G. C. Romagnoli, Sviluppo economico e solidarietà, in “Cittadini del Mondo. Educare alla mondialità”, Università Gabriele D’Annunzio di Chieti, 1999.

23 Cfr. S. Zamagni, Non profit come economia civile. Per una fondazione economica della organizzazioni non profit, in S. Zamagni, (a cura di), “Non profit come economia civile”, il Mulino, Bologna, 1998.

24 Cfr. A. Clò, Incontro annuale della Società Italiana degli economisti, 1988, pag. 20.

25 Cfr. E. Pierrot, Le attuali deformazioni del commercio mondiale, op. cit.

26 Cfr. R. G. Lipsey, Introduzione all’economia, III ed. Etas Kompass, 1968, cap.38.

27 Per una sintesi molto chiara con la quale sono trattati i casi di inefficienza del mercato concorrenziale, si consiglia la lettura dell’introduzione di A. Pedone al vol, L’Analisi costi-benefici I. Aspetti e problemi generali, Formez, Napoli, 1976.

28 Cfr. G. Zanetti, Sviluppo sostenibile ruolo e scelte per le imprese, Synchron, 2/92.

29 Cfr. V. Hösle, Filosofia della crisi ecologica, Einaudi 1992, pagg. 112, 115 e 116.

30 Cfr. R. Papini e A. Pavan, (a cura di), Etica ed economia, 1,Marietti 1989, pagg. 22 e 24.

31 Cfr. K. J. Arrow, Una difficoltà nel concetto di benessere sociale, Saggi sulla moderna «economia del benessere», F. Caffè, (a cura di), Edizioni Scientifiche Einaudi, Torino, 1956.

32 Cfr. D. S. Watson, Economic policy: business and government London, 1960, pag. 742, Prospetto dei diversi concetti di benessere, in F. Caffè, Sistematica e Tecniche della Politica Economica, I – parte introduttiva, Edizioni Ricerche Roma, 1966.

33 La teoria dell’ottimo paretiano rimane il fondamento dell’economia del benessere; la sua rilevanza, tuttavia, è stata ridimensionata dal teorema del second best di Lipsey e Lancaster applicabile a quei casi in cui non si realizza almeno una delle condizioni che garantiscono l’ottimo assoluto. Il teorema, potenzialmente riferibile alla totalità delle situazioni reali, mette anche in discussione la possibilità di soddisfazione delle restanti condizioni necessarie per l’ottimo.

34 Cfr. A. C. Pigou, Alcuni aspetti dell’economia del benessere, Saggi sulla moderna «economia del benessere», F. Caffè, (a cura di), op. cit.

35 Cfr. N. Acocella, Fondamenti di Politica Economica, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 3ª edizione, novembre 1999, pagg. 109 e 110.

36 Cfr. G. P. Salvini, Recensione al vol. di C. Albini, Quale Cristianesimo in una società globalizzata? Milano, Paoline, 2003, in La Civiltà Cattolica III 2004, pagg. 549 e 550.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione