Verso il giubileo con san Carlo Borromeo

L’arcivescovo milanese si distense per la sua opera di misericordia e il suo farsi prossimo ai bisognosi, soprattutto nel tempo della peste

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La sera di sabato 3 novembre 1584 – e quindi liturgicamente già nella domenica 4 – morì a Milano l’arcivescovo cardinale Carlo Borromeo all’età di 46 anni. Al francescano milanese Francesco Panigarola (1548-1594) fu affidata l’orazione funerbre, che venne pubblicata dopo pochi mesi con il titolo “In morte e sopra il corpo dell’illustrissimo Carlo Borromeo, cardinale di Santa Prassede et arcivescovo di Milano”. La sua testimonianza ha un significato peculiare avendo condiviso con lo stesso arcivescovo milanese diversi momenti della vicendevole attività pastorale; un aspetto particolarmente evidenziato è come il cardinal Carlo Borromeo si fece prossimo ai bisognosi, soprattutto nel tempo della peste.

Poverello: come ardeva di amore, come si struggeva per te [Milano]: poveri artegiani, donne, fanciulli, mendichi, che tutti havete oerso il padre, ditelo voi, alle vostre schuole di dottrina cristiana, alle vostre fraternite, alle vostre compagnie, con che dolcezza veniva? Come trattava con tutti? Come accarezzava tutti? Come nelle occasioni di potervi giovare si vedeva, ch’egli rideva tutto e giubilava? Audienza più grata chi la diede mai? Ne più spedita, ne più amorevole? Per gli castelli, e per le più povere ville un contadino, una contadina come era sentita da lui? Come degnata? Come consolata? E in materia d’infermi; lasciamo andare come egli à vescovi, e a pirncipi, andasse volentieri; e in particolare, con quanto ardore egli corresse l’anno passato da Carlo Emanuele, duca di Savoia, ch’egli amò sempre come figlio, anzi come pupilla de suoi occhi, e sempre ne promise à se stesso cose grandi: mà qua dentro fra noi, nella nostra Città, e nelle nostre ville; qual nobile, quale ignobile, qual ricco, qual povero essendo infermo hebbe mai desiderio di vederlo, ch’egli di verno, di estate, di notte, di giorno, à ogni tempo, à ogni hora non vi corresse subito, e quivi con estrema familiarità, e dolcezza non lo consolasse, non lo aiutasse, non lo benedicesse, non lo benificasse? E del del tempo della peste non ve ne ricordate voi ò Milanesi? […] 

In somma, amore, bontà, prudenza, e diligenza habbiamo detto sin qui, che hanno fatto questo gran prelato, e hora un’altra cosa vi aggiongiamo, senza la quale tutte quelle altre sarebbono state nulla: cioè una stupenda costanza di mente, e fortezza d’animo: che pericoli? che minacce? che difficultà? Che preghiere? Che promesse? Che sottomessioni? Niuna cosa si trovò mai che torcesse quell’animo al bene. […] 

Nel tempo della peste, ò milanesi; in quel tempo vi raccordate voi, che erano desolate le vostre strade, chiuse le vostre porte, prohibiti i comercij, rifiutate le lettere, piena d’herbe la terra, infetta l’aria, dishabitate le case, ogni cosa campane, ogni cosa croci, ogni cosa cataletti, ogni cosa mort? E all’hora Città mia, quando la moglie fuggiva il marito, il marito la moglie, il figlio il padre, il padre il figlio, il fratello la sorella, la sorella il fratello; all’hora dico, madre, padre, figlio, fratello, sorella e marito, chi ti era, se non questo santissimo huomo? Che fatto ardito dal molto amore, ch’egli ti portava, senza un timore al mondo, nelle capanne, nelle case, ne i lazareti entrava, à i letti veniva, insin le vesti adoperava per soccorrerti? Di mano proprio i sacramenti dava, e mentre per le strade passava, più geloso di te, che di se stesso, ti avisava, che non ti aprossimassi à lui, il quale per soccorrerti, non si avertiva di avicinarsi à te: ò bravura, ò fortezza..

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Per un approfondimento

http://www.zenit.org/it/articles/verso-il-giubileo-con-il-beato-leopoldo-da-gaiche 

 

 

 

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ZENIT Staff

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