Venti le persone impegnate nel servizio missionario uccise nel 2008

Lo rivela il dossier annuale pubblicato dall’Agenzia “Fides”

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CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 1 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Sono venti le persone impegnate nel servizio missionario uccise nel 2008, secondo quanto rivelato nell’annuale dossier pubblicato dall’agenzia “Fides”, l’organo informativo della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

Si tratta dell’Arcivescovo caldeo di Mossul (Iraq), monsignor Paulos Faraj Rahho, di sedici sacerdoti, un religioso e due volontari laici.

Dal dossier emerge come anche nel 2008 sia stata l’Asia il continente con il più alto numero di persone impegnate nell’attività pastorale assassinate: sei sacerdoti, una volontaria laica, uccisi in Iraq, India, Sri Lanka, Filippine e Nepal.

A questo elenco provvisorio stilato annualmente dall’agenzia Fides, deve comunque essere aggiunta quella “nube di militi ignoti della grande causa di Dio”, secondo l’espressione coniata da Giovanni Paolo II, di cui forse non si avrà mai notizia, che in ogni angolo del pianeta soffrono e pagano anche con la vita la loro fede in Cristo.

Negli ultimi tempi il conteggio di Fides non riguarda più soltanto i missionari ad gentes in senso stretto, ma coloro che sono morti in modo violento, non espressamente “per odio alla fede”.

Molti sono stati uccisi in apparenti tentativi di rapina, come padre Brian Thorp assassinato nella sua parrocchia a Lamu, in Kenya, o lungo le strade che percorrevano per svolgere il loro ministero, magari solo al fine di impossessarsi dei loro autoveicoli.

Altri sono stati eliminati solo perché opponevano tenacemente l’amore all’odio, come padre Bernard Digal, il primo sacerdote cattolico rimasto ucciso nella campagna di violenza anticristiana compiuta da estremisti indù nello Stato indiano dell’Orissa.

Ancora in India, nello Stato indiano dell’Andhra Pradesh, è stato assassinato il sacerdote carmelitano padre Thomas Pandippallyil, mentre si recava in un villaggio per celebrare la santa messa.

In alcuni Stati, come in Venezuela e in Colombia, l’orrore della violenza e il dramma della povertà sono sullo sfondo degli assassinii di padre Orellana Hidalgo, trovato cadavere nella sua casa a Caracas e di padre Jaime Ossa Toro, accoltellato a Medellín.

La piccola comunità cattolica del Nepal conta il suo primo sacerdote ucciso, il salesiano padre Johnson Moyalan. Nel cuore della notte un gruppo di uomini armati è penetrato nella missione salesiana di Sirsia, a circa 15 chilometri dai confini tra l’India e il Nepal, uccidendo il missionario con due colpi di arma da fuoco.

Altri ancora sono stati assassinati mentre erano immersi nella preghiera, come padre Reynaldo Roda, raggiunto da colpi di arma da fuoco nella cappella di una missione nelle Filippine, dove poco prima aveva recitato il Santo Rosario.

“Tutti – sottolinea l’agenzia Fides – senza eroismi o proclami solenni, non hanno esitato a mettere quotidianamente a rischio la loro vita per non far mancare a quanti li circondavano il soffio vitale della speranza”.

In Sri Lanka, è stato ucciso padre Xavier Karunaratnam, da sempre impegnato nel fornire assistenza psicologica alle vittime del conflitto. Nella martoriata Repubblica Democratica del Congo ha trovato la morte anche il volontario laico Boduin Ntamenya, originario di Goma, ucciso mentre stava svolgendo il proprio lavoro in una zona di guerra.

Ci sono poi le vittime della follia omicida: è il caso di due sacerdoti gesuiti, padre Otto Messmer e padre Victor Betancourt, uccisi nella loro abitazione a Mosca da uno psicopatico.

“Come agli inizi, anche oggi Cristo ha bisogno di apostoli pronti a sacrificare se stessi. Ha bisogno di testimoni e di martiri come san Paolo”, si legge nel dossier della Fides, che richiama le parole pronunciate da Benedetto XVI durante la celebrazione dei Primi Vespri nella Basilica Ostiense di San Paolo fuori le Mura, il 28 giugno 2007.

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ZENIT Staff

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