«Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge» per non diventare tiepidi "chierici di Stato"

Ieri, nell’omelia per la Professione di Fede dell’Episcopato italiano, il Papa invita i Vescovi ad avere cura dei Sacerdoti e a non scendere a compromessi con lo spirito del mondo

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A primo impatto, potrebbe sembrare un po’ scontato il discorso di Papa Francesco all’Episcopato italiano riunito ieri nella Basilica Vaticana per la solenne Professione di fede. Se il Santo Padre però insiste su certi concetti, non lo fa perché non ha nulla di nuovo da dire, ma perché evidentemente, nel momento attuale, c’è bisogno di tornare all’essenza. Che nella Chiesa è solo una: Gesù Cristo.

Il Pontefice ha aperto infatti la sua riflessione di ieri partendo dall’interrogativo di Gesù a Pietro del Vangelo di Giovanni (Gv 21,15ss) «Mi ami tu? Mi sei amico?». La domanda è rivolta “a me e a ciascuno di noi” ha detto, e “se evitiamo di rispondere in maniera troppo affrettata e superficiale, essa ci spinge a guardarci dentro, a rientrare in noi stessi”.

Il primo problema è dunque capire se davvero si nutre amore per Gesù Cristo. È questa, secondo il Santo Padre, “l’unica questione veramente essenziale, premessa e condizione per pascere le sue pecore, i suoi agnelli, la sua Chiesa”. “Vivere di Lui – ha aggiunto – è la misura del nostro servizio ecclesiale, che si esprime nella disponibilità all’obbedienza, all’abbassamento” e soprattutto “alla donazione totale”.

“La conseguenza dell’amare il Signore è dare tutto, proprio tutto, fino alla stessa vita, per Lui” ha affermato il Papa; ed è “ciò che deve distinguere il nostro ministero pastorale”. I Vescovi, infatti, non sono “espressione di una struttura o di una necessità organizzativa” ha precisato il Santo Padre. Riecheggiano le parole che accompagnano il Pontificato di Bergoglio sin dalla prima Messa in Sistina con i cardinali, riprese anche da Bagnasco nella sua recente prolusione: “La Chiesa non è una ONG, ma una storia d’amore”.

Il compito di un Pastore – ha ribadito il Pontefice – è proprio l’amore, ovvero “essere segno della presenza e dell’azione del Signore risorto, a edificare, quindi, la comunità nella carità fraterna”. Tuttavia, ha avvertito, “anche l’amore più grande quando non è continuamente alimentato, si affievolisce e si spegne”.

Non a caso San Paolo ammonisce: «Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge». Perché nel momento in cui viene meno questa vigilanza – ha sottolineato il Papa – il Pastore diventa “tiepido, distratto, dimentico e persino insofferente”. La mancata vigilanza “lo seduce con la prospettiva della carriera, la lusinga del denaro e i compromessi con lo spirito del mondo; lo impigrisce, trasformandolo in un funzionario, un chierico di stato preoccupato più di sé, dell’organizzazione e delle strutture, che del vero bene del Popolo di Dio”.

Un monito senza mezzi termini. Ma il Pontefice non finisce qui e insiste: “Come l’Apostolo Pietro, si arriva a rinnegare il Signore, anche se formalmente ci si presenta e si parla in suo nome, e si offusca la santità della Madre Chiesa gerarchica, rendendola meno feconda”. Come Pietro, inoltre, “la domanda insistente e accorata di Gesù può lasciarci addolorati e maggiormente consapevoli della debolezza della nostra libertà, insidiata com’è da mille condizionamenti interni ed esterni, che spesso suscitano smarrimento, frustrazione, persino incredulità”.

Questi sentimenti – ha precisato Papa Francesco – di certo non vengono da Dio; piuttosto “di essi approfitta il Nemico, il Diavolo, per isolare nell’amarezza, nella lamentela e nello scoraggiamento”. Gesù “non umilia né abbandona al rimorso”, ma anzi “fa passare dalla disgregazione della vergogna al tessuto della fiducia, ridona coraggio, riaffida responsabilità, consegna alla missione”.

D’altronde significa questo “essere Pastori”: “Credere ogni giorno nella grazia e nella forza che ci viene dal Signore, nonostante la nostra debolezza, e assumere fino in fondo la responsabilità di camminare innanzi al gregge, sciolti da pesi che intralciano la sana celerità apostolica, e senza tentennamenti nella guida”. In tal senso, ha aggiunto il Papa, “essere Pastori vuol dire anche disporsi a camminare in mezzo e dietro al gregge: capaci di ascoltare il silenzioso racconto di chi soffre e di sostenere il passo di chi teme di non farcela; attenti a rialzare, a rassicurare e a infondere speranza”.

In particolare, il Pontefice ha invitato a riservare un “posto ben particolare” ai “nostri sacerdoti”. “Soprattutto per loro – ha detto – il nostro cuore, la nostra mano e la nostra porta restino aperte in ogni circostanza. Loro sono i primi fedeli che abbiamo noi Vescovi. Amiamoli di cuore! Sono i nostri figli e i nostri fratelli!”.

Prima della solenne Professione di fede – che “non è un atto formale, ma è rinnovare la nostra risposta al ‘Seguimi’ con cui si conclude il Vangelo di Giovanni” – Papa Francesco ha rivolto un pensiero a Maria, la Madre, sotto il cui manto ha posto sé stesso e tutti i vescovi, recitando una bellissima preghiera di affidamento e protezione.

Prima dell’omelia, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, aveva indirizzato al Pontefice un breve saluto dicendo: “Ci anima la sollecitudine di aiutare tutti, credenti e non credenti, a ritrovare fiducia nella vita, consapevoli che proprio dal Vangelo discende la proposta di una vita buona, di una vita riuscita”.

Il Papa ha risposto a braccio, complimentandosi per il lavoro “forte” dell’Assemblea e sottolineando i tanti compiti della Conferenza Episcopale. “Primo – ha detto – la Chiesa in Italia, il dialogo con le istituzioni culturali, sociali, politiche, che è un compito vostro e non è facile”. Poi, “il lavoro di fare le Conferenze regionali, perché siano la voce di tutte le regioni, tanto diverse” e il lavoro di “ridurre un po’ il numero delle diocesi tanto pesanti”, per cui è istituita un’apposita Commissione. “Andate avanti con fratellanza – ha ribadito il Santo Padre – la Conferenza episcopale vada avanti con questo dialogo con le istituzioni culturali, sociali, politiche. È cosa vostra. Avanti!”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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