Una vita ricca di amore e di grazia

Monsignor Porteous riflette sul sacerdozio

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di Karna Swanson

SYDNEY, Australia, martedì, 17 novembre 2009 (ZENIT.org).- La vita del sacerdote – nonostante le molte difficoltà – è anzitutto una vita ricca della grazia di Dio e dell’amore dei fedeli, afferma il Vescovo ausiliario di Sydney, Julian Porteous.

Il presule è autore di un libro dal titolo “After the Heart of God: The Life and Ministry of Priests at the Beginning of the Third Millennium” (Connorcourt Publishing, 2009), nel quale riflette sull’identità e la missione del sacerdote, nel contesto di una società in rapido mutamento.

Ordinato nel 1974, monsignor Porteous ripercorre i cambiamenti intervenuti nelle vite dei preti a contatto con la società moderna. Cambiamenti che egli stesso ha vissuto in prima persona.

In questa intervista rilasciata a ZENIT, il Vescovo sessantenne, che ha ricoperto per sette anni il ruolo di Rettore del Seminario del Buon Pastore, riflette sui diversi aspetti del sacerdozio, rivelando anche dettagli sulla propria vocazione.

Che cosa l’ha attratta della vita sacerdotale?

Monsignor Porteous: La mia vocazione è iniziata ai tempi della scuola primaria. Frequentavo una scuola cattolica. Ho ricevuto la chiamata quando ero in quinta o in sesta elementare. Alllora, ebbi la chiara sensazione che sarei diventato sacerdote.

Questa sensazione mi ha accompagnato nei primi anni del liceo e subito dopo il diploma sono entrato in seminario per iniziare gli studi sacerdotali. Ho sempre saputo che questa era la chiamata di Dio e l’ho conservata in me sin da quando avevo 11 o 12 anni.

La sua esperienza come prete e ora come Vescovo è andata oltre le sue aspettative?

Monsignor Porteous: Sicuramente sì. Ho sempre visto me stesso come un parroco e quella è sempre stata la mia idea di vita sacerdotale. Ed è quella la vita che poi ho vissuto. Sono sempre stato molto soddisfatto nello svolgere una normale attività pastorale da parroco.

È solo da pochi anni che ho assistito a un cambiamento significativo: da quando, cioè, mi è stato chiesto di diventare Rettore del seminario. Per me è stata una sorpresa, una richiesta inaspettata da parte dell’Arcivescovo. Ho ricoperto quel ruolo per sette anni e in questo periodo sono stato chiamato a diventare Vescovo.

Entrambi questi incarichi si sono presentati inaspettati perché ho sempre creduto che avrei trascorso la mia vita da parroco, ed è ciò che amo di più: il lavoro normale, quotidiano, di un prete.

Ha modo, da Vescovo, di poter ancora svolgere una parte di quel lavoro?

Monsignor Porteous: È molto difficile. Ma quando posso, sono contento. Per esempio, mentre il prete locale era in ferie, andavo in parrocchia, quando potevo, a dire la Messa del mattino. È stato molto bello tornare a celebrare una Messa quotidiana normale per la comunità parrocchiale.

Altre volte ho l’occasione di celebrare la Messa domenicale in parrocchia per una qualche visita ed è sempre un momento che apprezzo. Per me è sempre stata espressione di cosa vuol dire essere prete.

Parliamo adesso del suo libro “After the Heart of God”. In questo testo lei parla dell’identità e della missione del sacerdozio al giorno d’oggi. Secondo lei, i preti stanno attraversando una crisi di identità?

Monsignor Porteous: Nel libro parlo del fatto che vi sono stati cambiamenti significativi nell’intero contesto socio-culturale del sacerdozio e nella situazione ecclesiale dei sacerdoti.

La mia ordinazione risale al 1974 e quindi il libro ripercorre quegli anni in cui vi sono stati notevoli cambiamenti culturali. Anzitutto vi è stata una forte secolarizzazione, con un impatto sulla società nel suo insieme e sulla vita degli stessi cattolici.

Anche il contesto ecclesiale è cambiato molto. Pensiamo per esempio a come era la Chiesa nel periodo immediatamente dopo il Concilio Vaticano Secondo, al forte senso di ottimismo che si respirava. Ma poi sono emersi – soprattutto negli anni Settanta – molte questioni e problemi: un gran numero di preti lasciava il ministero; si è avuto un cambiamento religioso generale nella Chiesa, e chiaramente anche in Australia. Avevamo molti religiosi impegnati nelle nostre scuole e negli ospedali. Oggi la situazione è molto diversa.

Abbiamo anche visto cambiamenti nei preti, più al livello della pastorale locale. Abbiamo anche visto un rafforzamento – e questo è stato un bene naturalmente – dell’impegno dei laici nelle varie aree di servizio nella Chiesa.

Vi sono poi i cambiamenti intervenuti nell’ambito della liturgia… vi sono così tante cose che sono cambiate e che hanno influenzato i diversi aspetti della vita della Chiesa.

E i preti hanno attraversato questi cambiamenti – soprattutto i preti della mia età – a cui si sono dovuti adeguare adeguare al meglio delle loro possibilità.

Una delle questioni era quella del rapporto tra il ruolo del prete e il ruolo del laico nella Chiesa. Questioni relative a ciò che è stata definita talvolta come la clericalizzazione dei laici e la laicizzazione del clero. Questo può provocare un certo grado di confusione. Il fatto che i sacerdoti, prima, si trovassero spesso a vivere insieme ad altri preti: il parroco e uno o due preti assistenti. Invece ora i preti vivono da soli.

In passato esistevano strutture per la vita in sacrestia. Ora molto meno. Molti preti non hanno una perpetua che vive con loro. Alcuni, l’aiuto non ce l’hanno proprio.

Vi sono stati quindi molti cambiamenti nella vita dei sacerdoti, ma allo stesso tempo vi è stato un aumento della domanda rivolta ai preti.

Mentre prima i preti assistenti o le suore aiutavano nei programmi sacramentali, oggi vediamo che molto di questo lavoro sta tornando nelle mani dei sacerdoti. La vita è diventata più complessa. I preti si trovano sotto una pressione molto maggiore e ad essi viene chiesto molto di più; hanno molto più margine di responsabilità.

Credo che i preti sentano la pressione derivante dalle mutate circostanze in cui si trovano oggi.

Si tratta di una pressione positiva o negativa? Questi cambiamenti sono di ostacolo per i sacerdoti nell’adempimento del loro ruolo essenziale?

Monsignor Porteous: L’aumento della domanda sui preti spesso impedisce loro di concentrarsi sui compiti principali: sono molte le faccende di carattere gestionale che gravano su di loro e che possono distoglierli dal ruolo più direttamente pastorale e spirituale del sacerdote.

I preti vengono così distratti dalla loro missione essenziale: queste pressioni hanno reso loro la vita più difficile.

Una delle questioni che ritengo molto importante è il fatto che i sacerdoti sono in gran parte costretti a vivere da soli. E non è necessariamente la condizione umanamente migliore per un prete quella di non avere compagnia: un altro prete che, vivendo con lui, possa ascoltare e discutere delle esperienze quotidiane, di temi importanti, ecc. Queste condizioni hanno influito sulla qualità della vita dei preti e rappresentano la realtà delle circostanze in cui ci troviamo immersi oggi.

Sono convinto della necessità di escogitare modi per aiutare e assistere i sacerdoti in modo più efficace, per consentire loro di essere quei pastori che devono essere e di cui i parrocchiani hanno bisogno.

Che consigli si sente di dare ai parrocchiani che cercano di aiutare i loro preti ad essere sacerdoti fedeli?

Monsignor Porteous: Vogliamo che i nostri preti siano preti. Vogliamo che i nostri preti siano uomini di Dio. Vogliamo che i nostri preti siano anzitutto degli uomini spirituali.

E in questo senso vogliamo fare tutto ciò che è in nostro potere, dicendo: “Padre, abbiamo bisogno che lei sia così. Abbiamo bisogno di averla tra noi come uomo di Dio. Abbiamo bisogno di lei come nostra guida spirituale, per predicare e incoraggiare e edificare la nostra fede”.

Quindi, c
iò che potremmo fare è cercare di sostenere i preti perché possano dedicarsi al loro ruolo; cercare di alleggerire il suo lavoro negli ambiti che non sono essenziali al suo ministero pastorale.

Qual è il ruolo del sacerdote in una società sempre più secolarizzata?

Monsignor Porteous: Il ruolo del prete è quello di essere un uomo di Dio nella società. Per me è molto importante che i sacerdoti siano fiduciosi del fatto che – nonostante l’imperante secolarizzazione e il dilagante consumismo, e nonostante la grande attenzione che viene data alla vita mondana – ogni singola persona sente nel profondo di sé una sete spirituale e un bisogno di spiritualità.

I preti devono essere anzitutto coloro che vanno incontro a questo bisogno e che aiutano le persone a trovare Dio e a sviluppare un rapporto con Dio; devono essere coloro che presentano alla gente la visione di una vita fondata saldamente sulla fede. I preti hanno un ruolo unico da svolgere in questo. Nonostante molte persone siano lontane dalla fede, credo che la necessità di avere preti sia un bisogno fondamentale.

Oggi giorno il prete non gode più dello status che aveva nella società in passato, ma ha ancora un ruolo essenziale da svolgere. Credo che il sacerdote abbia un ruolo vitale nel rappresentare una sorta di voce profetica nella società, che ricordi alle persone degli ideali di vita più profondi, più spirituali, più morali e richiami l’importanza del vivere più in termini di eternità e meno in termini di immediato presente. Questo è un messaggio – e una testimonianza – molto importante che il sacerdote può dare.

La gente vuole che i preti facciano i preti e che vivano pienamente la loro identità e la natura della loro vita. I preti non si dovrebbero mai vergognare di ciò che rappresentano, di ciò che rappresenta la loro vita.

Che consigli vorrebbe dare a un giovane che si trova in fase di discernimento vocazionale?

Monsignor Porteous: La prima cosa che direi a ogni giovane è di vedere la propria vocazione soprattutto come una chiamata di Dio; una chiamata che è un dono di Cristo. Il giovane che guarda al sacerdozio dovrebbe scrutare nel suo cuore la chiamata di Dio. Per riconoscere che quello è ciò che Dio gli sta chiedendo. E poi per essere sicuro che Dio è con lui. Non si percorre il cammino del sacerdozio da soli. Anzi, la grazia di Dio accompagna colui che dona il suo cuore nel servizio sacerdotale in modo straordinario.

L’altra cosa che direi è che la vita di un prete è una vita di gioia nel servizio. Nell’abbracciare il sacerdozio come servizio il prete sperimenta un grande dono di amore da parte di coloro che egli serve. La vita di un sacerdote è ricca di amore e sostegno, soprattutto da parte di coloro che ricevono il suo ministero.

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ZENIT Staff

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