"Una spiritualità centrata sull'amore a Gesù" (Prima parte)

Testimoni della fede nel mondo militare / 1: Intervista con monsignor Vincenzo Pelvi su Giovanni XXIII

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di Daniele Rocchi

ROMA, lunedì, 5 novembre 2012 (ZENIT.org).- «In un mondo in cui spesso sembrano smarrite le tracce di Dio appa­re quanto mai urgente la te­stimonianza di alcuni militari e cappellani che hanno vissuto la franchezza dei profeti, non temendo di rischiare an­che la vita. È sempre più neces­sario fare memoria di tanti testimoni della fede che ci illuminano con il lo­ro esempio, intercedono per la nostra fedeltà, ci attendono nella gloria. E’ giusto risvegliare la memoria, additando significative figure di credenti come modelli per vivere l’Anno della fede appena cominciato»: con queste parole l’Arcivescovo Pelvi presenta l’iniziativa Testimoni della fede nel mondo militare.  

E’ quanto si propone la Chiesa Ordinariatoper dare seguito alle parole di Benedetto XVI che, nella sua Lettera apostolica Porta Fidei con la quale indice l’Anno della Fede, invita a tenere saldo lo sguardo a Cristo: «in Lui – scrive il Santo Padre – trova compimento ogni travaglio ed anelito del cuore umano. La gioia dell’amore, la risposta al dramma della sofferenza e del dolore, la forza del perdono davanti all’offesa ricevuta e la vittoria della vita dinanzi al vuoto della morte, tutto trova compimento nel mistero della sua Incarnazione, del suo farsi uomo, del condividere con noi la debolezza umana per trasformarla con la potenza della sua Risurrezione. In Lui, morto e risorto per la nostra salvezza, trovano piena luce gli esempi di fede che hanno segnato questi duemila anni della nostra storia di salvezza».

Tra questi “esempi di fede” vogliamo indicare anche alcune figure care alla storia della Chiesa castrense, e al tempo stesso della Chiesa italiana e universale, che ci accompagneranno, mese dopo mese, in un cammino di riflessione per rinvigorire la nostra fede. Con l’aiuto di mons. Pelvi, rileggeremo la vita e le opere, per riscoprire l’esempio e il messaggio di figure come Giovanni XXIII, cappellano militare dal 1901 al 1902 e dal 1915 al 1917, di don Carlo Gnocchi, cappellano degli Alpini, di Salvo D’Acquisto, Vice Brigadiere dei Carabinieri, di padre Giovanni Brevi, Eugenio Bullesi della Marina Militare, don Giuseppe Gabana, Tenente della Guardia di Finanza, del Servo di Dio don Giulio Facibeni, don Primo Mazzolari ed altri…

La prima figura esemplare di questo percorso che proponiamo, a partire dal 4 novembre, giorno in cui si festeggiano l’Unità nazionale e le Forze Armate, è Giovanni XXIII, il “Papa buono”, caro a tutta la nazione italiana.

«Domani parto per il servizio militare in sanità. Dove mi manderanno? Forse sul fronte nemico? Tornerò a Bergamo, oppure il Signore mi ha preparato la mia ultima ora sul campo di guerra? Nulla so; questo solamente voglio, la volontà di Dio in tutto e sempre, e la sua gloria nel sacrificio completo del mio essere. Così e solo così penso di mantenermi all’altezza della mia vocazione e di mostrare a fatti il mio vero amore per la Patriae per le anime dei miei fratelli. Lo spirito è pronto e lieto. Signore Gesù mantenetemi sempre in queste disposizioni. Maria, mia buona mamma, aiutatemi ut in omnibus glorificetur Christus». Chi scrive è il ‘capelàn’ Angelo Giuseppe Roncalli,  futuro papa Giovanni XXIII, nel suo “Giornale dell’anima”, il 23 maggio 1915. Non tutti sanno che Papa Giovanni XXIII, definito il Papa buono, prima di diventare Pontefice fu soldato caporale sergente dell’allora 73° Reggimento Fanteria dal 1901 al 1902 e tenente cappellano all’Ospedale militare di Bergamo dal 1915 al 1917. Di quegli anni ci sono altri scritti nel suo diario: «di tutto sono grato al Signore, ma particolarmente lo ringrazio perché a vent’anni ha voluto che facessi il mio bravo servizio militare e poi durante tutta la prima guerra mondiale lo rinnovassi da Sergente e da Cappellano». Con l’Ordinario militare per l’Italia, mons. Vincenzo Pelvi, ripercorriamo i tratti salienti di don Roncalli, cappellano militare, ponendolo all’attenzione della comunità dei credenti come testimone della fede, all’inizio, come detto, dell’Anno della Fede, e nella festa dell’Unità nazionale e delle Forze Armate, del 4 novembre.

Quali sono i tratti distintivi di Roncalli cappellano militare?

Monsignor Vincenzo Pelvi: Ut in omnibus glorificetur Christus,in tutto venga annunciato Cristo: è questo il senso che Giovanni XXIII diede alla sua vita sacerdotale. Partendo, perciò, per il servizio militare, dichiarò la sua totale disponibilità, leggendo anche nell’avvenimento triste della guerra una via per obbedire a Dio e fare la sua volontà. Nell’amore alla Patria vide concretamente manifestato la sua appartenenza ad un paese e ad un popolo chela Provvidenza accompagnava e custodiva. Papa Roncalli aveva a cuorela Nazione amandola non in modo puramente sentimentale. Egli volentieri come i giovani della sua zona andò soldato e, come aveva appreso dall’educazione cristiana in famiglia, considerava importante esprimere riconoscenza e rispetto perla Patria, seminando, pur in un contesto così tremendo di sacrificio e dolore, l’ideale della pace. Lo scoppio della guerra nel 1915 lo vide prodigarsi con autentico eroismo. Nel luglio del 1918 accettò generosamente di prestare servizio ai soldati affetti da tubercolosi, sapendo di rischiare la vita per il pericolo di contagio.

In che modo e quanto questo ministero orientò il suo magistero papale?

Monsignor Vincenzo Pelvi: Nel suo ministero di cappellano vedeva l’impegno per una effettiva unità degli italiani e un contributo all’edificazione di una società più giusta. Potremmo allora pensare che il tempo al servizio dello Stato come cappellano contribuì non poco ad orientare quei sentimenti e quelle riflessioni espresse, poi, nella Pacem in terris del 1963. Sapeva bene, stando accanto ai feriti e ai caduti, che la società andava ordinata secondo quattro valori: verità, giustizia, solidarietà e libertà. Potremmo dire che il Pontificato di Giovanni XXIII porta una novità nel contesto bellico di quel tempo. In seguito al suo intervento della crisi di Cuba, incoraggiato dalla speranza di un superamento della guerra fredda, egli avviò una sensibilità che proponeva un abbandono di ogni giustificazione della guerra, spostando la discussione sulla costruzione della pace dal terreno intellettuale a quello dell’azione pratica. La sofferenza della guerra vissuta in prima persona con i suoi drammi irrimediabili lo confermò nella consapevolezza che la pace è doverosa e possibile. Nella sua mitezza e semplicità non poteva condividere la legge del più forte. Egli, al contrario, considerava ogni uomo di buona volontà protagonista di una stagione di pace. E qui la preoccupazione di Papa Giovanni di superare gli stretti confini confessionali, invocando la collaborazione tra credenti in Cristo e appartenenti ad altre comunità religiose. Proprio per questo diventa ricco di quella profezia che invoca la necessità di un autorità internazionale che garantisca e tuteli il bene comune universale e la risoluzione non violenta dei problemi. Ne consegue che il Concilio da lui convocato diventa una intuizione profonda rivoluzionaria e costruttiva, dono della divina misericordia che abitava nel suo cuore. Un concilio pastorale per associare “i fratelli separati”. Grande la sua preoccupazione per l’unità, ricorrendo più al rimedio della misericordia che alle armi della severità. Un pontificato di quattro anni e mezzo durante il quale il Pontefice abbraccia il mondo, senza andare oltre Assisi, annunciando la logica del Vangelo come anima della pace.

[La seconda parte verrà pubblicata martedì 6 novembre]

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ZENIT Staff

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