Una giustizia con un'anima, che non condanni ma riabiliti

Il Papa scrive ai giuristi latino-americani ricordando che i crimini non si risolvono quando viene punito l’autore. Invoca poi maggiore attenzione per le vittime e le situazioni nelle carceri

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È una giustizia con un’anima quella che invoca Papa Francesco nel lungo messaggio ai partecipanti di due diversi incontri di giuristi latino-americani. Si tratta del 19.mo Congresso internazionale dell’Associazione internazionale di Diritto penale, che si svolgerà tra fine agosto e i primi di settembre a Rio de Janeiro, e del terzo Congresso dell’Associazione latinoamericana di Diritto Penale e Criminologia. 

Nel testo, il Pontefice ricorda il punto di vista cristiano della giustizia, secondo il quale essa non equivale solo a punire o vendicarsi di chi ha commesso un crimine, bensì andare incontro al colpevole per aiutarlo e riabilitarlo, prendendosi allo stesso tempo cura delle vittime.

Ai giuristi il Papa parla quindi di diritto, di colpe e di sentenze, ma anche di rispetto per “la dignità” e i “diritti della persona umana, senza discriminazioni e con le debite tutele verso le minoranze”. Proprio su queste ultime si concentra la sua attenzione, denunciando la crescente percentuale di stranieri e poveri rinchiusi nelle carceri. Due sono i motivi di tale realtà, secondo il Papa: anzitutto il fatto che gli svantaggiati hanno meno possibilità di difesa giuridica, e poi la condizione di degrado che spinge spesso queste persone a commettere reati, magari non gravi, ma facilmente perseguibili. 

“Non di rado – sottolinea Francesco – il reato è radicato nelle disuguaglianze economiche e sociali, nelle reti di corruzione e del crimine organizzato”, che cerca i propri complici “tra i più forti” e le proprie vittime “tra i più vulnerabili”. Tuttavia, combattere tale “flagello”, per il Pontefice “non basta avere leggi giuste”, ma “è necessario formare persone responsabili e capaci di attuarle”.

Bergoglio predica misericordia e rispetto, ma non dimentica il dolore delle vittime dei crimini altrui. Scrive infatti: “Si tende a pensare che i crimini siano risolti quando si cattura e condanna l’autore del reato, tralasciando il danno commesso o senza prestare sufficiente attenzione alla situazione in cui versano le vittime”. Pertanto, aggiunge, è “un errore identificare la riparazione solo con la punizione, confondere la giustizia con la vendetta, che aumenterebbe solo la violenza, anche se è istituzionalizzata”.  

Finora, osserva il Vescovo di Roma, raramente un aumento o inasprimento delle pene ha risolto i problemi sociali, o portato ad un calo dei tassi di criminalità. Finora, ciò che si è visto sono solo carceri sovraffollate o detenuti – appunto poveri e stranieri – dietro le sbarre, spesso anche senza processo. “In quante occasioni – domanda Francesco – si è visto il reo espiare la pena oggettivamente, scontando la propria condanna ma senza cambiare interiormente né sanare le ferite del suo cuore?”.

Un monito va anche ai media affinché, nel “loro legittimo esercizio della libertà di stampa”, siano attenti ad “informare correttamente e non creare allarme o panico sociale quando si hanno notizie di fatti criminali”. Al di là della notizia, – rimarca il Pontefice – ci sono in gioco “la vita e la dignità delle persone”, e queste “non possono trasformarsi in casi clamorosi, spesso anche morbosi, che condannano i presunti colpevoli al discredito sociale prima di essere stati giudicati”. Tantomeno, “mirando al sensazionalismo”, – soggiunge – si possono costringere le vittime “a rivivere pubblicamente il dolore patito”.

Quella proposta da Bergoglio è dunque una giustizia “umanizzante” e “realmente capace di riconciliare”. Essa si può realizzare seguendo il modello di tre figure presenti nella Sacra Scrittura: il Buon samaritano, il Buon ladrone e il Buon Pastore. A questi tre esempi corrispondono tre elementi che i giuristi, nel svolgere il proprio lavoro, dovrebbero tenere sempre a mente: la “soddisfazione o riparazione del danno provocato”, la “confessione, con cui l’uomo esprime la sua conversione interiore”, e la “contrizione” che lo porta a incontrare “l’amore misericordioso e guaritore di Dio”.

“Esiste una asimmetria necessaria tra delitto e castigo, per cui a un occhio o a un dente rotto non si rimedia rompendone un altro. Si tratta di rendere giustizia alla vittima, non di giustiziare l’aggressore”, afferma il Santo Padre. Il Buon Samaritano è un ottimo “modello” di ciò: egli, prima di mettere il colpevole di fronte alle conseguenze del suo atto, si china su “chi è stato ferito lungo la strada e si prende cura dei suoi bisogni”.

Inoltre, “se l’autore del reato non è sufficientemente aiutato, non gli si offre l’occasione perché possa convertirsi e finisce per essere una vittima del sistema”. Quindi, è certamente “necessario fare giustizia”, ma questa giustizia, per essere “vera”, non deve accontentarsi “di punire solo i colpevoli”, ma fare “tutto il possibile per correggere, migliorare ed educare l’uomo a maturare in tutte le sue forme, perché non si scoraggi, faccia fronte al danno causato e riesca a rilanciare la sua vita senza essere schiacciato dal peso delle sue miserie”.

In tal senso è utile osservare la figura biblica del Buon Ladrone, a cui “Gesù promette il Paradiso”, proprio per il fatto che “fu capace di riconoscere la sua colpa”. A tale aspetto della confessione si lega poi quello della “contrizione”, ovvero “la porta del pentimento”, nonché “via privilegiata che conduce al cuore di Dio, che ci accoglie e ci offre un’altra possibilità, se ci apriamo alla verità della penitenza e ci lasciamo trasformare dalla sua misericordia”.

L’esempio, in questo caso, è il Buon Pastore che abbandona il gregge alla ricerca della pecora perduta. Come il Signore che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, Gesù – rimarca il Santo Padre – “invita i suoi discepoli a essere misericordiosi, a fare del bene a coloro che fanno del male, a pregare per i nemici, a porgere l’altra guancia, non a serbare rancore”. È così che “l’atteggiamento di Dio che anticipa l’uomo peccatore offrendogli il perdono”, si presenta “come una giustizia superiore, allo stesso tempo leale e compassionevole, senza alcuna contraddizione tra questi due aspetti”.

Di fatto, sottolinea Bergoglio, il perdono “non elimina né diminuisce la necessità di correzione, propria della giustizia, né prescinde dalla necessità della conversione personale”. Il perdono va ben oltre, “cercando di restaurare le relazioni e reintegrare le persone nella società”.

In sintesi, dunque, per la Chiesa giustizia e diritto non devono rappresentare una spasmodica ricerca dei mezzi più adatti per “sopprimere, scoraggiare e isolare” gli autori dei crimini, ma una spinta forte a ricondurli “per i sentieri del bene”. Non è facile – scrive Francesco – anzi è una vera “sfida”, che tuttavia bisogna “raccogliere” perché “non cada nel dimenticatoio”. Il perdono, conclude il Papa, deve “rimanere non solo nella sfera privata”, ma deve raggiungere “una vera dimensione politica e istituzionale”, al fine di creare “relazioni di armoniosa convivenza”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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