San Filippo Neri

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"Una gioia contagiosa". Parolin conclude l'Anno Giubilare di San Filippo Neri

Ieri la Messa presso Santa Maria in Vallicella, insieme agli oratoriani del mondo, per il V Centenario della nascita dell’apostolo di Roma

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“Figliuoli, state allegri, state allegri. Voglio che non facciate peccati, ma che siate allegri”. Ha esordito citando la celebre esortazione di San Filippo Neri, il cardinale Pietro Parolin nella sua omelia per la Messa di ieri, presso la Chiesa di Santa Maria in Vallicella, a conclusione dell’Anno Giubilare per il quinto Centenario della nascita dell’apostolo di Roma.
Insieme al Segretario di Stato – informa la Radio Vaticana – hanno concelebrato i vescovi oratoriani mons. Edoardo Aldo Cerrato, vescovo di Ivrea, e mons. Robert Byrne, ausiliare di Birmingham, e con loro padre Felix Selden, delegato apostolico della Santa Sede per l’Oratorio, padre Mario Alberto Avilés, procuratore generale della Confederazione degli Oratori, e numerosi sacerdoti oratoriani di tutto il mondo.
Il porporato ha ricordato in particolare due aspetti che hanno caratterizzato la vita del Santo: “L’allegrezza e la gioia”; entrambe, ha detto, sono “frutto dell’incontro con Cristo, con la sua Parola, con il suo messaggio di salvezza. Una gioia che è contagiosa, che si trasmette per contatto, per emulazione, per frequentazione”.  Secondo Parolin, “in questo nostro mondo, dove sembra regnare l’egoismo, la tristezza e l’angoscia per il futuro l’esempio di San Filippo Neri è quanto mai attuale, perché indica la via per giungere alla vera letizia del cuore: l’incontro con Cristo, l’unico che autenticamente può dare all’uomo la pace e la pienezza desiderate”.
Apostolo “a volte anche scomodo”, Filippo Neri “annunciava l’amore e la misericordia divina a quanti vivevano nell’indigenza, nel peccato, nella desolazione assoluta, a persone per le quali il termine speranza non aveva nessun significato. Si fece apostolo tra coloro che non solo erano lontani da Dio, ma neppure avevano il tempo di pensare che la redenzione fosse una possibilità alla loro portata. Questa massa di disperati trovò nel santo il motivo per ricominciare a sperare, per ritrovare la forza di iniziare un nuovo cammino”.
Egli – ha sottolineato il cardinale – “non aveva formule magiche, non aveva il potere di cambiare le sorti di migliaia di miseri e di gente a cui mancava tutto, ma si fece uno di loro, si spogliò di tutto se stesso e condivise il loro cammino. Per questa solidarietà, la sua testimonianza lo rese credibile agli occhi dei suoi contemporanei e aprì una breccia nei loro cuori, molto più di migliaia di prediche e di rimproveri”.
Roma intera riconobbe nel Santo il “suo benefattore”, “uno che aveva dato una scossa morale, svegliando la città dal torpore spirituale in cui era caduta”. I giovani lo seguivano “perché parlava in modo comprensibile, sincero, senza remore, né elucubrazioni. Indicava loro che Gesù li ama, che vuole la loro salvezza, che li attende per renderli felici. Parlava della gioia e non reprimeva il loro entusiasmo giovanile, chiedeva solo che si divertissero, ma senza fare peccati”.
Egli “distingueva il divertimento dal peccato, cosa non comune nella mentalità del tempo”. Per questi i ragazzi “accorrevano a lui a frotte”, perché – ha sottolineato Parolin –  “si sentivano amati, protetti, incoraggiati, seguiti. Filippo non deluse mai le loro aspettative, anzi, si donò interamente a loro per farli crescere come cittadini e come cristiani. Voleva farne dei santi, perché considerava Cristo il tesoro più prezioso da trasmettere”.
San Filippo Neri si può definire allora “il prete per ogni epoca”: “Grazie alla sua azione – ha aggiunto il Segretario di Stato – la Chiesa ritornò a occuparsi della cura delle anime come sua priorità, con quella vicinanza ai fedeli che lo contraddistingueva. Il suo metodo di apostolato, improntato all’amicizia e alla relazione personale con Cristo, il richiamo alla misericordia e all’amore divino, fecero breccia nei cuori della gente”.
Proprio “da questa gioia e dall’esperienza di comunione con il Signore scaturì l’Oratorio”, una realtà ecclesiale che si caratterizza “per la gioia spirituale che per sua natura è contagiosa”. L’Oratorio, infatti, ha detto il porporato, “si alimenta e trova la sua ragione d’essere  intorno alla mensa del Corpo e del Sangue di Cristo e alla mensa della Parola di Dio. Nel reciproco affetto tra i suoi membri – ha concluso il cardinale Parolin – l’Oratorio testimonia che l’amore di Cristo supera ogni divisione e ogni differenza. E’ una scuola per renderci tutti fratelli e figli dello stesso Padre”.
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ZENIT Staff

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