Una fede che si "impara"…

Commento al Vangelo della Domenica in albis

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Una fede oltre la carne. Come quella di San Pietro, come quella imparata da San Paolo. Gesù oltrepassa la porta sprangata delle paure e dei dubbi, il velo ostinato che copre occhi, mente e cuore e impedisce di riconoscere, oltre le apparenze, nelle pieghe della carne e della storia, la presenza certa e amorevole del Signore.

Dio è. Dio è oltre la morte, oltre il peccato, oltre la contingenza che ci atterrisce.Per vederlo e crederlo occorre un supplemento d’anima, uno sguardo diverso, una testimonianza piantata nel cuore.  Occorre una rivelazione celeste, lo Spirito Santo. Ecco quello che è mancato a Tommaso, ciò di cui, la sua povera carne piena di esigenza, aveva bisogno. Come noi oggi. La fede.

Ma la fede si impara: “La professione della fede è un atto personale e insieme comunitario. E’ la Chiesa, infatti, il primo soggetto della fede. Nella fede della Comunità cristiana ognuno riceve il Battesimo, segno efficace dell’ingresso nel popolo dei credenti per ottenere la salvezza… «Io credo»: è anche la Chiesa nostra Madre, che risponde a Dio con la sua fede e che ci insegna a dire «Io credo», «Noi crediamo»” (Benedetto XVI, Porta Fidei). 

Per questo Gesù non rimprovera Tommaso, ma lo invita a porsi in cammino, a diventare un “credente”, a imparare la fede, quella che oltrepassa la carne. E questo si può solo nella comunità! Tommaso era fuori quando, la domenica di Pasqua, Gesù è apparso agli altri apostoli. 

Gemello del Signore, Tommaso (questo significa Didimo), stava cercando, come tutti i gemelli, la parte di sé che gli era venuta meno! Cercava un segno nelle piaghe di Gesù, perché cercava un senso alle sue ferite, al dolore della sua vita: infatti, “colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, dicendo: Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, in mezzo all’assemblea canterò le tue lodi… Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch’egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che dalla morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita” (cfr. Eb. 2, 11-14).

Tommaso, mosso dalla carne, dal bisogno di toccare e vedere, era andato a cercare il suo gemello, l’unica parte di sé che poteva dare compimento e completezza alla sua vita, ma lo era andato a cercare lontano dalla verità, dallo stesso corpo di Cristo che è la comunione, la comunità dei suoi fratelli.

Forse voleva un rapporto diverso ed esclusivo, forse voleva seguire il suo istinto, gli schemi mondani, forse, semplicemente, era andato alla tomba, ancora incredulo. Di certo, come ciascuno di noi, Tommaso era andato a cercare il Signore laddove la carne lo aveva guidato, per ritrovare l’unico che poteva dare Pace alla sua vita.

E, come noi, aveva dimenticato che l’unico luogo dove ricevere la virtù soprannaturale della fede, dove toccare e vedere Cristo risorto, dove sperimentare il suo amore più forte della morte, è la Chiesa, la comunità. 

Ma il Signore amava Tommaso, come ama noi. E ci attende con pazienza, e viene a cercarci ancora. Tommaso torna nella comunità, ascolta l’annuncio, non crede, ma è lì, con i suoi fratelli. E tanto basta, e questo è tutto. Perché Gesù torna dai suoi, e si fa presente, come il giorno di Pasqua, in questo giorno che, per il suo apparire, diviene un unico giorno, il grande giorno della vittoria sul peccato e la morte!

Sì, quest’oggi, domenica in albis, la Chiesa lo vive come il giorno di Pasqua, stesse antifone, stesso prefazio, ed è il segno dell’amore di Cristo che, risorto, dilata il tempo sino a che esso raggiunga anche Tommaso, e, in lui, tocchi con la sua carne risorta, ogni uomo.

E così ogni domenica è Pasqua, perché la resurrezione, il perdono, la vittoria di Cristo attiri e assorba anche gli uomini più lontani, i tanti gemelli di Gesù dispersi a cercare quella parte di sé che manca perché essi siano felici.

I segni che Gesù aveva mostrato agli altri apostoli una settimana prima, i sacramenti della sua resurrezione, sono ora davanti a Tommaso. Ma, soli, non bastano. E’ necessario, come lo è stato per i suoi fratelli, ricevere lo Spirito Santo, la Rivelazione del Padre che ha fatto beato Pietro, quel supplemento d’anima che libera lo sguardo oltre le ferite nella carne e induce a oltrepassare le porte della sola ragione, della propria carne esigente di prove e conferme.

E’ l’amore di Dio, l’amore di Cristo sigillato dallo Spirito Santo, lo stesso che ha fatto conoscere a San Paolo Cristo non più secondo la carne, e lo ha colmato della speranza che non delude. E’ lo Spirito Santo che, nel cammino della storia, condurrà san Tommaso, e ciascuno di noi, a riconoscere il nostro Signore e il nostro Dio, nelle nostre stesse piaghe, nelle ferite della nostra vita. La Croce gloriosa, la vita oltre la morte.

E’ questo il senso più profondo del Vangelo di oggi, della stessa figura di Tommaso, un gemello nel cui cuore risuona sempre l’eco della presenza del proprio fratello. Gemello di Cristo, come ciascuno di noi. Per questo le sue ferite sono le nostre, e la fede non si ferma a un evento registrato dai sensi, ma va al di là, alla presenza misteriosa eppure concreta e reale, della sua vittoria, della sua vita dentro la nostra vita.

Nella Chiesa, nella comunità appare allora la fede: in essa si possono toccare le ferite di Cristo, le proprie ferite, e vederle trasfigurate, gloriose della gloria risorta. Toccare il dolore salvato, le piaghe gloriose della propria storia perché, invece di generare i peccati generati dalla paura della morte nell’illusione che possano colmare il vuoto e leniscano il dolore, esse divengano la fonte di una vita nuova, donata a Cristo e ai fratelli.

Nella Chiesa si impara dunque la fede adulta, che ama, che spera, che vive nella verità, che obbedisce, che non resiste al male, che si apre alla vita, che vive le relazioni nella castità e nel rispetto, libera dagli idoli di questo mondo. “Mio Signore e mio Dio”, è la fede che vede l’amore di Dio in ogni piaga, e può abbandonarsi ad esso con fiducia, insieme con i propri fratelli, gemelli di Cristo.

In questo giorno, “ottavo” dopo la resurrezione, Cristo risorto viene nelle nostre case, nelle famiglie, nelle comunità, nei nostri luoghi per farne un cenacolo dove ogni rapporto è trasfigurato. Oggi mia moglie è prima di tutto gemella di Gesù e sorella mia, così come il marito, i figli, il fidanzato, i colleghi, i parenti.

Ciò significa guardare e parlare a tutti cercando e trovando in ciascuno i tratti del cuore che assomigliano a quelli di Cristo. Non andrò più a guardare i difetti, i peccati, ma la luce della Divina Misericordia che trasfigura anche il peggior peccato in uno scrigno che custodisce l’amore di Cristo più forte della morte.

“Diventa credente” ci dice oggi il Signore, ovvero in cammino nella storia, in comunione con i fratelli, anche notte oscura, quella che sottrae consolazioni e nasconde vita e bellezza in una tomba, con la sola certezza della fede sigillata istante dopo istante, che nel buio più oscuro, come celata in un’ostrica, è vivo ed è pronta a risorgere la perla preziosa del suo amore che mai ci abbandona.

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Antonello Iapicca

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