Un'umanità unita nella pluralità

Il cardinale Vegliò interviene sui fenomeni di migrazione e integrazione durante l’Incontro Internazionale per la Pace a Sarajevo promosso dalla Comunità di Sant’Egidio

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di Salvatore Cernuzio

ROMA, martedì, 11 settembre 2012 (ZENIT.org) – Favorire l’integrazione dei migranti attraverso concrete e adeguate politiche migratorie che seguano l’insegnamento della Chiesa e siano sostenute da giovani, laici e associazioni.

Questo il tema su cui si è articolato il discorso del cardinale Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, pronunciato, questa mattina, nell’ultima giornata dell’Incontro Internazionale per la Pace a Sarajevo.

L’Incontro di Preghiera che ha riunito le grandi religioni mondiali, ha preso il via domenica 9 settembre ed è stato promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, nello spirito dello storico Incontro di Assisi voluto da Giovanni Paolo II nel 1986.

Secondo il cardinale Vegliò, sono circa 214 milioni le persone coinvolte oggi nel fenomeno migratorio, in base alle stime dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. Una cifra che si conta a partire dalla seconda metà del XIX secolo, quando, cioè, l’emigrazione italiana divenne fenomeno di massa, “sotto la spinta di acute e spesso drammatiche situazioni di povertà e insicurezza economica”.

Da allora, aggiunge il porporato, “la sollecitudine pastorale della Chiesa in campo migratorio cominciò a prendere forma stabile, strutturata e via via sempre più capillare”.

La Chiesa nel suo servizio pastorale, infatti, “non si rivolge soltanto ai credenti”, ma – spiega Vegliò -è attenta a promuovere quell’“umanesimo planetario”, espresso già da Paolo VI nell’Enciclica Populorum progressio, che porta ad assumere una “visione integrale dell’uomo, contemplata con lo sguardo purificato dalla carità” (Benedetto XVI, Caritas in veritate, n°32).  

All’interno di questa visione “sono compresi anche tutti coloro che, per diverse ragioni, sono coinvolti nelle migrazioni”. In particolare nel rapporto tra l’immigrato e la nuova società che lo accoglie, la Chiesa parla di “integrazione”, quale “valore che va realizzato anzitutto all’interno della comunità ecclesiale, prima ancora che nella società civile”.

Il termine “integrazione” ha, però, un valore relativo – osserva il cardinale – che “può essere chiarito con altre realtà come inserimento, partecipazione, inclusione e persino comunione”. Tale processo, al contempo, incorre in due rischi: l’assimilazione, “che pregiudica l’identità del soggetto etnico immigrato”; e l’esclusione, “che emargina le persone dalla società maggioritaria, con il rischio di creare situazioni di ghetto, degrado e delinquenza”.

La Chiesa, da parte sua, non intende “colmare semplicemente un vuoto e supplire all’assenza delle istituzioni pubbliche”. È questo un secondo equivoco che risalta nei processi di integrazione,  secondo il presidente del Dicastero dei Migranti. Essa, a volte, “si trova da sola a gestire situazioni d’emergenza e a difendere la dignità umana dei migranti”; tuttavia, la sua azione di soccorso mira “a rispondere ai bisogni primari riguardanti la salute, l’istruzione, i rapporti sociali, le questioni abitative e di impiego”.

Si delinea, perciò, una “strada maestra” per favorire l’integrazione, secondo il porporato: ovvero “l’adozione di adeguate politiche migratorie, che non vanno affidate al caso o all’intuito di qualche uomo politico e nemmeno alla buona volontà di qualche istituzione”. Al contrario, è necessario “elaborare precise normative che assicurino stabilità e garantiscano a tutti la salvaguardia dei propri diritti e l’obbligatorietà dei relativi doveri”.

Spetta, inoltre, ai laici cristiani, ai gruppi, alle associazioni e agli organismi di ispirazione ecclesiale, “assicurare una maggiore concretezza” agli orientamenti dettati dalla Chiesa che si ispirano “ai diritti fondamentali e alla grande tradizione della civiltà cristiana”.

Alla luce di tutto ciò, la sfida diventa, allora, elaborare una nuova via all’integrazione, “non come soluzione studiata a tavolino, ma come sperimentazione di un processo di coesione e partecipazione”. Ciò sarà possibile, sostiene Vegliò, “nella misura in cui sapremo diffondere la consapevolezza che la presenza dei migranti – citando Benedetto XVI, nell’Angelus del 14 gennaio 2007 – è “una grande risorsa per il cammino dell’umanità”.

Tra gli obiettivi più impegnativi del terzo millennio, dunque: “imparare a vivere uniti nella diversità e nella molteplicità delle culture, delle etnie e delle religioni”. Conclude il cardinale: “Il rispetto e il riconoscimento delle diverse identità culturali non devono creare ostacoli, ma proporsi come condizione essenziale per la costruzione di una umanità unita nella pluralità”.

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ZENIT Staff

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