Un "Paese smarrito" che ha bisogno di una bussola

L’Osservatorio internazionale cardinale Van Thuan pubblica un Appello rivolto ai politici italiani affinché ridiano “spazio e vitalità alla società civile”

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L’Osservatorio internazionale cardinale Van  Thuân, presieduto dall’Arcivescovo Giampaolo Crepaldi, nel suo decimo anno di attività ha pubblicato un Appello politico agli italiani dal  titolo Un Paese smarrito e la speranza di un popolo: 86 pagine stringate, linguaggio tagliente, nessuna concessione alla retorica.

La storia ci ha finora detto che nei grandi momenti di difficoltà, nelle fasi di passaggio in cui non si riesce a staccarsi dal vecchio e nemmeno a prefigurare il nuovo, i cattolici hanno sempre animato la rinascita della nazione. Che oggi l’Italia sia un “Paese smarrito” è sotto gli occhi di tutti. Non è tanto la crisi economica, quanto la stanchezza morale e spirituale e l’oblio della propria identità. Che però ci sia ancora un “popolo” a cui dare speranza è altrettanto vero, un popolo che anima “un Paese sotterraneo, vivo e promettente e che non trova le fessure per emergere adeguatamente”, un popolo che ancora non è stato totalmente invaso dalla omologazione del perbenismo culturale e istituzionale. E soprattutto è vero che la fede cattolica può sprigionare una nuova tensione costruttiva nel Paese.

L’Appello dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân non cerca il consenso di tutti, è rivolto a tutti, ma non è su misura per tutti, perché in questo caso ci si accorderebbe su un minimo comun denominatore insufficiente in una situazione di crisi profonda come è la nostra. È già successo così anche in passato e in questo senso l’Appello produce una sensibile discontinuità rispetto al “consociativismo cattolico”. Si assume la responsabilità di fare una proposta netta e organica attorno alla quale è possibile poi aggregare un consenso allargato.

L’Appello dell’Osservatorio è scritto in tono asciutto, non cerca il consenso di maniera, chiama le cose con il loro nome. Sa che “i cattolici da tempo non sanno fare una proposta organica, coerente, unitaria, lungimirante e, soprattutto, chiaramente ispirata alla propria tradizione, alla propria dottrina, alla propria fede”. Sa anche che “non l’hanno saputa fare perché troppi tra di loro pensano che non si possa fare e che non si debba fare”. E così va al cuore delle stesse divisioni interne al mondo cattolico ed ecclesiale. Nella consapevolezza, però, che “l’Italia ha bisogno dei cattolici, e i cattolici hanno bisogno dell’Italia” e che il Paese si trova in una situazione bloccata, fa alcune proposte di un nuovo cammino che non sia semplice cabotaggio.

L’Italia può ripartire, secondo l’Appello dell’Osservatorio, se vince “l’indebolimento morale, il ripiegamento malinconico su se stessi e l’adattamento acritico al nuovo che avanza”. Purtroppo “non sempre si è avuto coraggio, un coraggio di popolo, per porre il proprio sigillo sulle novità, per esaminarle con discernimento alla luce dei valori che ci hanno resi, finora, “italiani”.

C’è del realismo in quel “finora”, ma non disfattismo. “L’incontro tra fede e ragione appartiene alla storia del nostro Paese e questo incontro ha fatto del bene in profondità. Esso deve appartenere anche al futuro. Non ci sono garanzie per nessuno, né per la ragione né per la fede, né per i laici né per i cattolici. Ci sono responsabilità vere da assumere insieme”.

I contenuti riguardano la ripresa dell’iniziativa politica, la trasformazione dei partiti, la riforma elettorale, quella delle istituzioni e della Costituzione, la libertà di educazione e la riforma della giustizia – “la nostra giustizia è troppo politicizzata” – il futuro della comunicazione – “la RAI va privatizzata perché l’informazione non la fa lo Stato ma i soggetti culturali presenti nella società civile” – fino ad entrare in problemi specifici del lavoro: “l’articolo 18 va rivisto in cambio di maggiore flessibilità in uscita”.

Nella società italiana bisogna creare spazi di sussidiarietà moralmente qualificata, non spazi privatistici, ma spazi pubblici caratterizzati dai doveri prima che dai diritti. Bisogna ridare spazio e vitalità alla  società civile, considerandola finalmente maggiorenne. Occorre ricostruire un patto costituzionale sostanziale: mentre si cambia la  lettera della Costituzione si perde il consenso sui valori pre-costituzionali. C’è bisogno della rivoluzione politica della libertà di educazione, che sprigionerebbe innumerevoli energie finora sopite: “nulla in Italia sarebbe come prima se fosse attuata questa rivoluzione educativa”.

La macchina statale va riformata, ma in senso orizzontale: “lo Stato deve liberare spazi, deve retrocedere da ambiti, deve delegare sussidiariamente in orizzontale, deve dimagrire”. E va cercata una nuova solidarietà del lavoro e della produzione. L’Italia ha anche bisogno di riscoprire il proprio volto di nazione: “la nazione italiana non deve morire sotto le invadenze dell’Unione europea né può essere frammentata in un localismo folcloristico” e “l’integrazione economica europea non può essere scambiata con una ideologia contraria alla vita e alla famiglia. Questo scambio non può essere accettato”. C’è bisogno del coraggio pubblico e politico di difendere la famiglia e la vita e “va ripensato l’ossequio nazionale al tabù culturale del diritto all’aborto” e di attuare delle politiche dell’immigrazione non prive di volto, perché un popolo che si è liquefatto nell’individualismo non riesce ad accogliere nessuno. L’Italia ha infine bisogno di non rassegnarsi all’inverno demografico.

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Stefano Fontana

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