Un mese dopo Roma abbraccia Garissa

Durante la messa in ricordo delle vittime della strage nel campus universitario keniano, monsignor Leuzzi elogia i 147 martiri come esempio di “fedeltà alla verità e alla ricerca disinteressata”

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147 pietre bianche appoggiate ai piedi dell’altare: questo il segno di pace che studenti e professori universitari hanno voluto lasciare contro la violenza della strage di Garissa, avvenuta più di 30 giorni fa nell’Università della città Keniota. Pietre vive che costruiscono la Pace, non pietre d’odio che vengono scagliate per fare la guerra.

Alle ore 19 di ieri, 5 maggio, nella Cappella dell’Università “La Sapienza” di Roma, l’Ufficio per la Pastorale Universitaria, accogliendo l’appello dell’European University Association (EUA) e della Conferenza dei Rettori delle Università italiane (CRUI), ha voluto ricordare gli studenti cristiani uccisi lo scorso 2 Aprile presso la sede di Garissa della University College in Kenya.

Alla messa presieduta da mons. Lorenzo Leuzzi, vescovo ausiliare di Roma e direttore della Pastorale Universitaria della Diocesi di Roma, hanno partecipato i professori e gli studenti dell’università, gli assistenti delle cappellanie universitarie e i giovani universitari della comunità africana di Roma.

“Perché morire in Università?”: è la domanda che è risuonata più volte nell’omelia del Vescovo ausiliare, il quale ha risposto definendo questi studenti uccisi come nuovi martiri per la “fedeltà alla verità e alla ricerca disinteressata”. Questo esempio di vita si contrappone alla negazione della verità e all’utilizzo della ricerca per fini ideologici.

“Uccidere in università significa abbattere la radice stessa dell’esperienza umana che è quella di cercare la verità, di amarla e comunicarla agli altri. Solo chi non conosce l’esistenza della carità intellettuale può uccidere in università”, ha proseguito nella sua omelia, mons. Leuzzi, ricordando come anche nella nostra società partecipiamo alla uccisione della “carità intellettuale”. Quest’ultima può trasformare la mente e il cuore dell’Università rendendo viva anche in questo ambiente “la presenza del Signore risorto che non abbandona la fatica della ricerca della verità e la orienta verso il bene di tutti”.

Per questo, ricordare questi nuovi martiri è una assunzione di responsabilità che porta chi è credente a non lasciare le aule universitarie perché “senza la carità intellettuale non è possibile costruire la Pace”: in essa bisogna inserire tutte le esperienze umane “da quelle sociali a quelle politiche, da quelle economiche e quelle tecnologiche”. Una cosa non facile, ma che risulta più concreta se si percepisce la storia come “guidata dall’amore del Padre, il Dio fedele e amante della vita”, ha poi concluso mons. Leuzzi.

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Per leggere il testo integrale dell’omelia di monsignor Leuzzi, cliccare qui.

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Giuliano Cattabriga

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