"Un legame profondo tra Jan Tyranowski e la vocazione sacerdotale di Karol Wojtyła"

Intervista a mons. Enrico Dal Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense, in visita in Slovacchia e Polonia

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di Zdzisław Brzęk

ROMA, martedì, 29 maggio 2012 (ZENIT.orgEccellenza, ben venuto a Cracovia, in Polonia. E’ arrivato qui da Košice, in Slovacchia, dove ha partecipato a un incontro ecumenico. Potrebbe dire qualche parola su questa esperienza?

Mons. Enrico Dal Covolo: Ho fatto un incontro molto interessante a Košice, con alcuni rappresentanti delle Chiese cattoliche e ortodosse dell’Europa. Il tema è cruciale ai fini di quella piena comunione, che tutti desideriamo: è il tema del primato petrino, con riferimento sia al primo, sia al secondo millennio. La mia relazione ha illustrato l’esercizio del primato petrino nel primo millennio. Ho raccontato tre episodi, dai quali si vede come veniva esercitato di fatto il primato nei primi secoli cristiani.

Adesso si trova a Cracovia, città molto legata a Karol Wojtyła, futuro sacerdote, cardinale, arcivescovo di Cracovia… E proprio qui, presso la parrocchia salesiana, e anche vicino alla sua casa natale, giacciono le spoglie del Servo di Dio, signor Jan Tyranowski, guida spirituale del beato Giovanni Paolo II, candidato alla gloria degli altari. Come sappiamo, è stata già presentata la sua Positio. Quale è lo stato attuale di questa causa?

Mons. Enrico Dal Covolo: Uno dei motivi per cui sono qui quest’oggi è proprio quello di incontrare l’arcivescovo di Cracovia, il cardinale Dziwisz, per vedere come portare avanti al meglio questa causa di beatificazione e di canonizzazione di Tyranowski. Noi abbiamo già presentato la Positio, cioè quel dossier che attesta l’eroicità della vita e delle virtù. L’abbiamo presentato alla Congregazione delle cause dei santi, al cardinale Amato, ai primi del mese di ottobre scorso. Adesso, la questione è quella di far procedere celermente l’esame di questa Positio. Normalmente ci vogliono molti anni prima che la Congregazione, e poi il Papa stesso, si esprimano per dichiarare l’eroicità della vita e delle virtù, dichiarazione che comporta il titolo di Venerabile. Noi spereremmo, dato il profondo legame che esiste tra Tyranowski e Giovanni Paolo II, di procedere più celermente rispetto alla media di percorso di queste cause, perché vorremmo sfruttare in senso positivo l’entusiasmo che c’è da parte della gente intorno alla figura di Giovanni Paolo II. Tyranowski, lo sappiamo, è quel laico che ha efficacemente promosso la vocazione sacerdotale di Karol Wojtyła. E’ proprio lui, Karol Wojtyła, che lo racconta nel libro Dono e mistero, l’autobiografia in cui Giovanni Paolo II narra la propria storia di vocazione, a cinquant’anni dall’ordinazione sacerdotale. E ricorda appunto la parrocchia salesiana e l’immagine di Maria Ausiliatrice venerata qui a Cracovia, nel quartiere Dębniki, dinanzi alla quale par di capire che il giovane Lolek prese la ferma decisione di entrare nel seminario clandestino. Ma la guida spirituale del giovane Lolek, come anche di altri giovani, era proprio questo Jan Tyranowski, che “inventò” l’iniziativa del “Rosario Vivente” per giovani maschi, cioè per un gruppo di giovanotti, che si mettevano d’accordo, in modo che la recita del Rosario fosse ininterrotta: in base all’orario concordato, uno finiva e l’altro cominciava, perfino nel cuore della notte. E quindi certamente c’è un legame profondo tra Jan Tyranowski e la vocazione sacerdotale di Karol Wojtyła, con tutto quello che ne è seguito. Penso che sia opportuno “cavalcare” questa onda di santità, che ci è fornita provvidenzialmente dalla beatificazione di Giovanni Paolo II, e perciò io credo che sarebbe opportuno chiedere una corsia privilegiata per lo svolgimento della causa.

Ma non ci vuole forse anche più collaborazione da parte nostra, da parte della gente: secondo Lei, questa finora era sufficiente?

Mons. Enrico Dal Covolo: Noi ci auguriamo anche che, puntando al riconoscimento dell’eroicità della vita e delle virtù di quest’uomo, promuoviamo anche la richiesta di grazie, di intercessione da parte della gente, perché, come tutti sanno, c’è bisogno di un miracolo, e questo consentirà poi la beatificazione. Però, se non c’è questa richiesta di intercessione, questa richiesta di grazie, è difficile che si possa giungere all’obiettivo sperato, cioè alla beatificazione… Sì, manca forse ancora la conoscenza diffusa di questa persona, perché, quando io ne parlo, sono poche le persone che sanno di chi sto parlando.

E l’ultima tappa del suo viaggio in Polonia è Szczyrk, città situata ai piedi delle montagne di Beskidy, in cui si trova un Santuario salesiano mariano, dove Lei presiederà la liturgia di ordinazione di un sacerdote salesiano. Può anticipare qualche pensiero che rivolgerà ai partecipanti della cerimonia, soprattutto al giovane che viene ordinato?

Mons. Enrico Dal Covolo: Provvidenzialmente questa ordinazione, che sarà a Szczyrk, avverrà nella solennità dell’Ascensione del Signore, e questo è un “santuario sul monte”, che richiama in qualche maniera la testimonianza della santità e la consegna che ci viene dalla solennità dell’Ascensione. Io sono molto legato a questa solennità dell’Ascensione, anche perché da qui ho ricavato il motto della mia ordinazione episcopale: “Eritis mihi testes”. Sono queste le parole che Gesù consegna ai suoi discepoli, prima di salire al cielo. Ordinando un sacerdote, devo ricordargli questa verità, che l’ascesa verso la santità per un sacerdote – accompagnato da Maria, la Madre del sacerdote – non può che trascorrere attraverso lo svolgimento pieno della propria missione di testimonianza. Un sacerdote non si salva da solo: si salva con il gregge che gli è affidato.

Eccellenza, colgo l’occasione per farLe una domanda circa la sua attività come Rettore della Pontificia Università Lateranense. Qualche tempo fa Lei è stato ancora in Polonia, tra l’altro all’Università di Toruń. Quale scopo ha avuto questa sua visita?

Mons. Enrico Dal Covolo: Abbiamo avviato una convenzione con l’Università di Toruń, e quest’anno mi è capitato di tenere la prolusione dell’anno accademico nella Facoltà di Teologia di questa Università, e poi anche nella Facoltà di Scienze della Comunicazione dei Redentoristi, sempre a Toruń. Sono state iniziative riuscite di cooperazione universitaria. E’ un momento delicato questo, perché tutta l’Europa sta cercando di muoversi nella linea del Processo di Bologna, secondo un accordo globale di cooperazione interuniversitaria. La Santa Sede ha aderito al Processo di Bologna. E’ importante attivare sinergie feconde tra una Università e l’altra, proprio per favorire questo progetto, fino a un riconoscimento progressivo dei titoli. Essendo la mia “l’Università del Papa”, desidero che non stiamo indietro in questa missione accademica. Così, dovunque io vada, cerco sempre di avviare qualche convenzione, qualche sinergia, appunto in questa linea.

L’ultima domanda, stricte salesiana, riguarda l’ormai ben noto Progetto Europa. Come Lei lo vede?

Mons. Enrico Dal Covolo: Anzitutto bisogna riconoscere che il problema è molto complesso. Viviamo in un momento di crisi dei valori della vecchia cultura europea, cioè quella cultura che in realtà è stata missionaria nel tempo passato rispetto al mondo, ora invece è una cultura che ha smarrito le sue profonde radici, e che sempre di più si manifesta piuttosto cultura di morte, che cultura di vita. E ovviamente i primi, che fanno le spese di questa pseudocultura, sono i giovani. Noi rischiamo di avere una generazione giovanile che è cancellata da qualunque attenzione. Leggevo ultimamente un’intervista, un’inchiesta impressionante, da cui risulta che in Spagna, per esempio, il 52% dei giovani tra il 18 e 35 anni non trova alcun motivo valido per vivere: il che significa essere esposti alle tentazi
oni peggiori. Quindi diciamo che anzitutto bisogna prendere atto, lucidamente e coraggiosamente, della gravissima crisi che ci sta intorno. Occorre riflettere a lungo su questa emergenza educativa, studiarne le cause, studiarne la fenomenologia. Questo però è solo un primo passo. C’è poi un secondo passo da fare, quello che riguarda la terapia dell’emergenza educativa… A mio parere la linea salesiana della terapia – ma anche la linea della mia Università – non può essere che la formazione dei formatori. La formazione dei formatori è la risposta adeguata di una Università all’emergenza educativa, e lo è anche per una Congregazione come la nostra, dedita alla missione giovanile. Detto questo, bisogna però tirarne le conseguenze operative, bisogna vedere esattamente che cosa fare, ed è proprio questo l’impegno del Progetto Europa, a cui la Congregazione ci chiama, e che sta tanto a cuore al nostro Rettor Maggiore. Non c’è da stupirsi poi se talvolta può sembrare che questo Progetto Europa segni un poco il passo, che proceda un po’ lento, perché le ricette in realtà non ci sono. Bisogna avere pazienza, molto coraggio, non demordere mai, e cercare di procedere con decisione su questa strada…

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ZENIT Staff

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