Un italiano in Egitto

Intervista a don Orazio Patrone, giovane sacerdote in una parrocchia del Cairo

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di Salvatore Cernuzio

ROMA, mercoledì, 7 marzo 2012 (ZENIT.org) – Da Salerno alla diocesi del Cairo-Alessandria. Sembra la trama di un libro di avventura; invece è la storia di don Orazio Patrone, 33 anni, da tre presbitero per la chiesa copto cattolica in Egitto che in questa intervista racconta a ZENIT la sua esperienza e la realtà che i cristiani vivono in quei paesi.

Don Orazio qual è la situazione della Chiesa cattolica in Egitto?

Don Orazio: La Chiesa cattolica in Egitto è una realtà abbastanza complessa: come in tutta la regione del Medio Oriente si è da sempre vissuti in un pluralismo confessionale. Sono presenti, oltre alla Chiesa latina, diversi riti (copto, armeno, siriaco, greco) con le rispettive chiese ortodosse; la chiesa più numerosa è quella copto ortodossa, circa il 10% della popolazione totale, i fedeli cattolici sono circa 400.000, lo 0,3%.

La Chiesa copta ortodossa pur essendo una minoranza è la Chiesa più numerosa tra le Chiese orientali, e vanta di una presenza rilevante anche nella diaspora.

Inoltre, cè da dire che certamente gli ultimi eventi della rivoluzione, e soprattutto la situazione politica che si è andata delineando, hanno accentuato il fenomeno dell’immigrazione che già era elevato negli ultimi decenni.

Come vivono i cristiani la loro fede, sono perseguitati? 

Don Orazio: I cristiani hanno difficoltà a vivere in un paese dove l’integralismo musulmano prende sempre più piede e sono fortemente attratti dall’idea di poter vivere più tranquillamente in altri paesi, soprattutto Canada e Australia, ma anche Europa. Le persecuzioni ci sono anche se sporadiche, si vive però una forte discriminazione sociale di natura più che altro ideologica. Non è tuttavia una situazione generalizzata: ci sono ambienti in cui si vive un sereno rapporto tra musulmani e cristiani.

Come mai un giovane prete italiano è chiamato a prestare il suo servizio proprio in quei posti? Ci racconti la sua esperienza personale.

Don Orazio: Vengo dallesperienza del Cammino Neocatecumenale attraverso la quale ho sentito la chiamata a riscoprire le ricchezze del mio battesimo attraverso un itinerario di fede in una comunità. Durante questo percorso ho scoperto la vocazione al sacerdozio e sono entrato nel seminario Redemptoris Mater di Beirut, in Libano. Il seminario diocesano, interrituale, forma presbiteri per la Nuova Evangelizzazione con vocazioni destinate a servire le chiese orientali. Dopo il percorso di formazione di circa 9 anni, durante il quale ho avuto modo di vivere, oltre gli studi, unesperienza pastorale in Tunisia, Sudan, e Terra Santa, sono stato incardinato per la chiesa copta dEgitto. E ormai sono da tre anni in parrocchia al Cairo.

Ha avuto delle difficoltà?

Don Orazio: Le difficoltà certo non sono mancate e non mancano tuttora: differenze culturali, difficoltà con la lingua, paesi che vivono conflitti profondi; ma le ho potute affrontare grazie al fatto di aver visto la fedeltà del Signore nella storia, un po come Abramo che si è incamminato senza sapere dove andare, guidato dalla Parola e da una promessa, imparando giorno per giorno a fidarsi di Dio e sperimentando la sua presenza nella storia.  

Ritornando, invece, alla situazione dei cristiani in Egitto: qual è il loro rapporto con i fedeli di altre religioni, in particolare i musulmani?

Don Orazio: Il rapporto tra cristiani e musulmani è sempre più minato dall’integralismo, anche se la Chiesa copta ha un’esperienza millenaria di convivenza con la tradizione islamica, che ha avuto alti e bassi nella storia. 

Come vengono vissuti tempi forti come la Quaresima e la Pasqua?

Don Orazio: Il tempo di Quaresima è vissuto in maniera molto intensa, con un digiuno stretto, vissuto in maniera devozionale più che come unoccasione di preparazione alla Pasqua. Probabilmente questo è dettato anche dalla forte influenza del mese del ramadan islamico. Nella Pasqua si sottolinea più l’aspetto sacrificale del venerdì santo, piuttosto che laspetto fondamentale della resurrezione nella Pasqua.

Si usa, infatti, celebrare il funerale del Signore con una liturgia molto lunga come era anche l’usanza delle chiese latine preconciliari. Prova di tutto ciò è il fatto che la partecipazione al culto: quasi il doppio il venerdì rispetto alla domenica di Pasqua.

Che cosa sintende fare per l’anno della fede e per la Nuova Evangelizzazione?

Don Orazio: La chiesa in Egitto è molto legata alle sue tradizioni, soprattutto liturgiche, e ha difficoltà ad entrare nel dinamismo della Nuova Evangelizzazione auspicato dal Concilio Vaticano II. D’altra parte ci sono tentativi e aperture soprattutto dal versante cattolico, che è attento e relativamente partecipe a ciò che accade in occidente. Lo dimostra, tra laltro, lapertura, anche se lenta, ai carismi sorti dopo il concilio. Sono presenti nelle parrocchie realtà come i focolarini e il cammino neocatecumenale, ed altri movimenti nati in Egitto con lintento di un rinnovamento in vista della Nuova Evangelizzazione.

Quali sono, quindi, le prospettive?  

Don Orazio: Come prospettive sembra realizzarsi un tempo di prova e di purificazione per le chiese, come del resto sta avvenendo un po dappertutto per i processi di secolarizzazione e globalizzazione, sfide che interpellano la comunità cristiana a ricercare la propria identità e approfondire la fede. Ci stiamo dirigendo verso una forma di cristianesimo certamente diversa a quella vissuta nellepoca moderna in Europa, in un regime di cristianità, in cui la Chiesa è forse chiamata ad abituarsi a vivere come piccolo gregge, in cammino con altre forme religiose e non, e sotto questo punto di vista lesperienza delle comunità orientali è molto significativa.

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ZENIT Staff

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