“Un giorno, io lo so, mi raccoglierai”

“Allora per domani sera è tutto ok? Farai il Figliol Prodigo?”. “Certo! Spiegherò quello di Chagall; è troppo bello”

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Chagall: ho iniziato ad amarlo un po’ di anni fa, solo dopo aver conosciuto la sua vita. I suoi quadri fatti di sogni e realtà, di colori ed emozioni, non sono semplicissimi da comprendere con la testa, ma con il cuore, sì.
“Se creo qualcosa usando il cuore, molto facilmente funzionerà; se invece uso la testa sarà molto difficile” diceva Chagall.
E di cuore ce ne ha messo tanto, quando ha dipinto “Il figliol prodigo”.
È il 1975 ed il pittore bielorusso ha ottantotto anni. Nella sua lunga vita ne ha passate tante. Era solito dire: “Io sono nato morto” quando, ricordando le sue origini ebraiche, raccontava la sua nascita avvenuta nello stesso giorno in cui il suo villaggio era stato attaccato dai cosacchi durante un pogrom. Era il 7 luglio 1887 e la sinagoga di Vitebsk veniva data alle fiamme.
Poi conobbe l’antisemitismo sovietico, il nazismo tedesco, l’esilio in Francia e negli Stati Uniti e lo strazio della morte della sua giovane ed amatissima moglie Bella.
Eppure la carrellata dei tanti momenti bui, non gli ha impedito di sentirsi, sempre e comunque, dentro quel misterioso abbraccio del figliol prodigo.
Per questo Chagall, intorno a quell’abbraccio, dipinge tutta la sua vita, trasformando il suo passato in presente. Tutto è lì.
La scena non ha niente dell’epoca di Gesù: tutto è attuale, ad indicarci che ogni giorno (anche noi, oggi!) possiamo ricevere questo abbraccio del Padre. Tutti sono felici, volano e danzano in un ballo vorticoso perché ricevere questo abbraccio è sempre una gioia senza tempo e senza confini.
L’amore di Dio non si può ingabbiare in un tempo o in uno spazio. Esso collega, con un senso logico perfetto, tutto ciò che ci capita nella vita.
E come Dante, potendo volgere per un secondo il suo sguardo verso Dio, scrisse: “Nel suo profondo vidi che s’interna, legato con amore in un volume, ciò che per l’universo si squaderna…”, così Chagall, potendo guardare l’intera sua vita, dipinse “legato con amore in un volume” tutti gli eventi e le persone che l’avevano attraversata.
L’intero suo paese natio è lì, a festeggiare per e con lui.
C’è la moglie Bella con l’abito da sposa, Vitebsk, il violinista, il rabbino con il libro delle Sacre Scritture, i musicisti che allietano le feste popolari, laiche e religiose, le madri abbracciate ai loro bambini, gli uomini, le donne, gli animali, le favole e i miti della sua infanzia e naturalmente se stesso seduto in basso a destra, intento a osservare la scena e magari pronto, con la tavolozza in mano, a dipingerla.
Il centro della scena è lì, davanti ai nostri occhi, tutta dedicata a quell’abbraccio rigenerante che reca con sé il perdono incondizionato del Padre, che è eterno e senza tempo.
Un Padre senza limiti, una misericordia estrema, un’onnipotenza che non si scandalizza di un ritorno a casa fatto solo per fame (“Quanti salariati in casa di mio padre…”).
È un Dio che non si lascia rovinare la festa dai particolari, perché è concentrato sull’essenza: quel figlio è tornato ad essere suo figlio! Finalmente può versare il balsamo della Vita sulle sue ferite e guarirlo.
Chagall, a ottantotto anni, è estasiato: l’amore di Dio è sceso sulla terra, sul suo paese, sulla sua vita ed ha benedetto ogni minuto ed ogni chilometro, con il suo abbraccio. Nessun tempo e nessuno spazio ne è rimasto fuori. Tutto è stato legato in un sol volume: quello dell’utero di Dio che nutre ciascun figlio con la sua misericordia.
Chagall era ebreo e forse sapeva che la parola misericordia traduce la parola ebraica rahamìm plurale di rehem che significa “utero“, più genericamente le “viscere“.
Ecco, perché nella lingua ebraica il termine “misericordia” è sinonimo di tenerezza, di amore materno, viscerale, un affetto profondo del cuore.
Ecco dove trovare sempre cibo in abbondanza: nelle viscere del Padre.
Ecco perché quello stesso Padre dice al figlio maggiore: “Tu sei sempre con me!”.
Ecco perché quel padre è anche madre: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai (Isaia 49,15).
 
“Un giorno, io lo so, mi accoglierai
e della morte svanirà il ricordo ma non l’amore,
e della vita svanirà il mistero ma non l’incanto”.
Marc Chagall


 
 

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Maria Cristina Corvo

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