Un film sulla modernità e la femminilità di Maria

Intervista al regista, Guido Chiesa

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di Antonio Gaspari

ROMA, giovedì, 3 marzo (ZENIT.org).- Una certa cultura guarda a Maria come ad una icona di un mondo antico e non riproducibile.

La figura femminile della Vergine sembra antimoderna e contraria alle donne dell’oggi, eppure un film, “Io sono con te”, in cui si racconta la storia di Maria dall’annunciazione fino al ritrovamento di Gesù al Tempio, ha suscitato interesse e discussioni nei diversi ambiti culturali e religiosi.

La pellicola racconta la vicenda umana di una giovane donna che diventa parte centrale di una nascita cha ha cambiato il mondo.

Un’analisi della donna Maria che accoglie con umiltà e coraggio il concepimento di Gesù, svolgendo il ruolo di moglie e madre praticando le migliori virtù femminili.

In questo film Maria emerge come una donna moderna, dinamica e molto avanzata rispetto ai tempi che viveva.

Il film che uscirà in dvd il 17 aprile nelle edicole con Famiglia Cristiana, e tramite la San Paolo nelle videoteche, ha avuto come regista Guido Chiesa.

ZENIT lo ha intervistato.

Perchè un film su Maria?

Chiesa: All’origine di questo film vi sono due donne, due madri: senza di loro non l’avrei mai immaginato. Nessuna delle due è una teologa o un’esperta biblista. La prima si chiama Maeve Corbo. A lei si deve l’aver messo insieme – facendo perno attorno all’esegesi biblica e interrogandola alla luce di contributi provenienti da terreni tanto disparati quanto le neuroscienze, la psicologia dell’infanzia o la teoria mimetica di Renè Girard – una lettura della figura di Maria capace di coglierne aspetti inediti, o ben poco analizzati, relativi alla Grazia, alla maternità, alla relazione con il Figlio e alla sua identità femminile. Si tratta di una interpretazione distante da a una certa tradizione che vede Maria come una figura passiva e sottomessa. Altrettanto, benché faccia utilizzo di fonti eterodosse, è una lettura profondamente rispettosa degli elementi cardine della dottrina, di cui, semmai, si propone di fornirne nuove, inattese ratifiche.

La seconda è una mamma che Maeve ha conosciuto fuori dalla scuola frequentata dalle figlie di entrambe, Nicoletta Micheli, la quale, a differenza di Maeve, era una non-credente. Nicoletta è rimasta folgorata dalle idee di Maeve: non solo è stata affascinata da una proposta che offriva risposte sorprendenti ai suoi interrogativi sulla maternità e il rapporto con i figli, ma il suo cuore man mano si è lasciato scardinare dalla forza della Rivelazione. E’ stata Nicoletta a propormi di realizzare un film sulla figura di Maria: è stata poi lei a scriverne il soggetto, elaborando in forma narrativa le idee di Maeve, integrandole e ampliandole con ricerche storiche e contributi esegetici originali.

Lungi dall’essere un film femminista, “Io sono con te” propone una visione squisitamente femminile, che riporta la vicenda di Maria – fuori da ogni mitizzazione – dentro la Storia e quindi dentro la concreta esperienza umana, dentro la carne. Rendendola così vicina all’esperienza di ogni donna, di ogni madre. In questa prospettiva, fare un film così, oggi come oggi, vuol dire volgere lo sguardo in ogni direzione temporale: verso quello che questa figura ha rappresentato e le interpretazioni di cui è stata oggetto nel passato; verso il nostro incerto presente di “nati da donna”, epoca in cui attorno al corpo femminile, alla sua innata sapienza procreatrice, si sta combattendo una battaglia (scientifica e culturale) che rischia di mettere in discussione la stessa definizione di umano; verso un futuro dove l’elemento femminile è chiamato a giocare un ruolo centrale e delicato, e in cui la “lezione” di Maria potrà assurgere a modello universale di un rapporto equilibrato e rispettoso nei confronti della vita, e quindi di tutto il progetto divino. Maria è la risposta alla nostra paura di riconoscere che Dio è con noi.

Cosa è successo all’ateo regista de “Il partigiano Johnny” e della serie tv “Quo Vadis, Baby?”. E’ vero che nel corso della lavorazione di questo film ha trovato la fede?

Chiesa: Non mi sono mai definito ateo, questa è una forzatura di alcuni giornali che fanno di tutte l’erbe un fascio. Semmai è vero che ero apertamente disinteressato, per non dire infastidito, da tutti i discorsi relativi al religioso, in particolare a tutti gli aspetti mistico-spirituali che mi apparivano come delle fantasie irrazionali e nevrotiche. Quando Nicoletta ha incominciato a parlarmi dell’idea del film – che all’inizio rifiutavo categoricamente – mi trovavo in un momento difficile: avevo problemi sul lavoro, misteriose patologie mediche, un senso di insoddisfazione permanente. Inoltre, da anni avvertivo una profonda inquietudine verso la mia esperienza di padre. Mi ero reso conto di essermi più volte ritrovato a commettere quegli stessi errori che mi ero ripromesso di non compiere mai. In altre parole, mi ero scoperto un padre meno buono, giusto e felice di quello che avevo pensato di essere.

A fatica, ho incominciato a capire che ciò dipendeva dai traumi che avevo patito nell’infanzia, traumi di cui non conoscevo nemmeno l’esistenza, o di cui avevo sempre sottovalutato la portata, credendo che fosse normale – anzi giusto – che dei genitori si comportassero così (e tanti in effetti lo pensano). Al fine di poter uscire da questa crisi – che mi sembrava così sfuggente e ambigua – avevo bisogno di fare un percorso razionale, cioè capire intellettualmente che cosa mi era successo. La razionalità era chiaramente una forma di difesa – uno strumento di protezione nei confronti della paura di quel che potevo scoprire – ma era un cammino, per me, ineluttabile: la “porta stretta” attraverso cui dovevo passare. Una porta, però, che mi ha condotto a una comprensione più ampia, in cui l’aspetto razionale finalmente si riconciliava con il piano emotivo. Abolendo ogni fittizia distinzione tra le due dimensioni. Ciò che prima consideravo irrazionale, mi si è palesato come comprensibile, logico, dotato di una grammatica infinitamente complessa eppure leggibile – sebbene non riducibile al limitato esercizio della ragione dei filosofi e degli scienziati. Da qui al riconoscere come anche la religione rientrasse in questa sfera di argomenti, il passo è stato breve. Ed è in questa prospettiva che il Cristianesimo mi si è rivelato in tutta la sua forza e unicità, perché non umilia la ragione, anzi la esalta attraverso la persona di Gesù, portandola a penetrare non solo ciò che il nostro cervello può abbracciare, ma tutto il vasto insieme dell’esperienza umana.

Alla luce del percorso fatto attraverso il film e alla figura di Maria, ho incominciato a comprendere come nel Cristianesimo non solo fede e ragione vanno di pari passo, ma che la risposta a “che cos’è che rende un essere umano libero?” – che in fin dei conti è sempre stata la domanda latente di tutti i miei film – poteva finalmente essere formulata: la libertà dell’essere umano è stabilita dai suoi rapporti primari, dalle condizioni d’amore e rispetto con cui è stato accolto su questa terra, dal modo in cui, chi lo ha generato, si è rapportato al progetto divino. Chi ha accolto il progetto divino – come Maria o Giuseppe – non ha prodotto Superman o Einstein, ma un uomo libero. Per questo Gesù dice che il regno dei Cieli è dei bambini, mentre per gli altri – tutti noi – c’è bisogno del suo martirio, della Croce. Gesù è l’uomo libero per eccellenza: libero dalla schiavitù di morire.

Questa accettazione della Fede rappresenta per me un cammino tutt’altro che risolto. Sia per la profondità delle ferite che mi porto dentro, sia soprattutto perché ho sempre timore dei trionfalismi. Da persona che fino a ieri è vissuta fuori dal contesto della Chiesa, so bene che per un figliol prodigo, oggi ce ne sono cento che preferiscono andare a seppellire il padre piuttosto che seguire il Figlio.

Dall’altro, proprio per la mia e
sperienza, mi rendo conto di come tantissime persone vedano, dal di fuori, il Cristianesimo come una forma di superstizione. E non hanno, purtroppo, tutti i torti: tanti, troppi cristiani vivono la fede come una forma di magia. Il sopravvivere di uno spiritualismo dualista, nonché l’eccessiva enfasi posta sul Mistero nei discorsi attorno al divino – entrambi a detrimento dell’Incarnazione – credo rappresentino segnali preoccupanti. Il rischio è quello di ritrovare, nel prossimo futuro, il Cristianesimo in vendita nel supermarket delle religioni “personali”, fianco a fianco sullo scaffale dove i consumatori potranno decidere di passare oltre, oppure di acquistare un po’ di fede privata. L’Incarnazione è l’antidoto – mai soggiogabile – a questa deriva.

Nel film “Io sono con te” si racconta dell’adolescente di nome Maria, che incontra il mistero e dà alla luce Gesù. Per i credenti questo evento ha cambiato la storia del mondo.  Lei come lo racconta nel film?

Chiesa: Maria, come dicono molti biblisti, è la nuova Eva, colei che ribalta il destino dell’umanità, attraverso cui Dio incarna il proprio Figlio che viene a rivelare il vero volto del Padre: l’amore. Ma ho la sensazione che questa interpretazione finisca sempre per omettere la realtà storica dell’evento, senza cui non c’è Cristianesimo.

Perché Dio avrebbe deciso di affidare le sorti del suo unico figlio a una giovane senza illustri natali e priva di investiture terrene? Come l’ha scelta: ha tirato in aria i dadi e ha detto, “ecco, prendiamo lei”? Quali qualità aveva questa Maria per poter essere la nuova Eva? E’ indifferente il modo in cui ha trattato il proprio figlio? E’ senza importanza sapere se i suoi genitori l’hanno picchiato – come consigliava l’Antico Testamento con i figli indisciplinati – o l’hanno rispettato – come fanno Maria e Giuseppe quando lo ritrovano al Tempio?

E ancora: perché Dio affida a Maria e non a un uomo il compito di farsi strumento della Rivelazione? In fin dei conti, Genesi ci dice che Dio genera Eva tramite Adamo: non poteva continuare su quella strada? E infine: perché gli Evangelisti, a un certo punto della predicazione della Buona Novella, sentono il bisogno di parlare della madre quando i primi testi cristiani – come le lettere di San Paolo – non ne fanno mai menzione? Perché la Salvezza deve passare attraverso un essere altamente impuro qual’è la donna, non a caso oggetto di infinite regole stabilite fin dal Pentateuco? Da qualsiasi punto di vista la si guardi, la presenza di Maria è uno dei tanti “scandali” del Cristianesimo: lo scandalo della Vita complementare a quello della Croce.

Cosa pensa della donna Maria?

Chiesa: E’ la madre che tutti dovremmo avere. Quella che accetta il frutto del proprio ventre per quello che è: un dono di Dio, solo a lui appartiene, non è una sua “cosa” di cui poter disporre. Da padre, aggiungo un altro elemento. Il Vangelo è straordinariamente efficace nel dipingere la figura di un padre che si fa da parte, che accetta il primato femminile su ambiti come la nascita e il puerperio. Giuseppe è una figura di immensa modernità se la si legge proprio in questa prospettiva. Una prospettiva rafforzata dall’elemento storico: quella dell’antico Testamento era la religione dei Padri, del Nome del Padre, come scriveva lo psicanalista Lacan.

Nel Vangelo non solo il padre terreno è defilato – centrale è Maria, la volontà divina si compie in Lei – ma tutti i nomi dei figli che “contano” – Giovanni e Gesù – non sono decisi dai padri, ma dagli Angeli. Il caso di Giovanni, da questo punto di vista, è particolarmente significativo. Il giorno della sua circoncisione – lo stesso in cui veniva assegnato il nome – è la madre a comunicare come si chiamerà, incontrando l’ostilità della folla, scandalizzata perché il bimbo non porterà il Nome del Padre, Zaccaria. Ci sembra un racconto quanto mai emblematico, nonché misconosciuto da una esegesi troppo schiacciata sull’aspetto profetico, e incapace di cogliere il nesso profondo delle due pratiche: il rifiuto di dare il nome del padre (lasciando alla donna il compito di nominarlo) per noi è il rifiuto della violenza sacrificale della circoncisione. L’inizio della Rivelazione passa sempre attraverso una rottura della Legge dei padri: là il concepimento verginale, qui la violenza (maschile) sul neonato. E in entrambi i casi l’elemento femminile si fa tramite di quella Verità che sta “in Cielo, come in Terra”.

Potrà apparire una denigrazione dei padri, ma non lo è: il Vangelo ci dice che Gesù non ha bisogno di un padre terreno che si crede un Padreterno. Di Padreterno ce n’è solo uno e sta nei Cieli. Il padre terreno, Giuseppe, è grande perché, facendo la volontà di Dio, si fa custode della diade madre-figlio, come nella strage degli Innocenti o risparmiando a Maria una possibile lapidazione in quanto adultera.

Che cosa le ha lasciato la lavorazione di questo film?

Chiesa: Un pesante fardello e una rafforzata speranza. Il fardello di tanti amici che, senza dirmelo apertamente, mi guardano come fossi impazzito. Di altri che non mi rivolgono più la parola. Soprattutto in un campo come il cinema, che è ossessionato dalla visibilità e dai rapporti relazionali, questo non è facile da digerire. Inoltre, dal punto di vista professionale, il film ha segnato un punto di non-ritorno: non potrò più fare i film del passato, anche se sono esattamente quelli che i produttori si aspettano da me.

Inoltre, va detto con chiarezza, che nonostante l’ottimo esito critico, la partecipazione al Festival di Roma e l’argomento apparentemente popolare – anzi credo proprio per via dell’argomento trattato! – “Io sono con te” è stato un insuccesso commerciale. Al di là della scarsa pubblicità ricevuta perché i distributori lo ritenevano un film “difficile”, è sintomatico che sia stato disertato non solo dai classici spettatori dei film di “qualità” che conoscevano il mio lavoro – per lo più non-credenti, ma a cui il film era esplicitamente rivolto – ma anche dai credenti. Non lo hanno bocciato dopo averlo visto: non sono semplicemente andati a vederlo.

L’impressione è che nei primi sia prevalso il pregiudizio del “chissenefrega di un film sulla Madonna”, mentre nei secondi abbia vinto l’apatia, il “tanto so già tutto”, nonché in alcuni l’esplicita non-voglia di confrontarsi, di interrogarsi, di andare al di là del feticcio dell’immaginetta.

La speranza, per quanto possa sembrare paradossale, la trovo in alcuni incontri effettuati lungo il percorso del film. Da persone conosciute durante la lavorazione o che mi hanno contattato dopo averlo visto. Incontri importanti, emozionanti, fuori da ogni stanca ritualità o necessità istituzionale. E’ in queste relazioni vere, genuine, senza paraocchi ideologici o rendiconto identitari, che ho sentito il pulsare della presenza di Gesù tra noi. La stessa che percepisco ogni volta che riesco a dismettere le vesti del Padre-Padrone e accetto il meraviglioso dono rappresentato dai miei figli. Sono queste relazioni che mi danno la consapevolezza di come la guarigione del cuore e della mente non dipenda mai da noi stessi, ma dall’incontro con il prossimo, dall’amore di Dio che ci arriva attraverso l’Altro. E’ la speranza nell’umano che mi riavvicina a Dio.

Per girare il film lei è stato in Tunisia. Come si è trovato? Cosa può dirci circa gli avvenimenti recenti?

Chiesa: Girare in Tunisia è stato molto intenso e appagante dal punto di vista dei rapporti umani, anche se non ho potuto fare a meno di toccare con mano le grandi contraddizioni di quel paese (la sperequazione economica, la condizione femminile, l’educazione repressiva dei bambini). Dal punto di vista religioso sono state due le riflessioni che mi ha lasciato questa esperienza. La prima è come tra mondo ebraico arcaico e Islam sono più le continuità che le divergenze: è stato molto facile per
gli attori tunisini – professionisti e non – assumere i panni degli abitanti della Palestina di 2000 anni fa. La stessa struttura patriarcale della società e della famiglia, l’identico modo di pregare, gli stessi rituali sacrificali.

Dove invece l’incomprensione tra me e loro era tangibile, inconciliabile, era sul discorso dell’incarnazione, del Dio che si fa uomo. Uno scoglio insuperabile per la loro concezione della divinità: mistero assoluto, inconoscibile, innominabile. Ho pensato che tutta la retorica sul dialogo con l’Islam o quella opposta ma identica dello scontro di civiltà, sono pure elucubrazioni intellettuali – o peggio ancora bandiere identitarie senza sostanza – se non si affronta questo scoglio: per i musulmani il corpo umano è l’origine della caduta, del peccato; per i cristiani è il tempio di Dio. Se non prendiamo di petto questa questione, come possiamo spiegare ai nostri figli che differenza c’è tra il Dio cristiano e quello dei loro nuovi compagni di classe musulmani?

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ZENIT Staff

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