Un Dio fedele alla storia

L’esperienza spirituale nella Bibbia

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di Robert Cheaib

ROMA, sabato, 13 ottobre 2012 (ZENIT.org). – L’esperienza spirituale nella Bibbia s’incentra essenzialmente sul rapporto con Dio. Questo rapporto, però, lungi dal chiudere le altre prospettive spegnendo le altre domande e le altre dimensioni dell’esperienza umana, apre gli orizzonti dei rapporti dell’uomo con Dio e degli uomini tra di loro e dell’uomo con l’universo creato da Dio. Così le domande fondamentali della Bibbia risultano le seguenti: Chi è Dio? Chi è l’uomo? E qual è il rapporto che intercorre tra di loro?

In altre parole, l’esperienza spirituale della Bibbia si pone come teologica e antropologica nel contempo. L’autenticità di ognuna delle domande si verifica soltanto quando viene posta in sintonia e in dialogo con l’altra. La domanda su Dio sarebbe illusoria, alienante e mitologica se non ponesse la domanda sull’uomo. La domanda sull’uomo rimarrebbe dolorosamente vacua, ambigua e disorientata senza l’orizzonte di Dio.

Il biblista Bruno Maggioni che ha offerto già nel 1978 un contributo sull’esperienza spirituale nella Bibbia per il Nuovo Dizionario di Spiritualità, offre una versione aggiornata del suo contributo in un libro edito dalla San Paolo dal titolo Un Dio fedele alla storia. Lesperienza spirituale nella Bibbia. In quest’opera l’autore ripercorre le varie spiritualità che costellano l’universo biblico mostrando sia la particolarità dell’esperienza spirituale nelle varie epoche e nelle varie tradizioni, sia l’elemento comune che le attraversa.

Il viaggio nelle sfumature del cammino spirituale dell’uomo veterotestamentario ci permette di vedere come l’esperienza di Dio è un’esperienza per tutte le stagioni della vita. Ma l’elemento che risalta in tutte queste esperienze è proprio quello della fedeltà di Dio all’uomo nella concretezza della storia. Soltanto la fedeltà di Dio in tutte le epoche dell’esperienza di Israele permette a sua volta al popolo di leggere la propria storia come sacra e visitata dall’alto.

Questo elemento di storicità e concretezza distingue l’avventura spirituale di Israele dalle letture mitologiche del cammino dell’uomo. Israele prende sul serio la storia perché proprio in essa Dio si fa presente seriamente. Ogni fatto accaduto è «colto come promessa, anticipo e modello del futuro comportamento di Dio» (12). La storia diventa luogo soteriologico (dove si sperimenta la concreta salvezza di Dio), teologico (dove l’uomo conosce gli attributi di Dio che gli viene incontro) ed ermeneutico (grazie a quello che si è sperimentato prima, Israele legge e comprende l’oggi e prevede ciò che accadrà dopo).

L’esperienza biblica offre il preludio storico alla filosofia e alla teologia della storia. La Bibbia ha il coraggio di leggere la storia, di cercarne il senso, di cercare le tracce di Dio in essa. Non si affida, come le letture mitologiche a un inveramento del senso nella meta-storia, ma nel cuore della storia lotta con Dio per trovare il senso della stessa e la grammatica del rapporto con Dio sulla scaletta di declinazione del vissuto dell’uomo. In quest’ottica le varie spiritualità (profetica, deuteronomica, sapienziale…) costituiscono delle risposte alle sfide poste dai tempi e dalle situazioni concrete all’esperienza di Israele con Dio. I profeti si configurano così non come visionari che annunciano il futuro ma come «conservatori» e difensori dell’antico. La lettura deuteronomica è lo sforzo di capire cosa dice la Legge all’oggi e come intendere l’Esodo quale evento contemporaneo. L’esperienza spirituale dei sapienti si sforza di assimilare la cultura circostante introducendola nella propria spiritualità senza per ciò stesso tradire la propria originalità e la propria fede.

La fedeltà alla storia si coniuga quindi con la memoria che rilancia l’uomo non nel passato superato ma nella promessa messianica di Dio.

Per quanto riguarda l’esperienza spirituale nel Nuovo Testamento, essa mostra una continuità e una profonda unità con l’esperienza di Israele, ma con un’unicità e una novità innegabile. Da qualsiasi parte la si guardi, quest’esperienza ha come cardine di riferimento Gesù Cristo. «Cristo è la via obbligata per comprendere Dio, se stessi, la comunità e la storia» (141).

Cristo rivela il vero volto di Dio, egli è «immagine del Dio invisibile». L’invisibilità di Dio si è dissolta nell’apparizione storica di Gesù Cristo. Fondare l’incontro con Dio nella storia, e nella storia particolare di Gesù Cristo, è affermare che «la fede si vive non fuggendo dalle situazioni concrete, ma dentro le situazioni concrete e lasciandosi da esse mettere in questione» (144).

Condensando la novità cristiana, l’autore trova nella «grazia» una dimensione valida per riassumere la novità cristiana. La salvezza e la pienezza apportati da Cristo sono dono, puro dono di Dio immeritato dall’uomo. La grazia è affermare che «non è la via dell’uomo che sale a Dio, ma è la via di Dio che discende verso l’uomo» (153). È vivendo la grazia nelle varie dimensioni del vissuto umano che si sperimenta il Dio di Gesù Cristo.

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ZENIT Staff

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