Foto: Alessandro Gisotti - Facebook

Un "Decalogo" per imparare dal Papa a diventare bravi comunicatori

Mons. Viganò e Massimiliano Padula presentano alla Lateranense il libro di Alessandro Gisotti, giornalista di Radio Vaticana, edito da Elledici

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“A volte è una carezza, a volte un balsamo su una ferita, a volte uno schiaffo, in ogni caso quella di Papa Francesco è una comunicazione che non ti lascia mai indifferente”. Alessandro Gisotti, brillante giornalista vice-capo redattore della Radio Vaticana, autore del libro ‘Il decalogo del buon comunicatore secondo Papa Francesco’ (Elledici) presentato ieri alla Lateranense, inquadra con queste semplici metafore il potere comunicativo del Papa “venuto dalla fine del mondo”.

Per quanto sia possibile inquadrare un Pontefice che parla coi gesti quanto con le parole e che, a volte, con il suo silenzio fa più notizia di tante prediche o catechesi. Da questo stile comunicativo innovativo e lungimirante tanti giornalisti e comunicatori, anche professionisti, hanno di che imparare, a cominciare dal concetto stesso di comunicazione  intesa come “amore” all’altro che si traduce in “ascolto”.

Da questa visione – maturata dal costante lavoro sul magistero del Papa, in particolare con i servizi sulle omelie di Santa Marta – è nata in Gisotti l’idea di stilare un agile libretto, nato e diffuso sui social network, che “si legge in un viaggio Roma-Milano” ma che rimane uno strumento utile per il lavoro quotidiano di ogni giornalista. Cattolico e non cattolico.    

“Un piccolo contributo di riflessione per una comunicazione che metta a centro la persona e che abbia il coraggio di farsi prossima a tutti”, scrive l’autore. Che stila, dunque, dieci “buone regole” per essere comunicatori di Misericordia: dal “Comunicare con tutti senza esclusione” a “favorire le relazioni nelle reti sociali” fino a “generare una prossimità che si prende cura”.

E forse “regole” non è neanche il termine più adatto, perché – come ha affermato mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione, intervenuto alla presentazione –  “se c’è uno spazio in cui non esistono norme ma solo algoritmi, cioè processi, è la comunicazione. Ci sono rischi, ma non norme”.

Il termine “Decalogo” potrebbe infatti trarre in inganno, ha detto il prelato. Tuttavia, riflettendo, in un’ottica biblica il Decalogo era la “garanzia” che “la relazione tra Dio e popolo fosse buona”. Il Decalogo è cioè la “custodia di una relazione”, in questo caso tra il pubblico e un Papa spesso amato, ma spesso anche frainteso.

La comunicazione di Bergoglio supera infatti ogni logica: quella veterotestamentaria del “separare i giusti dai peccatori”, o quella del contadino di “strappare la zizzania e lasciare il grano”, o ancora quella calcistica dello “scontro tra le tifoserie”. Il Papa, ha rilevato il prefetto della Segreteria per la Comunicazione, “non prevede mai il profilo dell’opponente”. Ed è in questo senso che la sua comunicazione si rivolge a tutti “senza esclusione”, come recita il primo punto del Decalogo.

Francesco non dà “patenti”, ha rimarcato Viganò, “lui non dice mai ‘per questi sì, per questi no’”, non scade nella “tentazione di strappare la zizzania, che è qualcosa che occupa uno spazio, per riconquistare quello spazio”. Proprio questo, secondo il prelato, è il successo della sua comunicazione nonché il motivo “per cui ognuno si sente coinvolto: credenti e non credenti, lontani e vicini”.

“Francesco sa che il tempo e i suoi processi, che chiedono pazienza e perseveranza, sono rivolti alla speranza di una liberazione da questo peso che porterà solo Dio”, ha detto il prefetto. E “a un certo punto si può lasciare crescere la zizzania per evitare che strappando essa si strappi anche il grano”.

Di “dicotomia” nella comunicazione ha parlato anche Massimiliano Padula, giovane presidente dell’Aiart (Associazione Italiana Ascoltatori Radio e Televisione), secondo ospite alla presentazione, spiegando che sempre – e ancora di più con i nuovi network sociali – nei processi comunicativi si delineano due poli opposti tra “chi è a favore” e “chi è contro”. “Tramite i social aderiamo alla nostra opinione, oppure la contrastiamo ferocemente. Si rischia di eccedere in umanità”. E rimane “una zona grigia”, di mezzo, inesplorata.

“Ecco, Francesco occupa quella zona grigia” ha detto Padula, e, con la sua “comunicazione creativa”, “ci esorta a riconciliarci, a riumanizzarci, a occupare questa zona e colorarla di umanità e gratuità”. Lo fa parlando a tutti “personalmente”, cioè “come persona, come singolo, e anche interpersonalmente senza mediazioni, tecnicità, orientamenti tecnocentrici”.

La comunicazione del Pontefice – ha sottolineato il presidente Aiart – è un “dono di sé”, è “ascolto” perché “senza ascolto la comunicazione è solo autoreferenza”. “Quello che sta a cuore del Papa è incontrarci”, in un’ottica dell’“aproximarse bien”: avvicinarsi all’altro, alla realtà di chi è ferito, ultimo, povero, che si appresta a morire. E raccontare questa realtà per quello che è: “Verità e bellezza”.

“C’è qualcosa che mi ha sempre colpito di Papa Francesco quando dice che l’amore è per natura comunicazione, e siccome siamo tutti noi esseri capaci di amare, allora tutti noi siamo naturalmente comunicatori”, ha affermato infatti Gisotti nel suo saluto conclusivo. “Davvero per comunicare bisogna ascoltare, in famiglia, nei rapporti di lavoro e in quelli più grandi, tra i popoli e tra gli Stati”. A noi, ha soggiunto, “spesso presi da un’ansia da comunicazione” Francesco propone invece  “il silenzio per fare vera comunicazione”; lo stesso che egli ha adottato a Lesbo, con i terremotati del Centro Italia, ad Auschwitz. “Ascoltare – ha detto Gisotti – vuol dire fatica e custodire la parola altrui, che è così sacra”. E per Francesco lo è davvero.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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