Bread

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Un cibo che parla della nostra vita

Nel suo ultimo saggio don Andrea Ciucci riflette sulla tradizione culinaria alla luce delle Scritture e del cristianesimo

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Cosa sappiamo della grande metafora che si nasconde dietro ai rituali di preparazione e consumazione del cibo? Il tentativo di dare risposta a questa domanda è in linea generale l’intento del libro Cibo che parla – guida insolita per vivere la cucina, di don Andrea Ciucci, sacerdote della diocesi di Milano, che da vent’anni si occupa di educazione dei giovani nonché della formazione di catechisti ed educatori.

Nell’epoca moderna siamo sempre più abituati, a vedere rappresentato il cibo da media e riviste e questo ci fa probabilmente perdere d’occhio il suo vero valore, troppo spesso profanato. Ad oggi il cibo è infatti il tema principale di moltissimi programmi di cucina, i quali tuttavia più che il nostro gusto possono soddisfare la nostra sola vista; motivo per il quale il cibo che il più delle volte è bello da vedere non possiamo sapere se sia altrettanto buono da mangiare. Il cibo andrebbe del resto esplorato con tutti e cinque sensi, sempre ricordando di non esagerare, altrimenti potrebbe lasciarci sfociare in patologie psichiatriche.

Eppure la preparazione di cibi, sui quali procedimenti siamo bombardati di informazioni, non è la sola fase importante dell’approccio al cibo: anche saper apparecchiare bene, in segno di ospitalità, ha la sua importanza. Mangiare soli è infatti piuttosto triste, il pasto dovrebbe rappresentare un’occasione di condivisione che per il vero troppo spesso sprechiamo rifocillandoci con la tv di sottofondo. Ecco perché assume importanza anche l’atto d’invitare qualcuno alla propria mensa: significa farlo entrare nella propria vita e famiglia; inoltre in compagnia si mangia di più e con più gusto ed i bambini a tavola possono imparare l’educazione e crescere intellettualmente.

Sarà per questi motivi, si interroga don Ciucci, che nelle Scritture il Regno di Dio viene spesso paragonato ad un banchetto al quale tutti sono invitati, accolti e sfamati? “E allora mangiamo! Perché il cibo vuole essere anzitutto mangiato. Perché questo è uno dei primi comandi di Dio all’uomo” (Gen 2,16).

Tuttavia, come ben sappiamo, se alcune pecorelle accettano l’invito al banchetto altre lo declinano e si smarriscono. A tal proposito, ci fa riflettere don Ciucci, è sempre per fame o meglio per gola che si arrivano a compiere gli atti più curiosi o strani: si diventa ingegnosi o talvolta ci si vende l’anima. Come dimenticare Esaù, nell’Antico Testamento, che per una minestra di lenticchie vendette la sua primogenitura?

Ed invece proprio il cibo dovrebbe essere l’oggetto primario di condivisione; non è un caso se in molti spot il cibo è strettamente connesso alla casa, alla famiglia, a un ritorno, agli incontri che genera ed al buon umore. Il posto a tavola stesso esprime relazioni e ci dà informazioni circa i rapporti gerarchici; durante un pranzo in famiglia ci ricordiamo di essere genitori, figli, fratelli, nipoti, nonni.

Il cibo, visto in questa chiave, si fa intermediario dell’amore: viviamo sia di cibi che di affetti, senza questi si muore.

Non è dunque un caso notare come nell’ora decisiva di Gesù ritroviamo ancora una tavola da condividere con gli amici: perché in fondo, senza amore il fardello della vita non si riesce a sostenerlo.

All’interno del grande insegnamento che il cibo dà agli uomini Gesù desidera ardentemente mangiare la Pasqua coi discepoli poiché, attraverso il pane reso simbolo del suo corpo, egli può far loro comprendere di avere il potere di saziarli di qualcosa di più grande che la fame terrena: quella spirituale.

“Chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà sete in eterno”; e quando dice ancora: “Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete”, si riferisce appunto al fare la volontà di colui che l’ha mandato: quella di saziare i suoi figli… d’amore.

E a cosa di meglio, se non il cibo e l’acqua che ci permette di sopravvivere, poteva Gesù Cristo paragonare la sua opera?

In questo senso anche l’opposto dello sfamarsi, l’atto del digiuno, assume importanza, in quanto evita di far reagire alla tentazione di volere tutto e subito. Poiché è stato infatti detto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”.

E allora che di cibo viva l’uomo, di quello preparato con amore e dunque sano e che possa farlo anche per mezzo dell’aiuto di questo libro! Un testo che, oltre a farci riflettere sui tanti simbolismi che il cibo assume all’interno della parola di Dio, non manca di illustrare le ricette in una chiave diversa dal solito: affiancandole ad aneddoti e a trovate per far avvicinare a certi sapori i più piccoli, nonché a versi di poesia più che mai… appetibili!

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ZENIT Staff

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