Un affettuoso ricordo del cardinal Martini

Il porporato scomparso raccontato da padre Piero Gheddo, del PIME

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di padre Piero Gheddo

ROMA, domenica, 2 settembre 2012 (ZENIT.org).– La morte di un giusto che abbiamo conosciuto suscita i sentimenti più profondi di affetto e di riconoscenza. Così per il cardinale Carlo Maria Martini, che ho avuto la fortuna di conoscere da vicino in varie circostanze e mi ha sempre lasciato un’impressione non passeggera. Nella marea di scritti che si produrranno su questo grande vescovo, studioso e personaggio di livello mondiale, voglio aggiungere la mia piccola pietruzza che possa portare qualche nota di originalità.

Primo ricordo. Nel 1982 o 1983 quando al mattino andavo spesso in aereo a Roma (e tornavo nel pomeriggio) per incontri alla Cei sul tema missionari o per il “Comitato ecclesiale per la fame nel mondo”, un mattino ero in coda per l’imbarco, quando mi sento chiamare. Era il card. Martini che mi chiede se vado a Roma e mi dice: “Vieni con me, così ci conosciamo meglio”. Siamo saliti sull’aereo passando da un’uscita riservata ai Vip e ci siamo seduti in due posti riservati. Dopo la preghiera personale col Breviario, rivolgo all’arcivescovo una domanda, risponde brevemente e poi dice: “Parlami tu della tua vita di missionario giornalista”. Per me era come andare a nozze, come si dice, ho cominciato a parlare infervorandomi con entusiasmo, tanto che Martini mi dice: “Perché ti scaldi tanto? Dimmi con calma questo e quello,,,,”. Ricordo questo fatto perché mi ha stupito la capacità che aveva, lui che sembrava così freddo e distaccato, di dare confidenza, di farmi sentire a mio agio; e poi anche la curiosità di conoscere la mentalità dei missionari che vivono in culture e fra popoli così diversi dal nostro; e cosa convince un pagano a convertirsi a Cristo e come avviene il passaggio da una religione all’altra, ecc. Insomma, era l’opposto di come immaginavo, lui faceva domande io rispondevo. 

L’arcivescovo Martini mi ha poi mandato all’Assemblea nazionale della Chiesa italiana a Loreto nel 1985, come uno dei rappresentanti della diocesi ambrosiana e poi nel 1986 (non ricordo bene la data) mi telefonano dalla Curia per chiedermi se accetto volentieri di far parte del Consiglio pastorale diocesano di Milano per i prossimi sei anni. Rispondo positivamente ma aggiungo: “Dica all’arcivescovo che io non so quasi nulla della diocesi di Milano. Ci vivo da molti anni, esercito il ministero sacerdotale, ma non seguo la vita della diocesi essendo impegnato  nel conoscere e descrivere il mondo missionario”. Poco dopo mi telefona il card. Martini: “Padre Gheddo, ti metto io nel Consiglio affinché tu porti in diocesi la vita e le voci delle missioni. Credo che abbiamo molto da imparare dalle giovani Chiese, ma forse siamo poco attenti a questo. Nei vari temi di cui parliamo, penso che tu abbia raccolto molti esempi e novità di vita che le Chiese fondate dai missionari possono oggi dare a noi come stimolo per la nostra conversione al Vangelo”. Ho accettato ed è stata per me un’esperienza veramente positiva, anche perché il Consiglio pastorale diocesano erano una cosa seria. Si fissavano i temi e si discutevano prima negli incontri di decanato e poi nell’incontro mensile del Consiglio stesso (dove si presentavano interventi scritti), alla Villa Sacro Cuore di Triuggio, dal sabato pomeriggio alla domenica dopo pranzo. L’arcivescovo era sempre presente con una costanza ammirevole. Dimostrava di avere un’intelligenza e memoria non comuni, riassumendo e sintetizzando gli interventi e proponendo per il giorno dopo i temi da approfondire. Tra l’altro, al pranzo di domenica c’era quasi sempre e non molti erano disposti a pranzare con Martini, per cui spesso riuscivo sedermi al suo tavolo, incuriosito di quel che avrebbe detto in libertà. Mangiava poco e diceva che gli bastava quello.

Quando è morto Marcello Candia (31 agosto 1983), Martini l’aveva visitato il giorno prima alla Clinica S. Pio X ed era rimasto impressionato della sua sopportazione alla sofferenza atroce del cancro al fegato (Marcello lo definirei “l’uomo della croce”) e al funerale ha detto parole commosse. Quando è uscita la biografia Marcello dei Lebbrosi (cinque edizioni) l’ho consegnata personalmente all’arcivescovo al Consiglio pastorale diocesano. Qualche mese dopo mi dice: “Ho letto la biografia di Marcello Candia. Bravo, era veramente un santo! Ma sai il capitolo che mi è piaciuto di più? Uno degli ultimi intitolato “Santo nonostante se stesso”, nel quale parli dei difetti di Marcello, della sua natura non facile da viverci assieme, dei suoi scrupoli. Lo rendi un uomo come gli altri, non un santo imbalsamato da nicchia. Grazie!”. E poi è stato il Cardinale Martini che ha appoggiato la proposta della sua causa di beatificazione, senza il suo intervento forse non sarebbe iniziata.

Un altro ricordo della metà degli anni ottanta. Con una Giunta socialista in Comune, gli ospedali e le cliniche cattolici erano pesantemente penalizzati da controlli continui. Il direttore sanitario della Columbus, ospedale delle Suore della Madre Cabrini (di cui ero aiutante del cappellano), dott. Pasquale Cotza, mi diceva: “Tutte le settimane abbiamo controlli dei Carabinieri, della Polizia, dei Vigili del fuoco, dei Nas. Ci fanno cambiare le porte e altre strutture, hanno dato perfino una multa salata perché il pavimento della cucina è scivoloso. Se facessero questi controlli a Niguarda, dovrebbero chiudere tutto l’ospedale”. Le suore, già in crisi di vocazioni, avevano intenzione di vendere la Clinica e chiedono il parere al Cardinale, il quale viene a trovarle e fa un discorso chiaro e forte (ero presente): “C’è un piano per statalizzare gli ospedali cattolici, dobbiamo reagire. Sorelle, non cedete, l’assistenza sanitaria cattolica ha un valore esemplare in città e ha una grande tradizione”. Le suore non hanno venduto solo grazie al sostegno dati dall’arcivescovo.

Sono riconoscente al cardinal Martini per aver firmato la prefazione di quattro miei libri e di avermi portato a Basilea nel 1989, per la “Tre Giorni di incontro ecumenico delle Chiese cristiane d’Europa”, della cui associazione lui era presidente. Parlavo un po’ il tedesco, ma lui lo usava in modo fluente e spiegava di aver fatto da giovane seminarista due anni di noviziato in Austria; ma poi s’è visto che era chiamato negli Stati Uniti, in America Latina e altrove per conferenze o predicare ritiri ai vescovi e si esprimeva nella lingua locale. Quando invece ci siamo incontrati a Tokyo in Giappone (1985 o 1986), in un intervento alla Sophia University dei gesuiti si è scusato di non poter parlare in giapponese. L’ho seguito nella conferenza e incontro tenuti a più di cento missionari e suore italiani, poi in una parrocchia operaia alla periferia della capitale giapponese e nella visita solenne alla Soka Gakkai, dove tra gli scenari fantastici della scalinata d’accesso e del tempio, ho potuto scattare foto da manifesto. Ricordo che diceva: il buddhismo è interessante, come il mondo non cristiano al quale le missioni cattoliche annunziano Cristo, ma la sfida al cristianesimo e alla Chiesa cattolica si gioca soprattutto in Occidente, di fronte alla secolarizzazione, al relativismo, all’individualismo e ateismo consumistico della modernità.

Il 2 dicembre 1992, alla vigilia di San Francesco Saverio, il card. Martini viene al Pime di Milano ad aprire il primo incontro di missionari dell’istituto impegnati nei mass media in vari paesi. Diceva che le lettere di San Francesco Saverio dall’Oriente erano capaci di suscitare interesse e slancio per le missioni e ancor oggi, aggiungeva, “hanno una forza comunicativa straordinaria”. Poi rivoltosi a noi chiedeva: «Noi vorremmo che la nostra stampa missionaria fosse sempre così, cioè che avesse sempre questa forza comunicativa del Vangelo proprio attraverso la comunicazione delle notizie sulla diffusione del Vangelo. In altre parole, io credo che il popolo cristiano, leggendo le riviste missionarie, d
ovrebbero poter esclamare: “Come sono belli i piedi del messaggero di lieti annunzi che annuncia la pace”…Ora io chiedo a voi: ridateci questo stupore del Vangelo, datelo alle nostre comunità, datelo non soltanto alle terre di missione, ma anche a noi. Siate come san Francesco Saverio tramite fra le Indie, le terre lontane e le terre d’Europa, perché questo stupore riscaldi il cuore di tutti». Mai mi sono trovato in così perfetta sintonia col carissimo arcivescovo.

Un altro testo da ricordare, perché esprime bene la fede e la linea pastorale del Card Cario Maria Martini. In un lungo articolo intitolato Quale cristianesimo nel mondo post-moderno (in America dei gesuiti americani e poi in Avvenire, 27 luglio 2008), l’arcivescovo emerito di Milano dice anzitutto che “non vi è mai stato nella storia della Chiesa un periodo così felice come il nostro” e si può non essere d’accordo o no per vari motivi….. Per rinnovarci alla luce dell’esempio di Gesù, dobbiamo prendere coscienza della maggior sfida che viene oggi alla Chiesa: “la mentalità del mondo postmoderno: un’atmosfera e un movimento di pensiero che si oppone al mondo così come l’abbiamo conosciuto. Il sentimento prevale sulla ragione, la bellezza sulla verità, il dialogo sulla proclamazione della verità. Inoltre, oggi tutto viene posto sullo stesso piano (“relativismo” in tutto), esiste il diritto di essere unici e di affermare se stessi, c’è il rifiuto di accettare quel che sa di centralismo e di imposizione dall’alto, la vita non può più essere vista come sacrificio o sofferenza”.

“Questa la situazione umana in cui viviamo ed è superfluo lamentarsi. Eppure anche in questa situazione la Chiesa annunzia la salvezza in Cristo”, anzi il cardinale aggiunge che “forse questa situazione è migliore di quella che esisteva prima. Perché il cristianesimo ha la possibilità di mostrare meglio il suo carattere di sfida, di oggettività, di realismo, di esercizio della vera libertà, di religione legata alla vita del corpo e non solo della mente. Il mistero di un Dio non disponibile e sempre sorprendente acquista maggiore bellezza. La fede compresa come rischio diventa più attraente. Il cristianesimo appare più bello, più vicino alla gente, più vero. Il mistero della Trinità appare come fonte di significato per la vita e un aiuto per comprendere il mistero dell’esistenza umana”.

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ZENIT Staff

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