Umanizzare l’economia di mercato: la sfida del nostro tempo

Il fine dell’economia dovrebbe essere il progresso verso una giusta ed umana società, piuttosto che la mera crescita del profitto

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Il libro di Gianni Manzone dal titolo “Il Mercato. Teorie economiche e dottrina sociale della chiesa” (Queriniana) richiama l’urgenza di comprendere che il mercato deve avere valore “limitato”.
A ben guardare infatti nell’odierna società, ci si accorge che l’economia di mercato ha invaso le menti di quanti operano in essa. È convinzione comune, infatti, considerare “il mercato” l’unica forma possibile di scambio in una moderna società. Escludendo, a priori, altre forme attuabili all’interno dell’economia. È frutto del dilagante neoliberalismo. Ma le relazioni comunitarie non cono migliorate automaticamente all’incremento dell’espansione dello stesso. È un dato di fatto, è realtà visibile.
In tal caso la dimensione trascendente e religiosa della persona si esprime nell’idolatria consumistica quale religione del mercato, con la conseguente perdita della libertà. Attraverso il mercato possiamo procurarci dei beni, dei servizi, ma non la felicità (a limite solo l’illusione di essa, un appannaggio lontano dal suo vero significato).
Il mercato si limita (o meglio, si dovrebbe limitare) a fare una cosa sola: risolvere il problema dell’allocazione (e non della distribuzione!) fornendo le informazioni e gli incentivi necessari. Benché fondamentale, il mercato, non può costituire un modello generale di organizzazione delle nostre società.
Il problema è che oggi, da istituzione periferica è prepotentemente diventato istituzione centrale e complessa.
Secondo Gianni Manzone (docente presso la Pontificia Università Lateranense) il mercato è diventato istituzione che forma la società ed esprime l’egemonia nell’economia.
L’economizzazione della vita è una diretta conseguenza del pensare che mercato ed economia siano logiche adatte anche ai molteplici rapporti umani. È bene capire che il mercato non è necessariamente un organismo, né un luogo fisico, ma qualunque dispositivo che permetta di avvicinare e armonizzare la volontà di scambio di chi offre un bene o un servizio e di chi lo richiede, fino a giungere alla conclusione di un contratto qualsiasi.
La domanda fondamentale, in particolare oggi, in cui si assiste a livelli alti di corruzione attraverso lo strumento economico, è la seguente: quanto può essere neutrale il mercato nei confronti del potere politico, in condizione di democrazia imperfetta come lo sono tutte le democrazie reali?
Si ricordi che già Pio XI parlava di “plutocrazia” per indicare l’intromissione indebita del potere economico all’interno delle istituzioni democratiche.
Il libro del Manzone è volutamente critico nei confronti di questa istituzione. Una critica che vuol essere costruttiva, affinché le prevaricazioni e le devianze vengano sanate per meglio servire l’uomo. Non bisogna frettolosamente liquidare i testi che risaltano “i limiti del mercato”, concludendo che si tratta di un’opposizione al sistema.
Nel caso specifico, Gianni Manzone non si oppone al mercato, ma alla sua espansione nella società.
È l’autore a rilevare che l’economia di mercato, infatti, è diventata presto cultura, in senso antropologico, e ha trovato in se stessa regole e finalità. L’urgenza, oggi, è comprendere che il mercato deve avere valore “limitato”. Riconoscere i limiti significa apprezzarlo come istituzione fondamentale “per l’economia”.
L’autore ricorda le tesi di K. Polannyi, che fece notare come la novità dell’economia di mercato fu la scorporazione tra l’economia e la sua base sociale. Tale dissociazione creò l’alienazione culturale tra lavoratori e proprietari, e lasciò la società e l’ambiente naturale senza protezione.
Comprendere la società e il mercato nei termini di Polanyi significa diventare coscienti che il mercato e lo stato non sono le sole realtà e che la soggettività di base o le relazioni molteplici delle persone sono la più potente sorgente della trasformazione sociale.
Per tale motivo, la definizione “sostantivista” dell’economia, è affine alla visione antropologica della DSC (Dottrina Sociale della Chiesa).
L’originalità della prospettiva della DSC, sia nel suo rapporto implicito con le teorie economiche che nelle prese di posizione esplicite di fronte ai sistemi economici, consiste nel concepire le persone come soggetti costitutivamente aperti alla dimensione relazionale.
Le critiche più severe della DSC non riguardano il mercato in sé, quale meccanismo di distribuzione delle risorse, ma la sua finalità e la signoria che ha acquisito nella nostra società occidentale e che si esprime nel neoliberalismo (Octogesima Adveniens, 26).
Una logica che ha prodotto la finzione dell’homo oeconomicus. È criticando tale modello “esclusivamente teorico” (non accostabile alla realtà, in quanto fittizio) che si può tornare a parlare di bene comune. Infatti, il modello giustificativo dei teoremi economici che isola l’uomo, interpretandolo come agente razionale, tende ad isolare il singolo ad una incomunicabilità di fondo che esclude il rapporto con gli altri e con l’ambiente.
Conseguenza, il pensare “esclusivamente” a sè stessi senza preoccuparsi del bene comune.
A livello sociale tale mentalità ha creato atomi economici (agenti economici, consumatori ecc.). L’autore critica tale modello, proponendo di passare dalla finzione dell’homo oeconomicus alla realtà della persona nella comunità.
Il Manzone non manca di approfondire l’insegnamento sociale della chiesa riprendendo le parole dei pontefici quali: Leone XIII, Pio XI, Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II.
Dalla lettura del libro emerge, inoltre, sia la “non-libertà” del liberalismo, sia la signoria del mercato.
Manzone sottolinea come la chiesa sembra oggi limitarsi ad appelli e richiami, ma non potrà sopportare, in futuro, l’imbarbarimento della società. Per cui – continua l’autore – è prevedibile che la frattura con l’economia di mercato andrà accentuandosi, se il liberalismo si affermerà nei sui termini più duri e competitivi, travalicando l’economico e pretendendo di gestire l’umano, con la conseguenza di ridurre la persona a mero agente economico, numero, fattore di produzione ecc.
Qualcuno si chiede: perché la chiesa ha sentito l’esigenza di confrontarsi con le teorie economiche? La risposta è semplice. Perché l’impegno cristiano per la giustizia, deve per necessità, occuparsi delle forme economiche quali il mercato, nelle quali può concretizzarsi la cura per l’uomo e per le condizioni che propiziano il sorgere di un soggetto responsabile.
Insomma, quando è in questione il bene dell’uomo in quanto uomo, chi crede in Cristo non può disinteressarsi ai meccanismi che ne minacciano l’integrità e la dignità. Il fine dell’economia dovrebbe essere il progresso verso una giusta ed umana società, piuttosto che la crescita economica.
Filtrando l’uomo attraverso la sola lente economica non si rispetta la dignità umana, in quanto si riduce l’uomo ad una “possibilità economica”.
Il testo del Manzone, analizzando il mercato, ci ricorda che solo attraverso uno sguardo veramente umano si può accogliere la persona nella sua totalità, ridimensionando la realtà del mercato ricollocandola in una dimensione secondaria e limitata.
 

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Domenico De Angelis

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