Ubi Petrus, ibi ergo Ecclesia

L’omelia dell’Ordinario Militare per l’Italia per la messa “pro eligendo Pontifice”

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Riportiamo di seguito un sintesi dell’omelia di monsignor Vincenzo Pelvi, Ordinario Militare per l’Italia, in occasione della Santa Messa pro eligendo Romano Pontifice, celebrata stamattina presso la Chiesa di Santa Caterina a Magnanapoli, a Roma.

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Carissimi, in questa celebrazione mentre ringraziamo il Signore per il grande dono del ministero petrino di Benedetto XVI, Pontefice emerito, ci uniamo alla preghiera della Chiesa per i Cardinali in conclave, perché il Signore ci doni un pastore secondo il suo cuore, un pastore che ci guidi alla conoscenza di Cristo, al suo amore, alla vera gioia. Desidero, perciò, soffermarmi con voi sul primato che Gesù affida a Pietro e ai suoi successori nel tempo della Chiesa. La Chiesa cattolica è consapevole di aver conservato il ministero del Successore dell’apostolo Pietro, il Vescovo di Roma, che Dio ha costituito quale «perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità» (LG, 23).

Nel Nuovo Testamento, la persona di Pietro ha un posto eminente. Nella prima parte degli Atti degli Apostoli, egli appare come il capo e il portavoce del collegio apostolico designato come «Pietro […] con gli altri Undici» (2,14; cfr. anche 2,37; 5,29). Il posto assegnato a Pietro è fondato sulle parole stesse di Cristo, così come esse sono ricordate nelle tradizioni evangeliche.        

Il Vangelo di Matteo delinea e precisa la sua missione pastorale nella Chiesa: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (16,17-19).

Luca evidenzia che Cristo raccomanda a Pietro di confermare i fratelli, ma che allo stesso tempo gli fa conoscere la sua debolezza umana e il suo bisogno di conversione (cfr. Lc 22,31-32). È proprio come se, sullo sfondo dell’umana debolezza di Pietro, si manifestasse pienamente che il suo particolare ministero nella Chiesa proviene totalmente dalla grazia; è come se il Maestro si dedicasse in modo speciale alla sua conversione per prepararlo al compito che si appresta ad affidargli nella sua Chiesa e fosse molto esigente con lui.

La stessa funzione di Pietro, sempre legata a una realistica affermazione della sua debolezza, si ritrova nel quarto Vangelo: «Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro? […] Pasci le mie pecorelle» (cfr. Gv 21,15-19).

È inoltre significativo che secondo la Prima Lettera di Paolo ai Corinzi, il Cristo risorto appaia a Cefa e quindi ai Dodici (cfr. 15,5). 

È importante rilevare come la debolezza di Pietro manifesti che la Chiesa si fonda sulla infinita potenza della grazia (cfr. Mt 16,17). Pietro, subito dopo la sua investitura, è redarguito con rara severità da Cristo che gli dice: «Tu mi sei di scandalo» (Mt 16,23). Come non vedere nella misericordia di cui Pietro ha bisogno una relazione con il ministero di quella misericordia che egli sperimenta per primo? Ugualmente, tre volte egli rinnegherà Gesù. Anche il Vangelo di Giovanni sottolinea che Pietro riceve l’incarico di pascere il gregge in una triplice professione d’amore (cfr. 21,15-17) che corrisponde al suo triplice tradimento (cfr. 13,38). Luca, da parte sua, nella parola di Cristo già citata, alla quale aderirà la prima tradizione nell’intento di tracciare la missione di Pietro, insiste sul fatto che questi dovrà «confermare i suoi fratelli una volta che si sarà ravveduto» (cfr. Lc 22,32).

Questo incarico può esigere di offrire la propria vita (cfr. Gv 10,11-18). La missione del Vescovo di Roma nel gruppo di tutti i Pastori consiste appunto nel “vegliare” come una sentinella, in modo che, grazie ai Pastori, si oda in tutte le Chiese particolari la vera voce di Cristo-Pastore. Così, in ciascuna delle Chiese particolari loro affidate si realizza l’una, sancta, catholica et apostolica Ecclesia. Tutte le Chiese sono in comunione piena e visibile, perché tutti i Pastori sono in comunione con Pietro, e così nell’unità di Cristo. Certo a nessuno sfugge la sproporzione degli uomini chiamati a succedere a Pietro, per una tale funzione. Ma proprio nel conferimento a un uomo della funzione di roccia diventa chiaro che non sono tali uomini che sostengono la Chiesa, ma solo Colui il quale la sostiene, più nonostante gli uomini che attraverso di essi. […]

Dunque, con lo stesso realismo con cui oggi ammettiamo le fragilità dei papi, la loro inadeguatezza rispetto alla grandezza del loro ministero, dobbiamo anche riconoscere che sempre Pietro è stato la roccia contro le ideologie; contro la riduzione della Parola a quanto è plausibile in un’epoca determinata; contro la sottomissione ai potenti di questo mondo.

Riconoscendo questi fatti nella storia, noi non celebriamo degli uomini, ma diamo lode al Signore, che non abbandona la Chiesa e che ha voluto realizzare il suo esser roccia attraverso Pietro, la piccola pietra d’inciampo: non la «carne e il sangue», ma il Signore salva attraverso coloro che provengono dalla carne e dal sangue. La promessa fatta a Pietro e la sua realizzazione storica in Roma rimangono quindi nel più profondo un motivo perenne di gioia: le potenze degli inferi non prevarranno contro di essa… Il Signore vince sempre. Sì, è vera la sua promessa: i poteri della morte, le porte degli inferi non prevarranno contro la Chiesa che Egli ha edificato su Pietro (cfr. Mt 16, 18) e che Egli, proprio in questo modo, continua a edificare personalmente.

Nell’Anno della fede, nel giorno in cui inizia il conclave, professiamo la verità evangelica su Pietro e i suoi successori. «La Chiesa con piena verità si fonda come in un fondamento visibile, prima in Pietro e sui suoi successori, immediatamente poi sugli apostoli e sui vescovi, successori degli apostoli» (Leone XIII). Nella figura, nella missione e nel ministero di Pietro, nella sua presenza e nella sua morte a Roma, la Chiesa contempla una profonda realtà, che è in rapporto essenziale con il suo stesso mistero di comunione e di salvezza: «Ubi Petrus, ibi ergo Ecclesia» (Sant’Ambrogio).

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ZENIT Staff

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