Tribunale Europeo: gli Stati non sono costretti a favorire il suicidio

Sostiene la legge svizzera che esige una ricetta per le sostanze letali

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STRASBURGO, mercoledì, 26 gennaio 2011 (ZENIT.org).- Anche se il Tribunale Europeo dei Diritti Umani riconosce in qualche modo il cosiddetto diritto al suicidio, una decisione presa giovedì scorso nega che gli Stati abbiano il dovere positivo di fornire ai cittadini i mezzi per togliersi la vita.

La sentenza chiude un caso di suicidio assistito di alto profilo, Haas vs. Svizzera. Il caso è quello di un uomo che soffriva di una depressione maniacale e ha accusato lo Stato svizzero di violare il suo diritto alla vita privata perché lo costringeva ad avere una ricetta per ottenere una sostanza letale e potersi così togliere la vita.

Nessuno degli psichiatri contattati dal richiedente gli avrebbe fornito una ricetta; le sue condizioni non erano gravi.

L’appellarsi alla vita privata era basato sul significato di questo termine, nell’art. 8 della Convenzione Europea, previamente garantito dal Tribunale dei Diritti. Nel 2002, il Tribunale ha stabilito che la scelta del richiedente di come porre fine alla propria vita apparteneva all’ambito della sua vita privata, difeso dalla Convenzione Europea.

Il Tribunale ha confermato in questo modo il diritto al suicidio, ma lo ha sottoposto a due condizioni: che l’individuo sia capace di prendere questa decisione e che sia capace di portare a termine l’azione.

Il Tribunale, dunque, difende una sorta di diritto al suicidio, ma con la decisione di giovedì respinge l’esistenza di un diritto di assistenza al suicidio, derivante dalla Convenzione Europea.

Grégor Puppinck, direttore del Centro Europeo di Diritto e Giustizia, ha affermato che questa nuova sentenza conferma che non si può invocare la Convenzione per reclamare un presunto diritto all’eutanasia o al suicidio assistito.

Il Tribunale ha inoltre fatto riferimento all’articolo 2 della Convenzione Europea, che difende il diritto alla vita. Si dice che le autorità sono costrette a evitare che la persona si tolga la vita se la decisione non è presa “liberamente e con totale consapevolezza”.

Quanto al desiderio del richiedente di ottenere sostanze letali senza ricetta, il tribunale ha affermato che questa decisione ha l’obiettivo di prevenire gli abusi e preservare gli individui da una decisione presa in modo affrettato.

Un comunicato del Centro Europeo di Diritto e Giustizia ha riassunto la decisione in questo modo: “Per questo, nonostante un ancora problematico riconoscimento di una sorta di diritto al suicidio, come estensione peculiare e discutibile del diritto alla vita privata, il Tribunale non sostiene le dichiarazioni del richiedente secondo cui lo Stato avrebbe il dovere positivo di adottare misure che permettano un suicidio rapido e senza dolore”.

“Al contrario, secondo l’articolo 2 che garantisce il diritto alla vita, lo Stato deve assicurare la difesa della vita della gente che vive sotto la sua giurisdizione. Anche nel caso in cui il suicidio assistito sia permesso, con in Svizzera, lo Stato deve prevenire gli abusi nell’impiego di questa facoltà, perché il suo dovere è quello di difendere la vita”.

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ZENIT Staff

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