Tre errori sulla preghiera per gli ebrei del Venerdì Santo

Spiegazione di padre Remaud, esperto di studi ebraici

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di Anita S. Bourdin

ROMA, venerdì, 23 gennaio 2009 (ZENIT.org).- La preghiera per gli ebrei del Venerdì Santo secondo il rituale di Giovanni XXIII non dice “preghiamo per la conversione degli ebrei”, ma “preghiamo per gli ebrei”, sottolinea a ZENIT padre Michel Remaud, direttore dell’Istituto Cristiano di Studi Ebraici e di Letteratura Ebraica di Gerusalemme.

In occasione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, dal 18 al 25 gennaio, la Conferenza Episcopale Italiana (CEI) ha istituito una giornata di dialogo con l’ebraismo il 17 gennaio. I rabbini italiani non hanno partecipato a causa dell’approvazione papale di questa preghiera.

Il testo dell’Ufficio della Passione del Venerdì Santo in latino, autorizzato per il suo uso “straordinario” da Benedetto XVI e utilizzato per la prima volta nella preghiera universale del Venerdì Santo del 2008, non dice “Oremus pro conversione Judæorum”, ma “Oremus et pro Judæis”, dopo la soppressione della parola “perfidis”, quasi cinquant’anni fa, da parte di Papa Giovanni XXIII.

“In un terreno così delicato” come quello dei rapporti tra cristiani ed ebrei, padre Remaud raccomanda di “essere rigorosi”.

Per il sacerdote, la questione è la seguente: “il cristiano che esprime la propria fede utilizzando le formule del Nuovo Testamento deve essere accusato di volontà di conversione quando dialoga con gli ebrei?”.

L’esperto sostiene inoltre l’importanza di tener conto degli elementi liturgici del dibattito. In questo senso, afferma, i giornali hanno spesso commesso tre errori.

Non è una questione legata alla Messa in latino

In primo luogo, non è una questione legata alla “Messa in latino”, perché anche questa si celebra secondo il rituale successivo al Concilio Vaticano II, approvato da Paolo VI.

E’ una versione che si usa molto nelle assemblee internazionali, a Lourdes e a Roma, ad esempio. Non si tratta, dunque, di scegliere tra la “Messa in latino” e quella nella lingua nazionale. Questa, osserva padre Remaud, è una falsa pista.

“Per definire il rituale anteriore alla riforma del 1969 – sottolinea il sacerdote –, i giornalisti hanno creato l’espressione, comoda ma inadeguata, di ‘Messa in latino’”.

In realtà, avverte, ciò che distingue l’antico rituale non è l’uso del latino, “perché il Messale promulgato in applicazione della riforma conciliare è redatto originariamente in latino, e si usa contemporaneamente alle sue traduzioni nelle lingue vive”.

Non è una questione legata alla Messa

Non è nemmeno un problema di “Messa”, aggiunge, perché nel giorno del Venerdì Santo non si celebra la “Messa”, ma l’Ufficio della Passione. Ecco, quindi, un’altra falsa pista.

Quando non si celebra la Messa, la liturgia introduce, tra le altre, una preghiera per i nostri “fratelli maggiori”, secondo la formula usata da Giovanni Paolo II nella sinagoga di Roma il 13 aprile 1986.

“E’ una preghiera ‘universale’ per tutta l’umanità – spiega padre Remaud –. L’ufficio proprio di quel giorno include una lunga serie di preghiere in cui si raccomandano a Dio tutte le categorie dei credenti (e anche i non credenti) che compongono l’umanità”.

“Fino al 1959 – aggiunge – si pregava, tra le altre intenzioni, in latino, ‘pro perfidis judæis‘”, ma “anche dopo la soppressione dell’aggettivo perfidis‘ da parte di Giovanni XXIII, la preghiera ha continuato a impiegare formule che potevano ferire gli ebrei”.

“Perfidi” non aveva in latino il senso dispregiativo che ha poi assunto nelle lingue volgari. Letteralmente deriva da “per” e “fides”, ossia colui che resiste o rimane nella sua fede.

La formula “è caduta in disuso alcuni anni dopo con la promulgazione del Messale cosiddetto di Paolo VI”, in parte a causa del significato peggiorativo assunto.

Giovanni Paolo II, nel 1984, ha autorizzato l’uso dell’antico Messale per i seguaci dell’Arcivescovo Marcel Lefebvre che erano tornati alla comunione con Roma.

L’antica formula, quindi, è stata usata per 24 anni da alcune comunità cattoliche senza che nessuno protestasse, sottolinea padre Remaud.

Il motu proprio Ecclesia Dei rimanda alla lettera Quattor Abhinc Annos, che dice letteralmente: “Il Santo Padre, nel desiderio di andare incontro anche a codesti gruppi, offre ai Vescovi diocesani la possibilità di usufruire di un indulto, onde concedere ai sacerdoti insieme a quei fedeli che saranno indicati nella lettera di richiesta da presentare al proprio Vescovo, di poter celebrare la S. Messa usando il Messale Romano secondo l’edizione del 1962 ed attenendosi” a quattro norme, tra cui il fatto che “queste celebrazioni devono essere fatte secondo il Messale del 1962 ed in lingua latina”.

Prima di dare la sua autorizzazione, Benedetto XVI ha chiesto un’altra modifica, “proibendo anche a quanti usano a titolo eccezionale il Messale anteriore al Concilio di tornare a utilizzare queste espressioni”.

“Paradossalmente – fa notare l’esperto –, è proprio la decisione di correggere una formula giudicata inaccettabile e utilizzata da un numero molto ristretto di cattolici [una volta all’anno] ad aver suscitato tanta indignazione”.

Non esiste la parola conversione

C’è un’ultima “falsa pista” nata nel dibattito sulla preghiera: la parola “conversione”.

Padre Remaud sottolinea che “tutto il dibattito suscitato da questa decisione si è concentrato su una parola che non figura nel testo, la ‘conversione’”, e che “chiedere a Dio di illuminare i cuori è una cosa, esercitare pressioni sulla gente per cercare di convincerla è un’altra. La differenza è più che nella sfumatura”.

Per questo, pone una domanda “più fondamentale”: se il cristiano considera Gesù “il Salvatore di tutti gli uomini” ed esprime questa convinzione nella sua liturgia, gli si può impedire il dialogo con quanti non condividono la sua fede?”.

[Il testo integrale della preghiera modificata da Benedetto XVI nel 2008: “Preghiamo per gli Ebrei. Il Signore Dio Nostro illumini i loro cuori perché riconoscano Gesù Cristo Salvatore di tutti gli uomini. Dio Onnipotente ed eterno, Tu che vuoi che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità, concedi propizio che, entrando la pienezza dei popoli nella tua Chiesa, tutto Israele sia salvo”]

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ZENIT Staff

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