Tra paternità spirituale e naturale

Il XVI Convegno ecumenico di spiritualità ortodossa di Bose

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di Chiara Santomiero

ROMA, mercoledì, 24 settembre 2008 (ZENIT.org).- “Viviamo in una società, una cultura moderna o post-moderna in preda ad una crisi dell’autorità e in particolare dell’autorità paterna. Come questa crisi incide sulla paternità spirituale? Che cosa può imparare la paternità spirituale dalla paternità naturale?”: sono alcune delle domande poste da padre Michel Van Parys, del monastero dell’Esaltazione della Santa Croce di Chevetogne (Belgio), a conclusione della XVI edizione del Convegno ecumenico internazionale di spiritualità ortodossa che si è svolto nei giorni scorsi presso il monastero di Bose (Bi).

Organizzato dalla stessa comunità monastica in collaborazione e con il patrocinio congiunto del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli e del Patriarcato di Mosca, il convegno ha visto la partecipazione di esponenti del mondo accademico, culturale e religioso provenienti da Francia, Germania, Grecia, Italia, Russia, Serbia, Bielorussia, Ucraina, Romania, Bulgaria, Georgia, Libano, Austria, Belgio, Regno Unito, Spagna, Svezia Lussemburgo, Portogallo, Estonia, Repubblica Ceca.

Non c’è una sola modalità di paternità spirituale: “C’è la tradizione dei padri del deserto – ha ricordato Van Parys – con uno o più discepoli, ciò che Giovanni Climaco chiama la vita nelle Scete o Skjti, ma ci sono stati anche i cenobiti e poi c’è la tradizione cenobitica di san Benedetto e di san Teodoro Studita, in cui il padre della comunità è padre per la comunità ed è padre per ciascuno”.

Inoltre, ha aggiunto, “c’è la tradizione dei padri spirituali dei laici, presente fin dai tempi patristici, e la tradizione data alla chiesa russa dei preti sposati”.

A queste forme di paternità spirituale vanno aggiunte, come sottolineato da più di una relazione durante il convegno, quelle della maternità spirituale.

Secondo Nina Kauchtschischwili, membro del Comitato scientifico del convegno, “il concetto di maternità spirituale ha radici remote; lo s’incontra per la prima volta tra le monache del deserto e diventa particolarmente attuale nel clima repressivo del periodo sovietico”.

In quel tempo, ha confermato l’igumena (superiora) Gavriila Gluchova di Grondo “ad esercitare la cura e il sostegno spirituale dei credenti furono chiamati uomini di ordinazione monastica e semplici laici”.

Tra essi, “non poche furono anziane donne col fazzoletto bianco in testa, spesso provenienti da famiglie contadine”, le quali “capivano bene i bisogni e i problemi dell’uomo semplice, parlavano in una lingua accessibile e così hanno conservato per noi la santa Chiesa ortodossa russa”.

Proprio l’esperienza di queste donne spesso semplici insegna come rimediare alla crisi di formazione: “La testimonianza delle monache russe e georgiane ci ha insegnato che lo Spirito Santo trasmette la fede e la tradizione in ciò che è fragile e spregevole agli occhi dei potenti e degli intellettuali del mondo”.

“Esse amavano, esse compativano, si mostravano infinitamente pazienti nel portare la croce”, ha continuato Gavriila Gluchova.

Infatti, “il compito dei padri e delle madri spirituali è di iniziare all’ascesi interiore, di aprire un percorso di preghiera continua e di carità” sebbene “certamente occorrerà aggiungere a questo la formazione alla lettura della Scrittura e dei Padri”.

Le scienze umane possono venire in aiuto nella formazione dei padri spirituali?

“Alcuni Padri del deserto nel IV e V secolo – ha sottolineato Van Parys – in un’ansia di discernimento e nell’intento di chiarificare le regole della lotta spirituale, non hanno esitato a riprendere le tecniche di analisi della vita psichica attingendola dai filosofi, che erano considerati come maestri di saggezza”.

“Hanno dunque aperto la via di alcune tecniche di guida spirituale di quelle che noi oggi chiameremmo le scienze umane? Che cosa potremmo fare oggi in questo campo senza tradire l’unicità della rivelazione cristiana e della paternità spirituale in Cristo?”, si è domandato.

Al di là delle forme, degli strumenti di formazione, del ruolo nella Chiesa dei padri spirituali e dei limiti della loro autorità sulla coscienza dei figli spirituali, a quale immagine di padre occorre fare riferimento?

Secondo Van Parys bisogna guardare al padre della parabola del figliol prodigo che “perde il figlio cadetto ma rispetta la sua libertà: pazienta, attende, ama, ha già perdonato. E la questione si allarga: perderà il figlio maggiore a causa della gelosia fraterna? Grande problema ecumenico questo! Il figlio maggiore accetterà di entrare nella casa? Gesù non dà risposte, sta a noi rispondere”.

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ZENIT Staff

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