Tomasi: "Schiavitù fenomeno disumano mondiale. Serve mobilitazione internazionale"

L’osservatore vaticano presso le Nazioni Unite di Ginevra è intervenuto ieri alla 30° Sessione del Consiglio per i diritti Umani dell’Onu

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Superare la “globalizzazione della indifferenza” nei confronti di chi viene ridotto in schiavitù, con un “rinnovato senso di solidarietà e di fraternità”. È quanto ha domandato alla comunità internazionale mons. Silvano M. Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite di Ginevra, intervenendo ieri alla 30° Sessione del Consiglio per i diritti Umani dell’Onu. 

Per la sua riflessione – riportata dalla Radio Vaticana – l’arcivescovo parte dalle drammatiche cifre diffuse dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro: 35,8 milioni di persone al mondo ridotte in stato di schiavitù, 5,5 milioni degli oltre 20 milioni di persone impiegate nel lavoro forzato sono bambini. A correre i maggiori rischi sono gruppi vulnerabili come: indigeni, minoranze, coloro considerati provenire dalle “caste più basse” e migranti, soprattutto irregolari.

I settori “con un elevato rischio di forme contemporanee di schiavitù” sono quelli in cui troviamo catene di produzione: in agricoltura, nell’edilizia, nell’estrazione mineraria e nell’industria tessile, rileva Tomasi, spiegando che tuttavia esistono anche altre forme di schiavitù, oltre allo sfruttamento nel lavoro forzato, come la prostituzione o le schiavitù sessuali che ‘catturano’ numerosi giovani maggiorenni.

Tomasi cita poi il messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale della pace 2015, dove il Pontefice denuncia la situazione di “donne forzate a sposarsi, vendute in vista del matrimonio o trasmesse in successione ad un familiare alla morte del marito, senza che abbiano il diritto di dare o non dare il proprio consenso”. Oppure i drammi di persone rese schiave “per l’espianto di organi, per essere arruolati come soldati, per l’accattonaggio, per attività illegali come la produzione o vendita di stupefacenti, o per forme mascherate di adozione internazionale”.

Un fenomeno “disumano”, dice il rappresentante vaticano, che affonda  le sue radici in una concezione della persona umana che ammette la possibilità di trattarla come un oggetto. “Siamo di fronte ad un fenomeno mondiale che supera le competenza di una sola comunità o nazione” afferma, e rimarca che “al fine di eliminarlo abbiamo bisogno di una mobilitazione di dimensioni paragonabili a quelle del fenomeno stesso”. Occorre, cioè, impegnarsi a prevenire questo fenomeno, tutelando al contempo le vittime, lavorando per la loro riabilitazione psicologica e pedagogica, e perseguendo legalmente i responsabili.

Su quest’ultimo punto, Tomasi sottolinea che “gli Stati dovrebbero garantire che la propria legislazione rispetti veramente la dignità della persona umana nei settori della migrazione, dell’occupazione, dell’adozione, nei movimenti delle società offshore e nella vendita di articoli prodotti da lavoro degli schiavi, alla ricerca delle modalità più idonee per punire coloro che sono complici in questo commercio inumano”. Oltre che combattere in modo coordinato le reti transnazionali del crimine organizzato che controlla il traffico di persone e il traffico illegale di migranti. 

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ZENIT Staff

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