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ZENIT

Teologia della liberazione: un salvagente di piombo per i poveri?

Un libro dello scrittore Julio Loredo fa luce su una delle correnti ideologiche che ha penetrato il Cristianesimo nel secolo scorso

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Il prof. Julio Loredo, giornalista e scrittore, presidente dell’Associazione “Tradizione Famiglia Proprietà”, uno dei maggiori esperti del fenomeno della Teologia della liberazione, martedì 20 ottobre alle ore 17,30 presso il salone “San Biagio” della Chiesa di S.Agata alla Fornace, a Catania, presenterà il volume  Teologia della liberazione. Un salvagente di piombo per i poveri, (ed. Cantagalli).

All’incontro, moderato dal preside Giuseppe Adernò, interverrà il rettore della Chiesa mons. Leone Calambrogio. Il volume in questione in 440 pagine documenta l’evoluzione storica e le caratteristiche della Teologia della liberazione, della quale spesso si sente parlare senza conoscerne a pieno il significato e le implicanze sociali, culturali e religiose.

Dopo i diversi documenti di condanna per la pericolosità di questa corrente di pensiero, in questi ultimi anni si leggono segnali ed espressioni che fanno presagire uno “sdoganamento” delle idee latinoamericane. Segnali raccolti anche dal vaticanista Andrea Tornielli, autore di un articolo dal titolo Tra Vaticano e Teologia della liberazione scoppia la pace.

Ma è proprio così? A questa domanda risponde, appunto, la diligente ricerca di Loredo, il quale il 6 agosto 1974 ha dovuto abbandonare la sua patria, il Perù, sotto la dittatura del generale Juan Velasco Alvarado, e per trent’anni è vissuto in esilio fra la Colombia, l’Ecuador e il Brasile.

Le documentazioni pubblicate, frutto di anni di ricerca (44 pagine di bibliografia) hanno il valore di una vissuta testimonianza diretta, in quanto, da presidente dell’associazione “Tradizione, Famiglia e Proprietà”, si è opposto ai principi e alle idee innovative che rivestite di teologia e di liberazione, hanno fatto presa nel mondo cattolico e non solo latino-americano.

Il Papa emerito, Benedetto XVI, ha più volte ricordato che occorre opporsi alla Tdl proprio “per amore dei poveri e a vantaggio del servizio che va reso loro”.  Parole cui fa eco l’autore di questo libro, secondo cui i teologi della liberazione non amano i poveri ma la povertà (altrui) e amano in particolare quei poveri pieni d’invidia e di rabbia che si prestano a farsi strumenti rivoluzionari per consegnare debitamente il potere ai potenti.  La Tdl è un “salvagente di piombo per i poveri” (secondo la definizione del teologo gesuita Horacio Bojorge), un coacervo di eresie abilmente propagate attraverso alcune “Comunità ecclesiali di base” (Ceb), che in alcuni contesti sono diventate cinghie di trasmissione della Tdl.

Nel volume si sviluppa la genesi della Teologia della Liberazione, scaturita dalla confluenza del “cattolicesimo sociale” – presentato anche con il nome di “cristianesimo democratico” e di “socialismo cristiano”, – con il “cattolicesimo liberale” che ha alimentato il “modernismo” prima e la “Nouvelle Théologie” dopo, condannata e corretta da papa Pio XII con le encicliche Mystici corporis nel 1943, Mediator Dei nel 1947 e Humani generis nel 1950.

Il peruviano Gustavo Gutiérrez Merino, considerato il “padre fondatore “ della teologia della liberazione, infarcisce la “sua” corrente di modernismo, neo-modernismo, condita dall’ideologia marxista; il che produce un pedigree eretico, come si legge nel volume di Julio Loredo.

Nel cuore del volume vengono esaminate le fondamenta, il nucleo dottrinale e l’ecclesiologia della Teologia della Liberazione e quasi in una lettura sinottica si vedono a confronto le caratteristiche della Chiesa fondata da Cristo (cattolica, corpo mistico, gerarchica) e l’immagine di Chiesa proposta dalla Tdl (espressione del Regno, democratica, ugualitaria, “popolare” secondo il modello marxista, e il “sacerdozio dei laici”).

Come spiega Julio Loredo nell’intervista che segue, è bene aiutare i poveri, secondo il modello della carità cristiana, ma non porgendo loro un il “salvagente di piombo” che li affonda sempre più. Su ali d’aquila si sale in alto.

***

In cosa consiste l’opzione per i poveri? I “nuovi poveri” sono veramente i poveri in spirito come si legge del Vangelo?

Questa è, forse, la più vistosa contraddizione della Tdl. Dice di difendere i poveri, però propone sistemi politici ed economici che hanno provocato soltanto miseria e oppressione, come appunto il socialismo e il comunismo. La Tdl non fa tanto un’opzione per i poveri quanto per la povertà stessa. La Tdl non parla di “povero” nel senso evangelico, cioè il povero di spirito, né nel senso comune, cioè una persona bisognosa. Per la Tdl “povero” è chiunque si ritenga “oppresso” da qualsiasi fattore: economico, politico, sociale, culturale, religioso, psicologico. Un omosessuale può essere un “povero”, a prescindere dalla sua situazione economica. D’altronde, la Tdl parla dei “poveri in lotta”, cioè quelli impegnati in una prassi rivoluzionaria. Chiunque non sia impegnato in tale prassi, non sarebbe “povero”. 

Il giornalista Indro Montanelli ha scritto: “La sinistra ama talmente i poveri che ogni volta che va al potere li aumenta di numero”. Cosa ne pensa?

Un’analisi attenta dell’America Latina – Paese per Paese – mostra chiaramente che, laddove sono state applicate le politiche proposte dalla Tdl il risultato è stato un notevole aumento della povertà e del malcontento popolare. Laddove, invece, sono state applicate le politiche opposte, il risultato è stato un generale incremento del benessere. La Tdl non fa tanto un’opzione per i poveri quanto per la povertà stessa, idea che regge la società che anelano.

La dottrina sociale della Chiesa ha solamente una dimensione orizzontale, terrena, oppure anche verticale, e trascendentale?

“Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,33). Alla luce di questa dottrina insegnata da Gesù, il Magistero sociale della Chiesa ha sempre messo al centro gli aspetti spirituali e religiosi della cosiddetta “questione sociale”. Da Leone XIII fino a Giovanni Paolo II, l’enfasi dei Romani Pontefici è stata sempre, dapprima, la salute spirituale delle persone. Non solo perché la salute spirituale primeggia, in assoluto, su quella materiale, ma anche perché solo anime rette riescono a costruire una società retta e, quindi, anche prospera. Il benessere materiale di una società dipende, infatti, dal suo benessere spirituale. Costruire ricchezza senza Dio è il cammino più diretto al disastro, come lo dimostra la nostra moderna società: ricchissima materialmente, ma piagata da ogni sorta di malessere.

Quale seconde Lei il miglior modo per aiutare i poveri veri?  

Il miglior servizio che si può fare al prossimo è aiutarlo a raggiungere la salvezza eterna. In questo consiste, anzitutto, la vera carità. E questo vale tanto per i poveri quanto per i ricchi. Anzi, da più punti di vista, questo tipo di aiuto spirituale è più necessario per i ricchi che non per i poveri, proprio perché essi sono più esposti a situazioni nocive. È evidente che tutti vogliamo aiutare i poveri anche materialmente, facilitando la loro uscita dalla povertà per raggiungere il benessere. Le società, e soprattutto le mentalità dei cittadini, devono essere strutturate in modo da permettere che il benessere creato sia condiviso dal maggior numero di persone possibile.

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Giuseppe Adernò

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