Card. Tagle a Idomeni (Grecia)

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Tagle: "La Chiesa testimoni misericordia non solo ai suoi membri, ma anche all’esterno"

L’arcivescovo di Manila ha dialogato con i ragazzi della scuola “Sinderesi” della Pontificia Università Gregoriana

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“L’evangelizzazione in Asia e non solo, deve avere la forma del dialogo soprattutto con le culture e le religioni”. Bisogna infatti “rendere concreta la religione e la cultura dell’altro, creando amicizia; non studiare le culture solo dai libri o in astratto. Le culture, le religioni, sono incarnate nelle persone, quindi arriviamo a conoscere le persone: parliamo con loro, litighiamo con loro, piangiamo con loro, ridiamo con loro. Allora saremo capaci di entrare in quel mondo e in quella cultura”.
È uno dei passaggi del dialogo intavolato dal cardinale Luis Antonio Tagle con i ragazzi della scuola Sinderesi della Pontificia Università Gregoriana, durante la presentazione del volume Religion and Politics. Nel suo intervento, riportato in ampi stralci dalla Radio Vaticana, l’arcivescovo di Manila ha esortato in particolare i giovani a “crescere e a sviluppare un’intelligenza culturale”, cioè chiedersi come la cultura possa influire sul proprio modo di pensare e su quello dell’altro. “Tutti e due cerchiamo dove convergiamo, dove ci differenziamo. Ma la differenza ora non è nemica: è una differenza con il rispetto, anche con una capacità di imparare l’uno dall’altro”, ha spiegato il cardinale.
E, soffermandosi sul tema del Giubileo straordinario della Misericordia, ha sottolineato che la “chiamata alla misericordia va oltre i confini della Chiesa cattolica”, come chiede Papa Francesco. Questo, però, deve avvenire a livelli differenti: “La Chiesa è chiamata a testimoniare la misericordia non solo ai suoi membri, ma anche all’esterno. Quello è un segno di misericordia: vedere un fratello, vedere una sorella, vedere un vicino, specialmente quelli che soffrono, gli abbandonati”.
Ampliando lo sguardo al mondo si nota infatti come “ovunque ci sia ingiustizia, c’è una assenza di misericordia. Le vittime dell’ingiustizia – ha evidenziato il porporato – non hanno misericordia o sono vittime di azioni prive di misericordia. Quindi, durante l’Anno della Misericordia – è il suo invito – guardiamo a tutti loro, alle vittime, ed estendiamo a loro la misericordia, perché vediamo un fratello, un vicino, una sorella”.
Bisogna poi “cercare le fonti di misericordia presenti nelle religioni”. Un aspetto, dice Tagle, molto presente in Asia acquisito soprattutto nelle famiglie interreligiose, dove “mariti e mogli di tradizioni religiose differenti imparano ad essere misericordiosi l’uno con l’altro ogni giorno, ogni giorno. La famiglia diventa scuola di misericordia, specialmente nelle famiglie interreligiose”.
E anche i  vescovi asiatici hanno iniziato a seguire questa scia, prendendo esempio dai monaci buddisti che “girano le città, chiedono cibo, poi una volta raccolto lo mettono su un tavolo a disposizione dei più poveri. Quindi chiedono l’elemosina non per loro ma per i poveri, e solo se avanza qualcosa alla fine ne mangiano anche loro”.
“Bisogna imparare da questa testimonianza di misericordia – ha sottolineato Tagle -, chiedere l’aiuto non per noi ma per gli altri, e toccare così il cuore delle persone. Questo è quello che ha fatto Gesù, ma è una pratica buddista, che ci fa però riscoprire cosa ha fatto Gesù”.
Sempre in tema di religioni, il cardinale filippino ne ha evidenziato il ruolo nel mondo globalizzato, specie di fronte ai fondamentalismi irrazionali: Gli uomini di fede – ha detto – devono “provare che le religioni possano fare il bene, mostrare che le religioni lavorando assieme possano promuovere lo sviluppo umano”. Non bisogna permettere, infatti, “che la religione sia usata come mezzo di distruzione”.
Di qui un pensiero alle drammatiche condizioni di profughi e rifugiati. Il porporato ha ricordato il viaggio della Caritas nel campo per rifugiati di Idomeni, in Grecia, dove – ha raccontato – “c’era un ragazzo siriano, era solo, e quando gli abbiamo dato del cibo, nel suo inglese, mi ha chiesto: ‘Sei un musulmano?’. Ho sorriso ed ho risposto: ‘No’. Mentre si allontanava, i suoi occhi erano fissi sui miei. Sono passati almeno due anni da quell’incontro di occhi ed io gli auguro tutto il bene, ogni notte prego per lui. Non conosco il suo nome, ma lui ha ricevuto pane da un non musulmano e per quel breve momento c’è stata una connessione, una connessione tra due persone legate dalla sofferenza”.
In ultimo, l’arcivescovo di Manila ha affrontato il tema del cambiamento climatico, sul quale la Federazione degli Episcopati asiatici ha già pubblicato due documenti. Anche questo ambito – ha rimarcato – “non riguarda solo gli scienziati, i tecnocrati, ma anche i gruppi religiosi, che potrebbero mettersi insieme per una causa comune. Lasciatemi aggiungere di non dimenticare le religioni tradizionali indigene, non solo le grandi religioni. Anche loro sono importanti nel rispondere nella ricerca della giustizia, della pace e dell’integrità climatica”.
[S.C.]
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ZENIT Staff

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