Vatileaks 2: avviato il processo. Dalla prossima settimana gli interrogatori

Tutti e cinque gli imputati presenti alla prima seduta. Rigettate due eccezioni sul poco tempo concesso alla difesa e la “indeterminatezza” dei capi di imputazione

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Nicola Maio e Francesca Immacolata Chaoqui sono i primi ad arrivare nella piccola aula del Tribunale Vaticano dove si è svolta stamane la prima udienza dell’inchiesta Vatileaks 2. Lui, in un angolo, agitato, parlava da solo come se ripetesse appunti o preghiere; lei, struccata e dimessa, indossava un jeans sbottonato in avanti. “Non mi va più” per la gravidanza, spiega ai giornalisti presenti nel pool, dicendo di non volerne comprare uno nuovo “per scaramanzia”. 

È il turno poi di Gianluigi Nuzzi, l’autore di Via Crucis (Chiarelettere): elegante, disinvolto, ai rappresentanti dei media internazionali spiega in tono fermo: “Non siamo martiri, siamo giornalisti cronisti e abbiamo fatto solo il nostro dovere”. Emiliano Fittipaldi, autore di Avarizia (Feltrinelli), che in Vaticano non aveva mai messo piede prima di oggi, come spiega, ha invece un tono di sfida e afferma: “Sto vivendo una situazione assurda e kafkiana, ma sono tranquillo”. 

L’ultimo ad arrivare è mons. Lucio Vallejo Balda, il “corvo” ex segretario della Prefettura degli Affari economici e membro Cosea, imputato numero uno dell’intera vicenda di fuga di documenti. Ancora rinchiuso nella cella della Gendarmeria vaticana, il monsignore spagnolo, in clergyman nero, afferma tuttavia: “Vedete che sto bene? Molto bene, sono sereno, mi trattano benissimo e qui sono protetto”. Poi si siede a fianco al suo ex collaboratore alla Cosea, Maio, e gli mette una mano sulla gamba. Un gesto d’affetto, quasi a volergli dare coraggio. Palese freddezza nei confronti della Chaoqui, che invece a metà udienza parla in tono confidenziale con Nuzzi.

Sono quindi tutti e cinque presenti in aula gli imputati, accusati di reati connessi con la divulgazione di notizie e documenti riservati. Con loro i rispettivi avvocati; tre d’ufficio: Emanuela Bellardini (Balda); Agnese Camilli (Chaouqui); Rita Claudia Baffioni (Maio), e due di fiducia: Lucia Musso (Fittipaldi) e Roberto Palombi (Nuzzi). Manca invece la “parte lesa”, la Santa Sede, rappresentata dal cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, che tuttavia era “autorizzato” a non essere presente, come ha spiegato padre Federico Lombardi.

Tutta l’udienza si svolge in un’ora e 10 minuti (10.35 – 11.45). Circa 43 minuti è la durata della riunione in camera di Consiglio del Collegio giudicante, presieduto da Giuseppe Dalla Torre, il quale rigetta le due eccezioni sollevate dai difensori di ufficio di Balda e Fittipaldi. Quest’ultimo, tramite il suo legale, domandava di annullare i capi di imputazione in ragione della loro “indeterminatezza” nel decreto di rinvio a giudizio. Secondo il giornalista de L’Espresso, nelle dieci pagine di imputazione non c’era infatti la “minima descrizione di ciò che gli viene imputato”. In particolare, l’avvocato Musso lamentava una impossibilità di difesa dal momento che non si è parlato di quali sarebbero documenti e notizie riservate. Si contestava quindi che l’atto di citazione non contiene “l’enunciazione precisa della contestazione mossa a Fittipaldi. Si parla solo di art. 116 ma non si parla di atti, documenti e notizie pubblicate oggetto di contestazione”. Solo a pagina 8 (su dieci pagine dei capi di imputazione), ha fatto presente il legale, il cronista viene inserito nella descrizione dei fatti in cui si parla di presunte pressioni a Balda.

“Ho deciso di comparire in questa udienza per doveroso rispetto nei confronti di questo tribunale che ha ritenuto di dovermi citare”, ha replicato invece Fittipaldi in un comunicato letto in aula e poi diffuso alla stampa. “Ma nel comparire ritengo di dover esprimere innanzitutto la mia incredulità nel trovarmi ad essere imputato di fronte ad una autorità giudiziaria diversa da quella del mio paese, pur avendo scritto e pubblicato in Italia il libro per il quale si pretende qui di incriminarmi”. “Nel mio Paese d’altronde – ha anche osservato l’autore di Avarizia – la condotta che qui mi addebitate non sarebbe penalmente perseguibile, non essendomi contestato in alcun modo di aver pubblicato notizie false o diffamatorie, ma semplicemente di aver pubblicato notizie: attività protetta e garantita dalla Costituzione italiana, dalla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”.  

L’istanza di Fittipaldi è stata liquidata dal promotore di Giustizia aggiunto, il prof. Roberto Zannotti (assistente del titolare, Gian Piero Milano, presente ma in silenzio) con una sola parola: “infondata”. La contestazione – sottolinea il pm vaticano nel suo parere – “non riguarda la pubblicazione” né il processo intende “conculcare la libertà di stampa”, ma che “l’imputato è chiamato a rispondere della condotta dell’attività svolta per ottenere le notizie e i documenti pubblicati”. Unitamente a questa, il Collegio ha bocciato anche l’eccezione presentata dall’avvocato di mons. Balda, Emanuela Bellardini, che lamentava di non avere avuto il tempo necessario per preparare il processo avendo ricevuto le carte “solo ieri”. In proposito, la Corte ha spiegato che l’avvocato ha ricevuto notifica in tempi utili.  

Dopo la lettura dei capi di imputazione da parte del Cancelliere, a fine udienza il presidente ha comunicato di aver trasmesso al presidente della Corte d’Appello – oggi assente – la richiesta della nomina di due ulteriori avvocati di fiducia da parte di Nuzzi e Balda, per la eventuale autorizzazione. Sabato 28 novembre alle 12.30 è il termine per depositare i documenti della difesa. Da lunedì 30, alle 9.30, inizieranno gli interrogatori che, se necessario, verranno prolungati anche nel pomeriggio. Balda è il primo della lista; a seguire Chaoqui, Maio e i due giornalisti. Si prevedono diverse udienze nel corso di quella settimana e gli imputati sono liberi di non prendere parte alle prossime udienze se non sono interrogati. “Nel rispetto ai vostri impegni personali”, ha spiegato Dalla Torre. 

Con le modifiche volute dallo stesso Papa Francesco, nel luglio 2013, al codice penale, tutti e cinque rischiano dai 4 agli 8 anni per essersi procurati e aver divulgato notizie segrete riguardanti gli “interessi fondamentali” dello Stato della Città del Vaticano (art. 116 bis). I tre con il reato associativo – Balda, Chaoqui, Maio – ne rischiano in aggiunta da 3 a 6. 

Il monsignore a fine udienza si mostra comunque sereno e alla stampa dichiara: “Il Papa vuole finire presto”. Secondo Nuzzi “prima del Giubileo”, ma non c’è alcuna conferma al riguardo. Il giornalista Mediaset si sfoga pure con i giornalisti: “Ci sono dei principi che vanno difesi. Si può criticare, apprezzare, anche biasimare ma poi c’è un altro piano che è quello della tutela dei diritti dell’informazione”. Su Twitter poi scrive: “Il Vaticano respinge la mia richiesta di farmi assistere dal mio difensore di sempre, l’avvocato Caterina Malavenda”. Poco prima aveva osservato con amara ironia: “In Italia siamo lenti con la giustizia, qui in Vaticano fin troppo veloci”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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