Paura di morire? I Vescovi USA propongono un “modo infinitamente migliore”

Approvano una dichiarazione sul suicidio medicalmente assistito

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WASHINGTON, D.C., martedì, 21 giugno 2011 (ZENIT.org).- Il processo della morte può spaventare, ma la società può essere giudicata da come risponde a queste paure, sostengono i Vescovi degli Stati Uniti in un nuovo documento sul suicidio medicalmente assistito.

I presuli si sono incontrati a Seattle per il loro meeting generale primaverile e hanno approvato giovedì una dichiarazione dal titolo “Vivere ogni giorno con dignità”.

“Una comunità premurosa dedica più attenzione, non meno, ai membri che affrontano il momento più vulnerabile della propria vita. Quando le persone sono tentate di vedere la propria vita sminuita in valore o significato, hanno bisogno dell’amore e dell’assistenza degli altri per essere assicurati del loro valore intrinseco”, afferma la dichiarazione.

Il documento offre una breve storia dello sviluppo dei dibattiti sul suicidio medicalmente assistito e osserva che – contrariamente alle strategie di marketing – la campagna per legalizzare questo crimine non accresce la libertà delle persone le cui condizioni di salute sono gravi.

“Le persone suicide diventano sempre più incapaci di apprezzare delle opzioni”, e hanno una “sorta di visione a tunnel che vede sollievo solo nella morte. Hanno bisogno di aiuto per essere liberate dai loro pensieri suicidi attraverso la consulenza e il sostegno, e, quando necessario e utile, le cure mediche”, hanno dichiarato i Vescovi.

“Scelte apparentemente libere possono essere indebitamente influenzate dai pregiudizi e dai desideri degli altri”, hanno avvertito. “Annullando la difesa legale della vita di un gruppo di persone, il Governo comunica implicitamente il messaggio” “che potrebbero stare meglio da morti.  In questo modo il pregiudizio di troppe persone sane contro il valore della vita per qualcuno che ha una malattia o una disabilità è incarnato in una politica ufficiale”.

I presuli hanno riconosciuto che la sofferenza per le malattie croniche o terminali è spesso grave e chiede compassione, ma hanno affermato che “la vera compassione allevia la sofferenza mantenendo allo stesso tempo la solidarietà con quanti soffrono. Non mette nelle loro mani farmaci letali o li abbandona ai loro impulsi suicidi, o ai motivi egoistici di altri che possono volerli morti. Aiuta le persone vulnerabili con i loro problemi, anziché trattarle come il problema”,

Questioni pratiche

I Vescovi hanno anche avvertito della “brutta china” che inizia quando si viene privati della vita in nome della compassione.

“I medici olandesi, che una volta limitavano l’eutanasia ai pazienti malati terminali, ora forniscono farmaci letali a persone con malattie croniche o disabilità, malattie mentali e perfino depressione”, hanno sottolineato.

“Una volta che si sono convinti che porre fine a una vita breve può essere un atto di compassione, è stato morbosamente logico concludere che porre fine a una vita più lunga può dimostrare una compassione ancor maggiore”.

“Anche psicologicamente, il medico che ha iniziato a offrire la morte come soluzione ad alcune malattie è tentato di vederla come la risposta a una gamma sempre più ampia di problemi”.

C’è anche la possibilità che i programmi governativi e le assicurazioni private possano limitare il sostegno alle cure che potrebbero allungare la vita, sottolineando la soluzione basata sull’idea di “costi-benefici” di una morte prescritta dal medico, hanno avvertito i Vescovi.

“Perché i professionisti sanitari dovrebbero trascorrere una vita a sviluppare l’empatia e le capacità necessarie per il compito difficile ma importante di fornire un’assistenza ottimale quando la società ha autorizzato per i pazienti sofferenti una ‘soluzione’ che non richiede alcuna abilità? Una volta che alcune persone sono diventate candidati per l’economico trattamento del suicidio assistito, anche per i contribuenti pubblici e privati per la copertura sanitaria è facile dirigere altrove le risorse che affermano la vita”.

Società premurosa

“C’è un modo infinitamente migliore per affrontare le necessità delle persone che hanno gravi malattie”, afferma il documento episcopale.

“Il rispetto per la vita non richiede di cercare di prolungarla usando cure mediche inefficaci o indebitamente gravose”, sostengono i presuli; “né significa che dovremmo privare i pazienti che soffrono delle cure per il dolore necessarie a causa di una paura fuori luogo o esagerata che possano avere l’effetto collaterale di abbreviare la vita”.

Cure palliative efficaci permettono ai pazienti di “dedicare la loro attenzione alla loro vita, di arrivare a un senso di pace con Dio, con i propri cari e con se stessi”.

“Quando invecchiamo o ci ammaliamo e siamo tentati di perdere la fiducia, dovremmo essere circondati da gente che chiede ‘Come possiamo essere utili?’”, concludono i Vescovi.

“Meritiamo di invecchiare in una società che guarda alla nostra cura e alle nostre necessità con una compassione basata sul rispetto, offrendo un autentico sostegno nei nostri ultimi giorni. Le scelte che compiamo insieme ora decideranno se questo sarà il tipo di società premurosa che lasceremo alle generazioni future”.

Il testo della dichiarazione è consultabile su www.usccb.org/toliveeachday/bishops-statement-physician-assisted-suicide.pdf

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ZENIT Staff

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