Paradiso ed economia, i cattolici ai tempi della crisi

Gotti Tedeschi: “Il denaro non è immorale, a patto che non condizioni l’individuo”

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di Mariaelena Finessi
 

ROMA, giovedì, 3 marzo 2011 (ZENIT.org).- «Parlare di morale in economia oggi è quanto mai opportuno, dato che è stato ampiamente riconosciuto che la crisi economica globale ancora in atto è stata generata dallo sfaldamento o dal misconoscimento dei valori morali». Il segretario di Stato Vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, così scrive nella prefazione al libro “Paradiso ed economia” dello scrittore Rino Camilleri e del presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi.

La presentazione del volume, aggiornato rispetto alla prima edizione del 2004, offre l’occasione per chiedersi – in un incontro pubblico, il primo marzo, nella sede romana di Comunione e Liberazione – se è possibile la convivenza di finanza, economia e morale cattolica.

Tra gli intervenuti, il presidente dell’Associazione bancaria italiana Giuseppe Mussari, il direttore dell’Osservatore Romano Gian Maria Vian e lo stesso Gotti Tedeschi che nel libro, edito dalla Lindau, tenta – insieme al coautore Camilleri – una riconciliazione tra morale e mercato, mostrando che la prima può rendere più efficace il secondo, senza che l’economia e la ricchezza ostacolino una vita pienamente cristiana.

In altri termini la fede, che non sarebbe contro il capitalismo e le leggi del mercato, rappresenterebbe invece un punto di vista competitivo perché permetterebbe all’uomo di realizzare integralmente se stesso secondo la propria libertà. Vian ricorda il valore dell’economia nella tradizione cristiana: «Ad esempio i francescani, da sempre simbolo di povertà, hanno dato un grande contributo su questo piano con la fondazione del Monti di pietà».

Non è il solo caso visto che la Dottrina cattolica, da Clemente Alessandrino in poi, riconosce nella ricchezza uno strumento per la realizzazione dell’uomo, che «di per sé non è né buono né cattivo», chiarisce Gotti Tedeschi, «perché come per ogni strumento, dipende dall’uso che se ne fa».

«Senza la produzione di ricchezza – aggiunge Mussari – il mondo sarebbe infatti meno equo e meno giusto nei confronti degli ultimi. Nella logica del mercato invece c’è anche la risposta per gli ultimi».

Altri modelli economici, invece, «pur partendo da buone intenzioni hanno portato le distruzioni alle quali abbiamo assistito nel ventesimo secolo». Quanto alla globalizzazione, «anch’essa è un bene nella misura in cui si fa metodo per condividere con i più poveri il progresso e la ricchezza».

Una visione che per Mussari avrebbe potuto salvaguardare dalla crisi economica internazionale. «Le banche italiane, rispetto a quelle che sono in giro per il mondo – spiega -, si sono salvate dalla crisi del 2002 grazie alla fedeltà ai valori che sono all’origine della loro storia».

Insomma, quello del direttore dell’Osservatore romano è un discorso che Mussari raccoglie pienamente per spiegare che «tradizione cristiana e banche sono legate». L’origine del sistema creditizio del nostro Paese vanterebbe una cultura cristiana piuttosto profonda. «Talmente profonda che è stato proprio grazie ad essa che gli istituti italiani sono riusciti a scongiurare le speculazioni che altrove hanno invece indebolito le strutture finanziarie».

«La legge della domanda e dell’offerta, la liceità del denaro e anche del prestito a interesse sono state elaborate dai monaci di Salamanca – gli fa eco Gotti Tedeschi -. In particolare, le banche nostrane sono nate con l’intento di sintetizzare in maniera efficace finanza e contrasto all’usura, visto che inizialmente erano proprio gli enti ecclesiastici a promuovere la loro istituzione».

Ecco allora che denaro e cristianesimo non sono l’uno l’antitesi dell’altro, «a patto – conclude l’economista del Vaticano – che l’uso della ricchezza sia giusto e che il denaro non condizioni l’individuo».

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ZENIT Staff

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