"Missionari del disturbo". Linee di pastorale migratoria per i cappellani

L’intervento dello scalabriniano Gabriele Bentoglio, sottosegretario del Dicastero per i migranti, al corso di formazione della fondazione Migrantes

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I missionari hanno una duplice funzione: da una parte sono elementi di “disturbo” per la Chiesa locale, che stimolano al continuo rinnovamento; dall’altra, offrono un importante contributo alla costruzione dell’universalità della chiesa particolare. Lo ha indicato lo scalabriniano Gabriele Bentoglio, sottosegretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti, durante il corso di formazione organizzato a Roma nei giorni scorsi dalla fondazione Migrantes della Conferenza Episcopale italiana.
Alla presenza dei direttori Migrantes regionali e diocesani di recente nomina e dei loro collaboratori, dei cappellani etnici che svolgono il ministero nelle diocesi italiane, di religiosi, religiose e laici impegnati nel volontariato e interessati alle migrazioni, di missionari per gli italiani all’estero e di seminaristi, il relatore ha tracciato alcune linee di pastorale migratoria, attingendo ai documenti del magistero della Chiesa.
Dopo un breve excursus sulle strutture tradizionali che affiancano la parrocchia territoriale (parrocchia nazionale, missione con cura d’anima e cappellania), il religioso – riferisce L’Osservatore Romano – ha individuato alcune caratteristiche che hanno segnato nella storia la figura, la natura e i compiti del missionario per i migranti. Anzitutto — ha spiegato — egli è incoraggiato “a non creare una Chiesa parallela”, cioè una “piccola isola”, che “si forma e si mantiene” a causa della “grande isola” chiusa e diffidente, composta dalla popolazione locale.
Anche perché un’unica comunità ecclesiale, ha aggiunto padre Bentoglio, può costruire «autentica comunione a partire dalla collaborazione nel produrre segni tangibili di solidarietà internazionale e di lotta contro le ingiustizie e i soprusi», come la discriminazione razziale, lo sfruttamento, il traffico di persone e di organi, la tortura. Nella seconda parte dell’intervento, il sottosegretario ha offerto alcuni suggerimenti per orientare la pastorale attuale, nella consapevolezza di essere di fronte “a una sfida epocale: quella di costruire un mondo nuovo dove le migrazioni sono un fenomeno strutturale e in costante aumento”.
Nella pastorale delle migrazioni, ha fatto notare lo scalabriniano, così come “nel fenomeno della mobilità in generale, tutto cambia con sorprendente rapidità”. Infatti, oggi i flussi migratori “ripropongono lo stesso schema tragico delle migrazioni dei secoli XIX e XX”. D’altra parte, la realtà odierna “mostra un volto più variegato e più complesso”.
Dopo un’analisi del grande “rimescolamento di popoli, di culture e di religioni” in atto, il relatore ha scovato alcune novità rispetto al passato. In particolare, aumentano in misura impressionante i profughi e i richiedenti asilo, vittime delle guerre, della miseria e dei cambiamenti climatici. “Nuova è l’immigrazione massiccia di persone appartenenti a religioni non cristiane in Paesi di antica tradizione cristiana”, ha aggiunto, tutto ciò mette in luce “il volto eterogeneo della convivenza umana, dove possono sorgere incomprensioni e tensioni”.
Il fenomeno migratorio, “a cui spesso le istituzioni stanno assistendo con indifferenza e incapacità di gestione”, continua a denunciare “lo squilibrio fra le diverse aree del mondo, dove la disparità di accesso alle risorse rende i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri”. E in tale contesto, i missionari dei migranti sono “chiamati all’accoglienza, al riconoscimento della dignità umana e dei diritti inalienabili di ogni persona”, ma anche “al rispetto delle differenze culturali e religiose, a sensibilizzare le istituzioni perché si impegnino a promuovere il bene comune”.
In pratica, i missionari – ha sottolineato Bentoglio – hanno il difficile compito “di indicare la via da percorrere in una società che si proclama rispettosa dei diritti umani, ma spesso solo a parole”. Essi possono offrire “un servizio specifico in tale contesto: poiché essi sono membri della Chiesa, che è per sua natura allo stesso tempo una e universale”.

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ZENIT Staff

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