Marcia della Pace a L’Aquila per i terremotati

di Chiara Santomiero

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ROMA, venerdì, 1 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pioveva più forte quando il corteo della 43a Marcia della pace promossa dalla Commissione episcopale per i problemi sociali e del lavoro, la giustizia e la pace della Cei, da Caritas italiana e da Pax Christi Italia ha raggiunto le macerie della Casa dello studente de L’Aquila, quasi a voler sottolineare lo scempio che può essere causato dall’uomo quando agisce senza responsabilità, verso i suoi simili e verso la natura.

“Se vuoi coltivare la pace, custodisci il Creato” ha ammonito Papa Benedetto XVI nel messaggio per la 43a Giornata mondiale della pace che si celebra oggi e che ha dato il titolo anche alla marcia di ieri sera nella città ferita dal terremoto del 6 aprile scorso.

“Ogni rottura degli equilibri del Creato – ha dichiarato a ZENIT mons. Giovanni Giudici, vescovo di Pavia e neo presidente di Pax Christi Italia – è sempre causa di sofferenze e, alla fine, di conflitto. Quest’anno ricordiamo, alla luce del messaggio del Santo Padre, che la rottura degli equilibri è opera talvolta dell’uomo e non solo della causalità naturale. La scelta de L’Aquila come sede della marcia vuole richiamare innanzitutto l’importanza di ricostruire intorno all’uomo e non soltanto alle opere e, in secondo luogo, ricordare che scienza e tecnica possono aiutare l’uomo a custodire il Creato, non a danneggiarlo”.

Il capoluogo abruzzese ha risparmiato ai partecipanti all’iniziativa i famosi rigori del suo inverno, ma la pioggia ha accompagnato tutta la marcia. Una marcia della pace che sembrava attraversare un paese in guerra, con le case scardinate, mobili esposti alle intemperie, tendine di pizzo pendenti da finestre senza imposte. Non c’erano luci né voci nel centro storico de L’Aquila nell’ultima notte dell’anno, solo i canti e le preghiere che hanno segnato la marcia.

“Via dolorosa” è stato definito il percorso attraversato dal corteo e il pensiero è corso alla Terra Santa e ai suoi conflitti. Ci ha pensato anche don Nandino Capovilla, di recente nominato coordinatore di Pax Christi Italia e che è da poco rientrato da Gaza: “Sono ambedue situazioni – ha detto a ZENIT – in cui si gioca una responsabilità degli uomini per le distruzioni che si verificano e per le quali occorre trovare risposte di giustizia”.

“L’atteggiamento della vigilanza che abbiamo assunto nel tempo di Avvento – ha proseguito Capovilla – deve diventare l’atteggiamento fondamentale del cittadino e del credente, evitando di accettare passivamente una realtà che cela delle ingiustizie”.

“Il richiamo che giunge dal passaggio in queste strade desolate, di morte e resurrezione – ha aggiunto –, non può essere solo quello per una ricostruzione fisica e strutturale ma soprattutto morale, in modo che attraverso la nostra assunzione di responsabilità di cittadini si arrivi a un più serio rapporto con l’ambiente e anche con le leggi”.

Durante la marcia, alle riflessioni si sono alternate le testimonianze di alcuni aquilani. “Viviamo con pienezza ogni minuto di ogni giorno del nuovo anno – ha invitato un uomo che a causa del terremoto ha perso il padre e due figli – perché potrebbero non essercene altri”.

Una donna ha raccontato della difficoltà di tenere unita la famiglia davanti ad ogni scelta che impone il dopo terremoto: in tendopoli a L’Aquila o in albergo sulla costa? Cosa fare alla riapertura della scuola delle figlie? Aspettare di rientrare nella propria casa lesionata se pur non irreparabilmente o accettare di inventarsi un nuovo spazio domestico negli alloggi costruiti dal governo?

Avere un tetto contro le intemperie – sia pure con qualche problema causato da aver dovuto costruire troppo in fretta – è importante, ma la mancanza di lavoro è la preoccupazione che sta accomunando molti. La Caritas diocesana che, cessata l’emergenza, ha ripreso a visitare regolarmente le famiglie, sa che questa è diventata oggi la principale preoccupazione.

“In una realtà sofferente come la nostra – ha sottolineato alla nostra agenzia, a proposito della marcia, don Dionisio Humberto Rodríguez Cuartas, responsabile della Caritas diocesana – essere qui ha un significato ancora maggiore perché se una persona, dopo aver sofferto la perdita di tutto, riesce ancora vivere la dimensione della pace è proprio grazie all’operare dello Spirito di Dio in lei”.

L’augurio per il nuovo anno diventa allora: “continuare a nutrire il desiderio di essere costruttori di pace e la speranza che nonostante le difficoltà e i disagi che viviamo noi in questo contesto – ma così come tanti uomini in situazioni di sottosviluppo – il domani sarà migliore di quello di oggi”.

“Condividere questa marcia con quanti dall’Italia hanno voluto essere presenti ma soprattutto con la popolazione del territorio – ha spiegato a ZENIT don Vittorio Nozza, direttore di Caritas italiana – significa cominciare a cogliere alcuni segni che possono essere, nonostante tutto, punti di riferimento per costruire il futuro. Segni di solidarietà, di ripresa della vita, che richiedono maggior convinzione e forza di condivisione in modo tale che il tempo necessario per riportare questa città e in particolare il vissuto della popolazione, alla normalità non sia estremamente lungo ma adatto ai bisogni, alle necessità e soprattutto al desiderio di futuro di questa popolazione”.

“Per il nuovo anno – ha proseguito Nozza – come Chiesa e Caritas ci aspetta il compito di riuscire a concretizzare in maniera significativa quella generosità che ci è stata consegnata dagli italiani e dal mondo intero per intervenire a favore delle comunità, ponendo attenzione ai bisogni delle persone sole, dei minori e delle famiglie”.

Un segno di solidarietà è anche la presenza a L’Aquila di tanti volontari che hanno deciso di offrire alcuni giorni di vacanza per il servizio alla popolazione terremotata. Alice Ferrari, volontaria Caritas della provincia di Cuneo, è sfuggita alla proibizione fatta ai volontari di parlare con i giornalisti e ha raccontato alla nostra agenzia che “la prima impressione della città è stata come un pugno nello stomaco, però abbiamo visto che la gente ha tanta voglia di tornare alla vita precedente e quindi la prima impressione si è trasformata in una buona impressione”.

“Chi soffre – ci ha detto infine mons. Giuseppe Molinari, vescovo de L’Aquila – è in grado di dire parole credibili a tutti. Le parole credibili che vogliamo dire noi sono: tutto il resto può passare, ciò che non passa è l’amore per Dio e per i nostri fratelli. Per l’anno che inizia auguro alla mia comunità tanta comunione, tanta forza insieme e tanta speranza per la nostra città”.

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ZENIT Staff

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